[Pagina precedente]... tuberosum, atque ita nobilissimum inter cælestia corpora neque sphæricum est nec politum. Præterea, in Epistola 2 ad eumdem Marcum ait: "Solem circa suum centrum ad ambientis motum rotari; corpus autem ambiens ipso etiam aëre longe tenuius esse debet." Quare, si corpus solare solidum ad motum circumfusi corporis rarissimi et tenuissimi movetur, non video cur postea cælum ipsum solidum motu suo secum rapere non possit corpus inclusum quamvis tenuissimum, quale est sphæra elementaris."
E prima che più avanti io proceda, torno a replicare al Sarsi, che non son io che voglia che il cielo, come corpo nobilissimo, abbia ancora figura nobilissima, qual è la sferica perfetta, ma l'istesso Aristotile, contro al quale si argomenta dal signor Mario
ad hominem:ed io, quanto a me, non avendo mai lette le croniche e le nobiltà particolari delle figure, non so quali di esse sieno più o men nobili, più o men perfette; ma credo che tutte sieno antiche e nobili a un modo, o, per dir meglio, che quanto a loro non sieno né nobili e perfette, né ignobili ed imperfette, se non in quanto per murare credo che le quadre sien più perfette che le sferiche, ma per ruzzolare o condurre i carri stimo più perfette le tonde che le triangolari. Ma tornando al Sarsi, egli dice che da me gli vengon abbondantemente somministrati argomenti per provar l'asprezza della concava superficie del cielo, perché io stesso voglio che la Luna e gli altri pianeti (corpi pur essi ancor celesti ed assai più dell'istesso cielo nobili e perfetti) sieno di superficie montuosa, aspra ed ineguale; e se questo è, perché non si deve dire tale inegualità ritrovarsi ancora nella figura celeste? Qui può l'istesso Sarsi metter per risposta quello ch'ei risponderebbe ad uno che gli volesse provare che il mare dovrebbe esser tutto pieno di lische e di squamme, perché tali sono le balene, i tonni e gli altri pesci che l'abitano.
All'interrogazione, ch'egli mi fa, per qual cagione la Luna non è liscia e tersa, io gli rispondo che la Luna e gli altri pianeti tutti, che, essendo per se stessi tenebrosi, risplendono solamente per l'illuminazione del Sole, fu necessario che fussero di superficie scabrosa, perché, quando fussero di superficie liscia e tersa come uno specchio, niuna reflession di lume arriverebbe a noi, essi ci resterebbono del tutto invisibili, ed in conseguenza del tutto nulle resterebbon l'azzioni loro verso la Terra e scambievolmente tra di loro, ed in somma, essendo ciascheduno anco per se stesso come nulla, per gli altri sarebbon del tutto come se non fussero al mondo. All'incontro poi, quasi altrettanto disordine seguirebbe quando i cieli fussero d'una sostanza solida e terminata da una superficie non perfettissimamente pulita e tersa: imperocché (come di sopra ho pur detto), mediante le refrazzioni continuamente perturbate in cotal sinuosa superficie, né i movimenti de i pianeti, né le lor figure, né le proiezzioni de' lor raggi verso noi, ed in conseguenza gli aspetti loro, altrimenti che confusissimi e disregolati non si ritroverebbono. Eccovi, signor Sarsi, un'efficace ragione in risposta del vostro quesito; in premio della quale cancellate di grazia dalla vostra scrittura quelle parole dove voi dite che io ho scritto in molti luoghi che le stelle son di figure varie ed angolari, ché sapete bene in coscienza che questa è una bugia e ch'io non ho mai scritta cotal proposizione; ed il più che voi potete avere inteso o letto, è che le stelle fisse sono di lume così vivo e folgorante, che il lor piccolo corpicello non si può scorgere distinto e circolato tra così splendenti raggi.
