CORTO VIAGGIO SENTIMENTALE
di
Italo Svevo (Ettore Schmitz)
I. Stazione di Milano
Con dolce violenza il signor Aghios si staccò dalla moglie e a passo celere tentò di perdersi nella folla che s'addensava all'ingresso della stazione.
Bisognava abbreviare quegli addii ridicoli se prolungati fra due vecchi coniugi. Ci si trovava bensì in uno di quei posti ove tutti hanno fretta e non hanno il tempo di guardare il vicino neppure per riderne, ma il signor Aghios sentiva costituirsi nell'animo proprio il vicino che ride. Anzi lui stesso intero diveniva quel vicino. Che strano! Doveva fingere una tristezza che non sentiva, quando era pieno di gioia e di speranza e non vedeva l'ora di essere lasciato tranquillo a goderne. Perciò correva, per sottrarsi più presto alle simulazioni. Perché tante discussioni? Era vero ch'egli da molti anni non s'era staccato dalla moglie, ma un viaggio sino a casa sua, a Trieste, ove essa due settimane appresso l'avrebbe raggiunto, era cosa di cui non valeva la pena di parlare.
Se ne aveva parlato invece da molti giorni e continuamente. La decisione era stata difficilissima proprio perché ambedue l'avevano desiderata e ambedue per raggiungerla sicuramente avevano creduto necessario di tener celato il loro desiderio.
Avrebbe potuto piangere se si fosse trattato di un distacco per tutta la vita o almeno per gran parte di essa. Ma così poteva confessare a se stesso che s'allontanava giocondamente. Tanto più che sapeva di fare un piacere anche a lei.
Negli ultimi anni la signora Aghios s'era attaccata di un affetto appassionato ed esclusivo al figliuolo. Quando questi era lontano essa si sentiva sola anche accanto al marito e più sola ancora perché del suo dolore non parlava, sapendo che il signor Aghios ne avrebbe riso. Ma il signor Aghios sapeva di quel dolore, si offendeva di non poterlo lenire e fingeva d'ignorarlo per non seccarsi. "Una duplice costrizione!" pensava il signor Aghios che aveva letto qualche opera filosofica. "Duplice perché mia e sua! "
Adesso la signora Aghios voleva rimanere ancora a Milano per non lasciare solo il figliuolo che doveva passare un esame importante. Il signor Aghios non dava gran peso agli esami che si possono ripetere e sapeva anche che il figliuolo, cui il soggiorno a Milano non spiaceva, li avrebbe ripetuti volentieri. Ma adesso, se voleva partire solo, anche lui doveva insistere perché la madre restasse a tutelare il figliuolo in tanto frangente. Così la signora restava a Milano per compiacere il marito, ma il signor Aghios, che l'animo della signora aveva accuratamente spiato, partiva offeso, senza però dirlo, perché altrimenti avrebbe compromesso la sua libertà di viaggiare solo.
Era veramente un congedo che bisognava abbreviare, perché anche all'ultimo momento la signora Aghios era capace di mutare ogni disposizione quando avesse indovinato come stavano le cose. Era una donna che non ammetteva di non fare il proprio dovere. E il signor Aghios pensò che il lieve rancore che sentiva per la moglie, un sentimento sgradevolissimo, sarebbe sparito non appena si sarebbe trovato solo. Correndo fu già più giusto. La moglie prolungando quegli addii rivelava il suo rimorso di lasciarlo partire solo ed egli pensò: "Come è onesta! Non m'ama affatto, ma fino all'ultimo vuol tenere le promesse fatte all'altare. Si rammarica di non sapere fare quello che dovrebbe. Una grande pena per lei e una bella seccatura per me! ".
Ma perché il signor Aghios si sentiva tanto pieno di gioia e di speranza al momento di poter finalmente abbandonare la sua legittima consorte? Voleva forse andar a divertirsi e disonorare i suoi capelli quasi del tutto bianchi correndo dietro alle donne?
