[Pagina precedente]...æstivos dies non absimilis vapor, ad septemtrionem forte solito altius provectus, Soli se spectandum obiecerit, tunc enimvero, clarissimo perfusus lumine, candidissimum omni se ex parte exhibet, atque, ut eius verbis utar, borealem nobis, nocturnis etiam in tenebris, auroram refert; nec mutuati splendoris adeo se avarum præbet, ut, cum toto hauserit Solem sinu, vix una illum e rimula ad nos relabi patiatur. Vidi egomet, non per æstivum tantum tempus, sed Ianuario mense, quatuor post Solis occasum horis, quod admirabilius est, vertici fere imminentem, candido ac fulgenti habitu, nubeculam adeo raram, ut ne minimas quidem stellas velaret; at illa etiam, quæ a Sole acceperat lucis dona, largo apertoque sinu liberalissime undique profundebat. Nubes denique omnes (si quam tamen illæ cum cometarum materia affinitatem servant), si densæ adeo fuerint atque opacæ ut Solis radios libere non transmittant, ea saltem parte qua Solem respiciunt, eumdem ad nos reciproca liberalitate reflectunt; at si raræ ac tenues sint, easque facile lux omni ex parte pervadat, nulla se parte tenebricosas ostendunt, sed clarissimo undique perfusas lumine spectandas offerunt. Si igitur cometa non ex alia elucet materia quam ex vaporibus huiusmodi fumidis, non in unum veluti globum coactis, sed, ut ipse ait, satis amplum cæli spatium occupantibus omnique ex parte Solis luce fulgentibus, quid tandem causæ est, cur ex angusto tantum brevique orbiculo spectantibus semper affulgeat, neque reliquæ vaporis eiusdem partes, pari a Sole lumine illustratæ, unquam compareant? Neque facile id iridis exemplo solvitur, in cuius productione idem contingit, ut videlicet ex una tantum nubis parte ad oculum relabatur, cum tamen in toto spatio a Sole illustrato eadem colorum diversitas eiusdem lumine procreetur. Illa enim, et si qua alia huiusmodi sunt, roridam potius humentemque requirunt materiam et iam in aquam abeuntem; hæc siquidem materia tunc solum cum in aquam solvitur, lævium ac politorum corporum perspicuorumque naturam imitata, ea tantum ex parte qua anguli reflexionum refractionumque, ad id requisiti, fiunt, lumen remittit, ut experimur in speculis, aquis ac pilis cristallinis. Si qui vero halitus rariores ac sicciores extiterint, hi neque lævem habent superficiem, ut specula, neque multam radiorum refractionem efficiunt. Cum igitur ad reflexiones corporis lævitas, ad refractiones vero cum perspicuo densitas, requiratur (quæ omnia nunquam in meteorologicis impressionibus habentur, nisi cum earum materia aquæ multum habuerit, ut non Aristoteles modo, sed opticæ etiam magistri omnes docuerunt, ac ratio ipsa efficacius persuadet), hinc necessario sequitur, huiusmodi halitus graviores natura sua futuros, ac proinde minus aptos qui supra Lunam etiam ac Solem ascendant, cum vel Galilæus ipse fateatur, tenues valde ac leves esse eos debere, qui eo usque evolant. Non ergo ex vapore illo fumido ac raro, et nullius revera ponderis, revibrari ad nos poterit fulgidum illud lucis simulacrum; vapor vero aqueus, ut pote gravis, in altum ferri nulla ratione poterit."