Quanto poi a quello che il Sarsi scrive nel fine, del Sole e delle fumosità che in esso si generano e dissolvono e del suo ambiente, io non ho mai risolutamente parlato se questo al moto di quello o pur quello al moto di questo si raggirino, perché non lo so, e potrebbe essere anco che né l'ambiente né il corpo solare fusser rapiti, ma che d'ambedue fusse egualmente naturale quella conversione, per la quale son ben sicuro, perché lo veggo, ch'esse macchie si raggirano in quattro settimane in circa. Ma quando di ciò s'avesse anco perfetta scienza, non veggo quale utilità ne arrecasse alla presente contesa, dove solamente
ad hominem ed argumentando
ex suppositione,e fatte anco supposizioni sicuramente false, in materie diversissime dal Sole e suo ambiente, si cerca se il concavo lunare, duro e liscio, che tale non è al mondo, girandosi (che pur è un'altra falsità ), rapisce seco il fuoco, che forse anch'esso non v'è. Aggiungasi l'altra dissimilitudine grandissima, la quale il Sarsi dice di non saper vedere, anzi la stima una identità , e che egualmente e coll'istessa naturalezza e facilità possa esser ch'un corpo fluido contenuto dentro la concavità d'un solido sferico, il quale si volga in giro, venga da quello rapito, come se il contenuto fusse una sfera solida e l'ambiente un liquido; ch'è quasi l'istesso che se altri credesse, che sì come al moto del fiume vien portata e rapita la nave, così al moto della nave dovesse esser rapita l'acqua di uno stagno, il che è falsissimo: perché, prima, quanto all'esperienza, noi veggiamo la nave, ed anco mille navi che riempissero tutto il fiume, esser mosse al moto di quello, ma all'incontro il corso d'una nave spinta da qualsivoglia velocità non vien seguito da una minima particella d'acqua: la ragion poi di questo non dovrebbe esser molto recondita; imperocché non si può far forza alla superficie della nave, che non si faccia similmente a tutta la macchina, le cui parti, essendo solide, cioè saldamente attaccate insieme, non si possono separare o distrarre, sì che alcune cedano all'impeto dell'ambiente esterno, e l'altre no; il che non avvien così dell'acqua o di altro fluido, le cui parti, non avendo in sé tenacità o aderenza appena sensibile, facilissimamente si separano e distraggono, sì che quel sol velo sottilissimo d'acqua che tocca il corpo della nave vien per avventura forzato ad ubidire al moto di quella, ma l'altre parti più remote, abbandonando le più propinque, e queste le contigue, in piccolissima lontananza dalla superficie si liberano del tutto dalla sua forza ed imperio. Aggiungesi a questo, che l'impeto e la mobilità impressa, assai più lungamente e gagliardamente si conserva ne i corpi solidi e gravi, che ne i fluidi e leggieri: e così veggiamo in un gran peso pendente da una corda, per molte ore conservarsi l'impeto e moto communicatogli una volta sola; ed all'incontro, sia quanto si voglia agitata l'aria rinchiusa in una stanza, non prima cessa l'impeto di quel che la commoveva, ch'ella totalmente si quieta, né ritien punto l'agitazione. Quando, dunque, l'ambiente e movente è liquido, e fa forza in un contenuto solido, corpulento e grave, va imprimendo la mobilità in un soggetto atto nato a ritenerla e conservarla lungo tempo; per lo che il secondo impulso sopravenente trova il moto impresso di già dal primo, il terzo impulso trova l'impeto conferito dal primo e dal secondo, il quarto sopragiunge alle operazioni del primo, secondo e terzo, e così di mano in mano, onde il moto nel mobile vien non pur conservato, ma augumentato ancora: ma quando il mobile sia liquido, sottile e leggiero ed in conseguenza impotente a conservare il movimento impresso, e che tanto è quello che s'imprime quanto quello che si perde, il volergli imprimer velocità è opera vana, qual sarebbe il volere empier il crivello delle Belide, che tanto versa quanto vi si rinfonde. Or eccovi, signor Lottario, mostrato somma diversità ritrovarsi tra queste due operazioni, che a voi parevano una cosa medesima.
