[Pagina precedente]...ret corpora, atque ipse ab iis vicissim atteretur. Sibilus certe, qui in agitatione fundæ exauditur, addensati aëris argumentum est; quod fortasse voluit Statius cum dixit, aërem fundæ gyris inclusum distringi:
. . . et flexæ Balearicus actor habenæ,
qua suspensa trahens libraret vulnera tortu,
inclusum quoties distringeret aëra gyro.
Idem etiam probat grando, quæ quo altiori e loco decidit, eo minutior ac rotundior cadit; idem pluviæ guttæ, maiores cum ex humiliori loco, minores cum ex altiori cadunt, cum in aëre et comminuantur et atterantur."
Che io o 'l signor Mario ci siamo risi e burlati dell'esperienza prodotta da Aristotile, è falsissimo, non essendo nel libro del signor Mario pur minima parola di derisione, né scritto altro se non che noi non crediamo ch'una freccia fredda, tirata coll'arco, s'infuochi; anzi crediamo che, tirandola infocata, più presto si raffredderebbe che tenendola ferma: e questo non è schernire, ma dir semplicemente il suo concetto. A quello poi ch'ei soggiunge, non esserci succeduto il convincer cotale esperienza, perché non Aristotile solo, ma moltissimi altri grand'uomini à nno creduto e scritto il medesimo, rispondo che se è vero che per convincere il detto d'Aristotile bisogni far che quei molti altri non l'abbian creduto né scritto, né io né 'l signor Mario né tutto il mondo insieme lo convinceranno già mai, perché mai non si farà che quei che l'à nno scritto e creduto non l'abbian creduto e scritto: ma dico bene, parermi cosa assai nuova che, di quel che sta in fatto, altri voglia anteporre l'attestazioni d'uomini a ciò che ne mostra l'esperienza. L'addur tanti testimoni, signor Sarsi, non serve a niente, perché noi non abbiamo mai negato che molti abbiano scritto e creduto tal cosa, ma sì bene abbiamo detto tal cosa esser falsa; e quanto all'autorità , tanto opera la vostra sola quanto di cento insieme, nel far che l'effetto sia vero o non vero. Voi contrastate coll'autorità di molti poeti all'esperienze che noi produciamo. Io vi rispondo e dico, che se quei poeti fussero presenti alle nostre esperienze, muterebbono opinione, e senza veruna repugnanza direbbono d'avere scritto iperbolicamente o confesserebbono d'essersi ingannati. Ma già che non è possibile d'aver presenti i poeti, i quali dico che cederebbono alle nostre esperienze, ma ben abbiamo alle mani arcieri e scagliatori, provate voi se, coll'addur loro queste tante autorità , vi succede d'avvalorargli in guisa, che le frecce ed i piombi tirati da loro s'abbrucino e liquefacciano per aria; e così vi chiarirete quanta sia la forza dell'umane autorità sopra gli effetti della natura, sorda ed inessorabile a i nostri vani desiderii. Voi mi direte che non ci sono più gli Acesti e Mezenzii o lor simili Paladini valenti: ed io mi contento che, non con un semplice arco a mano, ma con un robustissimo arco d'acciaio d'un balestrone caricato con martinelli e leve, che a piegarlo a mano non basterebbe la forza di trenta Mezenzii, voi tiriate una freccia o dieci o cento; e se mai accade che, non dirò che 'l ferro d'alcuna s'infuochi o 'l suo fusto s'abbruci, ma che le sue penne solamente rimangano abbronzate, io voglio aver perduta la lite, ed anco la grazia vostra, da me grandemente stimata. Orsù, signor Sarsi, io non vi voglio più tener sospeso: non m'abbiate per tanto ritroso che io non voglia cedere all'autorità ed al testimonio di tanti poeti ammirabili, e ch'io non voglia credere che tal volta sia accaduto l'abbruciamento delle frecce e la fusione de' metalli; ma dico bene, di cotali meraviglie la causa essere stata molto diversa da quella che i filosofi n'à nno voluta addurre, mentre la riducono ad attrizzioni d'arie ed essalazioni e simili chimere, che son tutte vanità . Volete voi saperne la vera ragione? Sentite il Poeta a niun altro inferiore, nell'incontro di Ruggiero con Mandricardo e nel fracassamento delle lor lance:
I tronchi sino al ciel ne sono ascesi;
scrive Turpin, verace in questo loco,
che due o tre giù ne tornaro accesi,
ch'eran saliti alla sfera del foco.
