[Pagina precedente]...ccendono per attrizione né d'aria né di venti né d'esalazioni, anzi che ciascheduno di questi abbruciamenti si fa il più delle volte nelle maggiori tranquillità d'aria e quando il vento è del tutto fermo. Voi forse mi direte: "Qual dunque è la causa di queste incensioni?" Vi risponderò, per non entrare in nuove liti, che non la so, ma che so bene che né l'acqua né l'aria si tritano né si accendono né s'abbruciano già mai, non essendo materie né tritabili né combustibili: e se dando fuoco ad un sol fil di paglia, a un capello di stoppa, non resta l'abbruciamento sin che tutta la stoppa e tutta la paglia, se ben fusse cento milioni di carra, non è abbruciata; anzi, se dato fuoco ad un piccol legno abbrucerebbe tutta la casa e la città intera e tutte le legna del mondo che fusser contigue alle prime ardenti, se non si corresse prestamente a i ripari, chi riterrebbe mai che l'aria, così sottile e di parti tutte aderenti senza separazione, quando se n'accendesse una particella, non ardesse anco il tutto?
Riducesi finalmente il Sarsi a dire con Aristotile che se mai accaderà che l'aria sia abondantemente ripiena di tali essalazioni ben temperate, e con altri riquisiti detti, allora si liquefanno le palle di piombo, e non solamente quelle dell'artiglierie e degli archibusi, ma le tirate colle fionde ancora. Dunque tale bisogna che fusse lo stato dell'aria al tempo che i Babilonii cocevan l'uova; tale fu, con gran ventura degli assediati, mentre si batteva la città di Corbel; ed allora che tale si ritrova, si può allegramente andar contro all'archibusate: ma perché l'affrontare una tal costituzione è cosa di ventura e che non accade così spesso, però dice il Sarsi che non si deve ricorrere all'esperienze, attento che questi miracoli non si fanno ad arbitrio nostro, ma del caso, ch'è poi difficilissimo a incontrarsi. Tanto che, signor Sarsi, quando bene l'esperienze fatte mille e mille volte, in tutte le stagioni dell'anno ed in qualsivoglia luogo, non riscontrassero mai co 'l detto di quei poeti filosofi ed istorici, questo non importa niente, ma dobbiamo credere alle lor parole, e non a gli occhi nostri. Ma se io vi troverò una costituzion d'aria con tutti quei requisiti che voi dite che si ricercano, e che ad ogni modo non ci cuocano l'uova né si struggano le palle di piombo, che direte voi allora, signor Sarsi? Ma aimè! io fo troppo grande oblazione, e sempre vi rimarrà la ritirata con dire che vi manca qualche requisito necessario. Troppo avvedutamente vi recaste voi in un posto sicuro, quando diceste esser di bisogno per l'effetto un moto violento, gran copia d'essalazioni, una materia bene attenuata et "si quid aliud ad idem conducit": quel "si quid aliud" è quel che mi sbigottisce, ed è per voi un'ancora sacra, un asilo, una franchigia troppo sicura. Io avevo fatto conto di sospender la causa e soprassedere sin che venisse qualche cometa, immaginandomi che in quel tempo della sua durazione Aristotile e voi foste per concedermi che l'aria, sì come si trovava ben disposta per l'abbruciamento di quella, così si ritrovasse anco per la liquefazzione del piombo e per cuocer l'uova, parendomi che voi aveste