Parmi d'aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all'incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità . Nacque già in un luogo assai solitario un uomo dotato da natura d'uno ingegno perspicacissimo e d'una curiosità straordinaria; e per suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del lor canto, e con grandissima meraviglia andava osservando con che bell'artificio, colla stess'aria con la quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi, e tutti soavissimi. Accadde che una notte vicino a casa sua sentì un delicato suono, né potendosi immaginar che fusse altro che qualche uccelletto, si mosse per prenderlo; e venuto nella strada, trovò un pastorello, che soffiando in certo legno forato e movendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori che vi erano, ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle d'un uccello, ma con maniera diversissima. Stupefatto e mosso dalla sua natural curiosità , donò al pastore un vitello per aver quel zufolo; e ritiratosi in se stesso, e conoscendo che se non s'abbatteva a passar colui, egli non avrebbe mai imparato che ci erano in natura due modi da formar voci e canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando di potere incontrar qualche altra avventura. Ed occorse il giorno seguente, che passando presso a un piccol tugurio, sentì risonarvi dentro una simil voce; e per certificarsi se era un zufolo o pure un merlo, entrò dentro, e trovò un fanciullo che andava con un archetto, ch'ei teneva nella man destra, segando alcuni nervi tesi sopra certo legno concavo, e con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra movendo le dita, e senz'altro fiato ne traeva voci diverse e molto soavi. Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi participa dell'ingegno e della curiosità che aveva colui; il qual, vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il canto tanto inopinati, cominciò a creder ch'altri ancora ve ne potessero essere in natura. Ma qual fu la sua meraviglia, quando entrando in certo tempio si mise a guardar dietro alla porta per veder chi aveva sonato, e s'accorse che il suono era uscito dagli arpioni e dalle bandelle nell'aprir la porta? Un'altra volta, spinto dalla curiosità , entrò in un'osteria, e credendo d'aver a veder uno che coll'archetto toccasse leggiermente le corde d'un violino, vide uno che fregando il polpastrello d'un dito sopra l'orlo d'un bicchiero, ne cavava soavissimo suono. Ma quando poi gli venne osservato che le vespe, le zanzare e i mosconi, non, come i suoi primi uccelli, col respirare formavano voci interrotte, ma col velocissimo batter dell'ali rendevano un suono perpetuo, quanto crebbe in esso lo stupore, tanto si scemò l'opinione ch'egli aveva circa il sapere come si generi il suono; né tutte l'esperienze già vedute sarebbono state bastanti a fargli comprendere o credere che i grilli, già che non volavano, potessero, non col fiato, ma collo scuoter l'ali, cacciar sibili così dolci e sonori. Ma quando ei si credeva non potere esser quasi possibile che vi fussero altre maniere di formar voci, dopo l'avere, oltre a i modi narrati, osservato ancora tanti organi, trombe, pifferi, strumenti da corde, di tante e tante sorte, e sino a quella linguetta di ferro che, sospesa fra i denti, si serve con modo strano della cavità della bocca per corpo della risonanza e del fiato per veicolo del suono; quando, dico, ei credeva d'aver veduto il tutto, trovossi più che mai rinvolto nell'ignoranza e nello stupore nel capitargli in mano una cicala, e che né per serrarle la bocca né per fermarle l'ali poteva né pur diminuire il suo altissimo stridore, né le vedeva muovere squamme né altra parte, e che finalmente, alzandole il casso del petto e vedendovi sotto alcune cartilagini dure ma sottili, e credendo che lo strepito derivasse dallo scuoter di quelle, si ridusse a romperle per farla chetare, e che tutto fu in vano, sin che, spingendo l'ago più a dentro, non le tolse, trafiggendola, colla voce la vita, sì che né anco poté accertarsi se il canto derivava da quelle: onde si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo potervene essere cento altri incogniti ed inopinabili.
Io potrei con altri molti essempi spiegar la ricchezza della natura nel produr suoi effetti con maniere inescogitabili da noi, quando il senso e l'esperienza non lo ci mostrasse, la quale anco talvolta non basta a supplire alla nostra incapacità ; onde se io non saperò precisamente determinar la maniera della produzzion della cometa, non mi dovrà esser negata la scusa, e tanto più quant'io non mi son mai arrogato di poter ciò fare, conoscendo potere essere ch'ella si faccia in alcun modo lontano da ogni nostra immaginazione; e la difficoltà dell'intendere come si formi il canto della cicala, mentr'ella ci canta in mano, scusa di soverchio il non sapere come in tanta lontananza si generi la cometa. Fermandomi dunque su la prima intenzione del signor Mario e mia, ch'è di promuover quelle dubitazioni che ci è paruto che rendano incerte l'opinioni avute sin qui, e di proporre alcuna considerazione di nuovo, acciò sia essaminata e considerato se vi sia cosa che possa in alcun modo arrecar qualche lume ed agevolar la strada al ritrovamento del vero, anderò seguitando di considerar l'opposizioni fatteci dal Sarsi, per le quali i nostri pensieri gli sono paruti improbabili.