39. Passiamo ora al terzo argomento. "Sed demus Galilæo, orbis huius interiorem superficiem tornatam ac lævem esse: nego, lævibus corporibus aërem non adhærescere. [v. figura 10] Lamina certe vitrea B aquæ imposita, quamvis lævissima sit, non minus quam si foret alterius asperioris materiæ natabit, adhærensque illi aër aquam AC, circa vitrum per vim sese attollentem, continebit, ne diffluat et laminam obruat. Cur igitur inde non abscedit aër, dum descendentis aquæ pondere e vitrea lamina truditur, sed hæret illi mordicus, nec, nisi maiori vi pulsus, loco cedit? Præterea, si quis, lapideam forte tabulam politissimam nactus, corpus aliud grave æque politum eidem imposuerit, postea vero subiectam tabulam huc illuc trahat, impositum æque corpus quo voluerit trahet; et tamen si pondus quo corpus illud tabulæ innititur auferas, id huic non adhærebit. Tota igitur ratio quæ ad tabulæ motum corpus etiam impositum moveri cogit, ex illa compressione oritur, qua grave illud tabulam subiectam premit. Iam, sicuti ex eo quod alterum horum corporum ab altero premitur, ad eius motum hoc etiam moveri necesse est, ita assero, concavum Lunæ quodammodo premi ab aëre sive exhalationibus inclusis, si quando eas rarefieri contigerit, quod semper contingit: dum enim rarefiunt, prioris loci angustiis contemptis, ampliori extenduntur spatio, atque ambientium corporum, ac proinde cæli ipsius, partes omnes, si qua obstent rarefactioni, quantum in ipsis est, premunt; ac propterea non mirum, si ex compressione adhæsio aliqua consequatur, quæ duo hæc corpora veluti connectat et colliget, ita ut ad eumdem postea motum utrumque moveatur."
Continua il Sarsi in questa sua fantasia, di voler pur ch'io abbia detto che l'aria non aderisca a i corpi lisci e tersi: cosa che non si trova scritta né da me né dal signor Mario. In oltre, io non ben capisco che cosa intenda egli per questa sua aderenza. S'egli intende una copula che resista al separarsi del tutto e spiccarsi l'una dall'altra superficie, sì che più non si tocchino, io dico tal aderenza esservi, ed esservi, grandissima, sì che la superficie, verbigrazia, dell'acqua non si staccherà da quella d'una falda di rame o di altra materia se non con un'immensa violenza, né in questo caso importa se tal superficie sia o non sia pulita e liscia, e basta solo un esquisito contatto; il qual tien tanto saldamente uniti i corpi, che forse le parti de' corpi solidi e duri non à nno altro glutine di questo, che le tenga attaccate insieme: ma questa aderenza non serve punto al bisogno del Sarsi. Ma s'egli intende una congiunzion tale, che le due superficie, dico quella del solido e quella dell'umido, non possano, né anco strisciandosi insieme, muoversi l'una contro all'altra, che sarebbe secondo il bisogno suo, dico cotale aderenza non v'essere non solo tra un solido e un liquido, ma né anco tra due solidi: e così vederemo in due marmi ben piani e lisci la prima aderenza esser tanta, che alzandone uno, l'altro lo segue, ma la seconda esser così debole, che se le superficie toccantisi non saranno ben bene equidistanti all'orizonte, ma un sol capello inclinate, subito il marmo inferiore sdrucciolerà verso la parte inclinata; ed in somma al muover l'una superficie sopra l'altra non si troverà resistenza, ben che grandissima si senta nel volerle staccare e separare. E così il toccamento dell'acqua colla barca ben che facesse grandissima resistenza a chi volesse staccare e separar l'una dall'altra superficie, nondimeno minima è la resistenza che si sente nel muoversi l'una superficie sopra l'altra, fregandosi insieme; e come di sopra ho detto ancora, la nave mossa velocissimamente non conduce seco altro che quel velo d'acqua che la tocca, anzi forse di questo ancora si va ella continuamente spogliando e rivestendone altro ed altro successivamente: e so che il Sarsi mi concederà , che ponendosi in mare una nave bagnata con vino o con inchiostro, ella non averà a pena solcate l'onde per mezo miglio, che non gli resterà più vestigio del primo licore che la circondava; il che si può creder con gran ragione che accaggia parimente dell'acqua che la tocca, cioè che continuamente si vada mutando: e senz'altro, il sevo con che ella si spalma, ancor che assai tenacemente vi sia attaccato, pure in breve tempo vien portato via dall'acqua che nel suo corso le va strisciando sopra; il che non avverrebbe se...
[Pagina successiva]