E forse che il grand'Ariosto non leva ogni causa di dubitar di cotal verità , mentr'ei la fortifica coll'attestazione di Turpino? il quale ognun sa quanto sia veridico e quanto bisogni credergli.
Ma lasciamo i poeti nella lor vera sentenza, e torniamo a quelli che riducono la causa all'attrizion dell'aria: la quale opinione io reputo falsa; e considero quello che producete voi, volendo mostrare come i corpi durissimi per l'attrizione d'altri più molli possano consumarsi, e dite, ciò apertamente scorgersi nell'acqua e nel vento ancora, rodendo e consumando questo i cantoni delle saldissime torri, e quella, con una continua distillazione e frequente picchiare, scavando i marmi e i durissimi scogli. Tutto questo vi concedo io, perch'è verissimo; e più v'aggiungo che non dubito punto che le frecce e le palle, non solo di piombo, ma di pietra e di ferro ancora, cacciate fuor d'una artiglieria si consumano, nel ferir l'aria con quella somma celerità , più che gli scogli o le muraglie nelle percosse dell'acqua e del vento; e dico, che se per fare una notabile corrosione o scortecciamento negli scogli e nelle torri ci vuole il ferir di ducento o trecento anni dell'acqua e del vento, nel roder le frecce e le palle d'artiglieria basterebbe ch'elle durassero ad andar per aria due o tre mesi soli: ma il tempo di due o tre battute di polso solamente non intendo già come possa fare effetto notabile. Oltre che mi restano due altre difficoltà nell'applicar questa vostra, veramente ingegnosa, considerazione al proposito vostro: l'una è, che noi parliamo di liquefare e struggere per via di calore, e non di consumare per via di percosse; l'altra è, che nel caso vostro voi avete bisogno che non il corpo solido, ma il corpo molle e sottile, sia quello che si stritoli ed assottigli, cioè l'aria, ch'è quella che s'ha poi ad accendere: ora l'esperienze addotte da voi provano che i sassi, e non l'aria o l'acqua, ricevon l'attrizione; e veramente io credo che l'aria e l'acqua, picchino pure se sanno picchiare, non però si assottiglieranno mai più che prima. Per tanto io concludo, poco aiuto e sollevamento per la causa vostra derivar da queste cose, come anco da quel ch'aggiungete della gragnuola e delle gocciole dell'acqua: delle quali io vi concedo che nel cader da alto si vadano rappiccolendo; ve lo concedo, dico, non perch'io non creda che possa esser vero anco tutto l'opposito di quel che dite voi, ma perché non veggo che né nell'uno né nell'altro modo abbia che far col proposito di che si tratta. Che la frombola poi co' suoi fischi e scoppi sia argomento d'aria condensata nella sua agitazione, la lascerò esser quel che piace a voi; ma avvertite che sarà una contradizzione a voi medesimo e un disastro alla vostra causa: imperocché sin qui avete sempre detto che per l'agitazione e commozione gagliarda si fa l'attrizione, rarefazzione e finalmente l'accendimento nell'aria, ed ora, per render ragione del sibilo della scaglia, o vero per trovare il senso delle parole assai offuscate di Stazio, volete la condensazione; sì che quella medesima commozione che, per servire allo struggere ed abbruciare, rarefà l'aria, per servizio de' frombolatori e di Stazio la condensa. Ma passiamo a sentire i testimoni degl'istorici.