Procedendo egli adunque avanti e concedendoci che, quando pur non fusse conteso a i vapori, o altra materia atta al formar la cometa, il sollevarsi da Terra ed ascendere in parti altissime, dove direttamente potesse ricevere i raggi solari e reflettergli a noi, muove difficoltà in qual modo, venendo illuminata tutta, da una sola sua particella venga poi fatta a noi la reflessione, e non faccia come quei vapori che ci rappresentano quella intempestiva aurora boreale, i quali, sì come tutti s'illuminano, tutti ancora luminosi ci si dimostrano; ed appresso soggiunge, aver veduto verso la meza notte cosa più meravigliosa, cioè una nuvoletta verso il vertice, la quale, sì come tutta era illuminata, così da ogni sua parte liberalissimamente ci rimandava lo splendore; e le nuvole tutte (segu'egli), se saranno dense ed opache, ci rendono il lume del Sole da tutta quella parte che da esso vengono vedute; ma se saranno rare, sì che il lume le penetri, ci si mostrano tutte lucide, ed in niuna parte tenebrose; se dunque la cometa non si forma in altra materia che in simili vapori fumidi largamente distesi, come dice il signor Mario, e non raccolti in figura sferica, essendo da ogni lor parte tocchi dal Sole, per qual cagione da un sol piccolo globetto, e non dal resto, benché egualmente illuminato, ci vien fatta la reflessione? Ancor che le soluzioni di queste instanze sieno a pien distese nel Discorso del signor Mario, nientedimeno l'anderò qui replicando e disponendole a' luoghi loro, coll'aggiunta di qualch'altra considerazione, secondo che l'opposizioni di passo in passo mi faranno sovvenire.
E prima, non dovrebbe aver difficoltà veruna il Sarsi nel conceder che da un luogo particolare solamente di tutta la materia sublimata per la cometa si possa far la reflessione del lume del Sole alla vista d'un particolare, benché tutta sia egualmente illuminata; avvenga che noi ne abbiamo mille simili esperienze in favore, per una che paia essere in contrario, e facilmente di quelle prodotte dal Sarsi come contrarianti a tal posizione ne troveremo la maggior parte esser favorevoli. Già non è dubbio, che di qualsivoglia specchio piano esposto al Sole tutta la superficie è da quello illuminata; il simile è di qualsivoglia stagno, lago, fiume, mare, ed in somma d'ogni superficie tersa e liscia, di qualunque corpo ella si sia: nulladimeno all'occhio d'un particolare non si fa la reflession del raggio solare se non da un luogo particolare d'essa superficie, il qual luogo si va mutando alla mutazion dell'occhio riguardante. L'esterna superficie di sottili ma per grande spazio distese nuvole, è tutta egualmente illuminata dal Sole; tuttavia l'alone ed i parelii non si mostrano ad un occhio particolare se non in un luogo solo, e questo parimente al movimento dell'occhio va mutando sito in essa nuvola.
Dice il Sarsi: "Quella sottil materia sublimata che rende talvolta quella boreale aurora, si vede pur, qual ella è in fatto, illuminata tutta". Ma io domando al Sarsi, onde egli abbia questa certezza. Ed egli non mi può rispondere altro, se non che ei non vede parte alcuna che non sia illuminata, sì com'ei vede il resto della superficie degli specchi, dell'acque, de' marmi, oltr'a quella particella che ci rende la refles...
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