per ambedue gli effetti ricercato la medesima disposizione; ed allora volevo che noi mettessimo mano alle fionde, all'uova, agli archi, ai moschetti ed all'artiglierie, e ci chiarissimo in fatto della verità di questo negozio; anzi pure che, senz'aspettar comete, il tempo dovrebbe essere opportuno di meza state, e quando l'aria lampeggia e fulmina, venendo a tutti questi ardori assegnata l'istessa causa: ma dubito che quando ben voi non vedeste in cotali tempi liquefarsi le palle, né pur cuocersi l'uova, non però cedereste, ma direste mancarci quel "si quid aliud ad idem conducens". Se voi mi direte che cosa sia questo "si quid aliud", io mi sforzerò di provederlo; quanto che no, lascerò correr la sentenza, la qual credo senz'altro che sarà contro di voi, se non in tutto e per tutto, almanco in questa parte, che mentre che noi andiamo ricercando la causa naturale d'un effetto, voi vi riducete a voler ch'io m'appaghi d'una ch'è tanto rara, che voi stesso la nominate finalmente e la riponete tra i miracoli. Ora, sì come né per girar di fionde né per tirar d'archi né d'archibusi né d'artiglierie noi non veggiamo mai farsi gli effetti più volte nominati, o pur, se già mai è accaduto un tale accidente, è stato così di rado che dobbiamo tenerlo come miracolo, e come tale più tosto crederlo all'altrui relazione che cercar di vederlo per prova; perché, dico, stanti queste cose così, non vi dovete voi contentar di conceder che veramente per uno ordinario le comete non si accendono per un'attrizione d'aria, e contentarvi ancora di passar come cosa di miracolo se pur alcuno vi concederà che taluna si sia, una volta in mill'anni, accesa per quella attrizione ben corredata di tutte quelle circostanze che voi ricercate?
Quanto all'instanza che il Sarsi si promuove e risolve, cioè che alcuno forse potrebbe dire che non per attrizion d'aria, ma pel fuoco veemente che le caccia, si struggono le palle d'archibuso e d'artiglieria; io, primieramente, non sarò di quelli che oppongano in cotal guisa, perché dico ch'elle non si struggono né in quello né in modo veruno: quanto poi alla risposta dell'instanza, non so perché il Sarsi non abbia arrecata quella ch'è propriissima e chiara, dicendo che le palle e le frecce cacciate colla fionda e coll'arco, dove non è fuoco, mostrano la nullità dell'instanza apertamente. Questa pare a me che fusse risposta assai più diretta che la portata dal Sarsi, cioè che 'l tempo nel quale la palla va col fuoco, gli par troppo breve per liquefare un gran pezzo di piombo: il che è vero, ma vero è ancora che assai più breve è l'altro tempo ch'ella spende nel suo viaggio, per liquefarlo con l'attrizion dell'aria.
All'ultima conclusione ch'ei ne raccoglie, non so che rispondere, perché non intendo punto ciò ch'ei si voglia dire mentr'ei dice, bastargli aver mostrato ch'io, per questi essempi, non ho ritirata alcuna per isfuggire i testimonii de' poeti e de' filosofi; i quali testimonii essendo scritti e stampati in mille libri, io non ho mai cercato di sfuggirli, e ben mi parrebbe privo di discorso affatto chi tentasse una tale impresa. Ho ben detto che l'attestazioni son false, e tali mi par che siano tuttavia.