45. "Sed ne poëtarum testimonium, vel eo ipso poëtæ nomine, suspectum alicui videatur (quamquam eosdem ex communi saltem omnium sensu locutos scimus), ad alios venio magnæ etiam auctoritatis ac fidei viros. Suidas igitur in Historicis, verbo ((((((((((((( hæc narrat: "Babylonii iniecta in fundas ova in orbem circumagentes, rudis et venatorii victus non ignari, sed iis rationibus quas solitudo postulat exercitati, etiam crudum ovum impetu illo coxerunt." Hæc ille. Iam vero si quis tantarum causas rerum inquirat, audiat Senecam philosophum, quando hic inter cæteros Galilæo probatur, de his philosophice disputantem. Ille enim, ex sententia, primum, Posidonii, "In ipso aëre, inquit, quidquid attenuatur, simul siccatur et calet"; ex sua vero sententia, "Non est, inquit, assiduus spiritus cursus, sed quoties fortius ipsa iactatione se accendit, fugiendi impetum capit." Sed longe hæc apertius alibi, ubi fulminis causas inquirens, "Id evenit, inquit, ubi in ignem extenuatus in nubibus aër vertitur, nec vires quibus longius prosiliat invenit" (audiat iam quæ sequuntur Galilæus, sibique dicta existimet): "non miraris, puto, si aëra aut motus extenuat, aut extenuatio incendit; sic liquescit excussa glans funda, et attritu aëris velut igne distillat." Nescio sane, an diserte magis aut clarius dici unquam id posset. Sive igitur poëtarum optimis, sive philosophis credas, vides, quicumque hac de re dubitas, atteri posse per motum aërem, atque ita incalescere, ut vel plumbum eius calore liquescat. Nam quis hic existimet, viros virorum florem eruditissimorum, cum de iis loquerentur quorum in re militari quotidianus erat etiam tunc usus, egregie adeo atque impudenter mentiri voluisse? Equidem non is sum, qui sapientibus hanc notam inuram."
Io non posso non ritornare a meravigliarmi, che pur il Sarsi voglia persistere a provarmi per via di testimonii quello ch'io posso ad ogn'ora veder per via d'esperienze. S'essaminano i testimonii nelle cose dubbie, passate e non permanenti, e non in quelle che sono in fatto e presenti; e così è necessario che il giudice cerchi per via di testimonii sapere se è vero che ier notte Pietro ferisse Giovanni, e non se Giovanni sia ferito, potendo vederlo tuttavia e farne il
visu reperto.Ma più dico che anco nelle conclusioni delle quali non si potesse venire in cognizione se non per via di discorso, poca più stima farei dell'attestazioni di molti che di quella di pochi, essendo sicuro che il numero di quelli che nelle cose difficili discorron bene, è minore assai che di quei che discorron male. Se il discorrere circa un problema difficile fusse come il portar pesi, dove molti cavalli porteranno più sacca di grano che un caval solo, io acconsentirei che i molti discorsi facesser più che un solo; ma il discorrere è come il correre, e non come il portare, ed un caval barbero solo correrà più che cento frisoni. Però quando il Sarsi vien con tanta moltitudine d'autori, non mi par che fortifichi punto la sua conclusione, anzi che nobiliti la causa del signor Mario e mia, mostrando che noi abbiamo discorso meglio che molti uomini di gran credito. Se il Sarsi vuole ch'io creda a Suida che i Babilonii cocesser l'uova col girarle velocemente nella fionda, io lo crederò; ma dirò bene, la cagione di tal effetto esser lontanissima da quella che gli viene attribuita, e per trovar la vera io discorrerò così: "Se a noi non succede un effetto che ad altri altra volta è riuscito, è necessario che noi nel nostro operare manchiamo di quello che fu causa della riuscita d'esso effetto, e che non mancando a noi altro che una cosa sola, questa sola cosa sia la vera causa: ora, a noi non mancano uova, né fionde, né uomini robusti che le girino, e pur non si cuocono, anzi, se fusser calde, si raffreddano più presto; e perché non ci manca altro che l'esser di Babilonia, adunque l'esser Babiloni è causa dell'indurirsi l'uova, e non l'attrizion dell'aria", ch'è quello ch'io volevo provare. È possibile che il Sarsi nel correr la posta non abbia osservato quanta freschezza gli apporti alla faccia quella continua mutazion d'aria? e se pur l'ha sentito, vorrà egli creder più le cose di dumila anni fa, succedute in Babilonia e riferite da altri, che le presenti e ch'egli in se stesso prova? Io prego V. S. Illustrissima a farli una volta veder di meza state ghiacciare il vino per via d'una veloce agitazione, senza la quale egli non ghiaccerebbe altrimenti. Quali poi possano esser le ragioni che Seneca ed altri arrecano di questo effetto, ch'è falso, lo lascio giudicare a lei.
All'invito che mi fa il Sarsi ad ascoltare attentamente quello che conclude Seneca, e ch'egli poi mi domanda se si potev...
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