48. "Sed obiicit præterea: Quamvis admittatur, ex motu accendi exhalationes aliquando posse, nescire tamen se intelligere, qui fiat ut statim atque ignem conceperint, non consumantur, sicuti in fulminibus, stellis cadentibus aliisque huiusmodi fieri quotidie videmus. Ego vero satis id intelligi posse existimo, si quis, ex iis quos hominum ars atque industria invenit ignibus, similiter de sublimioribus illis a natura succensis philosophetur. Duplicis enim naturæ nostri hi sunt: sicci alii ac rari nulloque hærentes glutine, qui, ut ignem conceperint, claro largoque fulgore, subito incremento, at caduco brevique incendio, nullis pene reliquiis, conflagrare solent; alii tenaciori materia compacti ac piceo liquore conflati, in longum tempus duraturi, flamma diuturniore nocturnas nobis tenebras illustrant. Quidni igitur in supremis illis regionibus simile aliquid contingat? Vel enim materia levis adeo rara et sicca est, ut nullo humidi vinculo colligetur; atque hæc subito celerique fulgore, in suo veluti exortu interitura, succenditur: vel certe viscida est et glutinosa; quæ, si quo casu accendatur, non ad interitum illico properet, sed suo plane succo diutius vivat, ac longiore ætate, suspicientibus undique mortalibus, ex alto resplendeat. Satis igitur hinc apparet, qui possit fieri ut ignes in summo aëre succensi non illico extinguantur aliquando, sed diutius ardeant: apparet etiam, aërem succendi posse, si ea præsertim adsint quæ calori ex attritu excitando plurimum conferunt, vehemens videlicet motus, exhalationum copia, materiæ attenuatio, et si quid aliud ad idem conducit. "
Legga or V. S. Illustrissima quel che resta fino al fine di questa proposizione; nel qual proposito poco mi resta che dire, avendone detto assai di sopra. Per tanto metterò solo in considerazione, come il Sarsi, per mantenere che l'incendio della cometa possa durare mesi e mesi, ancor che gli altri che si fanno in aria, come baleni, fulmini, stelle discorrenti e simili, sieno momentanei, assegna due sorti di materie combustibili: altre leggieri, rare, secche e senz'alcun collegamento d'umidità ; altre viscose, glutinose, e in consequenza con qualche umidità collegate: delle prime vuol che si facciano gli abbruciamenti momentanei; delle seconde, gl'incendii diuturni, quali sono le comete. Ma qui mi si rappresenta una assai manifesta repugnanza e contradizzione: perché, se così fusse, dovrebbono i baleni e i fulmini, come quelli che si fanno di materia rara e leggiera, farsi nelle parti altissime, e le comete, come accese in materia più glutinosa, corpulenta, ed in consequenza più grave, nelle parti più basse; tuttavia accade il contrario, perché i baleni ed i fulmini non si fanno alti da terra né anco un terzo di miglio, sì come ci assicura il piccolo intervallo di tempo che resta tra il veder noi il baleno e 'l sentire il tuono, quando ci tuona sopra il vertice; ma che le comete sieno indubitabilmente senza comparazione più alte, quando altro non ce lo manifestasse a bastanza, l'abbiamo dal lor movimento diurno da oriente in occidente, simile a quello delle stelle. E tanto basti aver considerato intorno a queste esperienze.
Restami ora che, conforme alla promessa fatta di sopra a V. S. Illustrissima, io dica certo mio pensiero intorno alla proposizione "Il moto è causa di calore", mostrando in qual modo mi par ch'ella possa esser vera. Ma prima mi fa di bisogno fare alcuna considerazione sopra questo che noi chiamiamo
caldo,del qual dubito grandemente che in universale ne venga formato concetto assai lontano dal vero, mentre vien creduto essere un vero accidente affezzione e qualità che realmente risegga nella materia dalla quale noi sentiamo riscaldarci.
Per tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità , subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch'ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch'ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch'ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch'ella si muove o sta ferma, ch'ella tocca o non tocca un altro corpo, ch'ella è una, poche o molte, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch'ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l'immaginazione per se stessa non v'arriverebbe già mai. Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori, etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso l'animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualità ; tuttavolta però che noi, sì come gli abbiamo imposti nomi particolari e differenti da quelli de gli altri primi e reali accidenti, volessimo credere ch'esse ancora fussero veramente e realmente da quelli diverse.
Io credo che con qualche essempio più chiaramente spiegherò il mio concetto. Io vo movendo una mano ora sopra una statua di marmo, ora sopra un uomo vivo. Quanto all'azzione che vien dalla mano, rispetto ad essa mano è la medesima sopra l'uno e l'altro soggetto, ch'è di quei primi accidenti, cioè moto e toccamento, né per altri nomi vien da noi chiamata: ma il corpo animato, che riceve tali operazioni, sente diverse affezzioni secondo che in diverse parti vien tocco; e venendo toccato, verbigrazia, sotto le piante de' piedi, sopra le ginocchia o sotto l'ascelle, sente, oltre al commun toccamento, un'altra affezzione, alla quale noi abbiamo imposto un nome par...
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