Oh! Non bisogna dire una cosa simile. Un vecchio intanto non sa correre e poi il signor Aghios non era corso dietro alle donne neppure quand'era giovine. Certo dalla sua gioia e speranza non bisognava escludere del tutto la donna. Era tanto piena quella gioia e speranza che la donna - la donna ideale, mancante magari di gambe e di bocca - non poteva esserne assente. Giaceva nell'ombra fusa con molti altri fantasmi, parte importante degli stessi. Ma la donna non è sempre la stessa nel desiderio. È vero che prima di tutto serve all'amore, ma talvolta la si desidera per proteggerla e salvarla. È un animale bello, ma anche debole, che se si può si accarezza e se non si può si accarezza ancora.
Il signor Aghios aveva bisogno di vita e perciò viaggiava solo. Si sentiva vecchio e ancora più vecchio accanto alla vecchia moglie e al giovine figliuolo. Quando aveva al braccio la moglie doveva rallentare il passo e quando camminava accanto al figliuolo sentiva che questi doveva rallentarlo. Lo circondavano di tutto il rispetto. Dacché era stato ammalato la moglie aveva conservato il fare dell'infermiera che aboliva ogni istinto di cavalleria da parte dell'uomo. Il figliuolo poi aveva tutto il rispetto per il padre, ma lo educava e lo correggeva quando egli, spinto dalla sua fervida fantasia, inventava etimologie non basate su alcuna scienza o spostava o svisava fatti storici, mentre il giovinetto, che pur tanto aveva stentato a finire il Liceo, ricordava il suo greco e latino che il signor Aghios mai aveva conosciuti e sapeva - come sua madre - esattamente quello che sapeva. E non è mica comodo di essere un padre che ha torto!
Ma non era tutto qui, benché fosse abbastanza importante per il signor Aghios di essere lasciato nei suoi vecchi anni interamente in pace, interamente cioè compresa la sua ignoranza, nella quale viveva da tanti anni da farne la base della vita.
Ogni malessere che sentiva il signor Aghios lo diceva vecchiaia, ma pensava che una parte di tale malessere gli venisse dalla famiglia. Sta bene che vecchio come ora non era mai stato, ma mai s'era sentito, oltre che vecchio, anche tanto ruggine. E la ruggine proveniva sicuramente dalla famiglia, l'ambiente chiuso ove c'è muffa e ruggine. Come non irrugginire in tanta monotonia? Vedeva ogni giorno le stesse facce, sentiva le stesse parole, era obbligato agli stessi riguardi e anche alle stesse finzioni, perché egli tuttavia accarezzava giornalmente sua moglie che certamente lo meritava. Persino la sicurezza di cui si gode in famiglia addormenta, irrigidisce e avvia alla paralisi.
Si sarebbe egli sentito più forte all'aria rude fuori della famiglia? Il breve viaggio sarebbe stato un esperimento, perché i suoi affari gli avrebbero fornito il pretesto ad altri viaggi. Certo non sperava di divenire tanto vivo come nel suo ultimo viaggio a Londra, ove aveva soggiornato varii mesi, vent'anni prima, senza la moglie ch'era stata allora una giovanissima madre.
Aveva sofferto allora orrendamente della solitudine. C'era stata da lui un'impazienza irosa della sfiducia e dell'indifferenza da cui si sentiva circondato. Guardava con invidia e desiderio la vita intensa che lo circondava e respingeva. Una volta, nella stanza di lettura dell'albergo, s'era messo a leggere solitario quando fu avvicinato da un bel ragazzo roseo, di dieci anni circa, che gl'indirizzò delle parole ch'egli non intese affatto, perché si capisce che l'inglese dei bambini è il più difficile. Il signor Aghios si commosse al trovare finalmente un amico. Gli parlò e parve anche che il fanciullo intendesse perché rispose con molte più parole di quelle avute. Disgraziatamente tutte in inglese! E per avvicinarsi a lui, visto che la parola non serviva, il signor Aghios gli accarezzò i biondi capelli. Ma allora apparve alla porta della sala un signore che parve indignato che il bambino suo avesse da fare con uno straniero: "Philip! Come along!" esclamò e il bambino subito s'allontanò, dopo di aver gettata un'occhiata spaventata sulla persona cui aveva dimostrato fiducia e da cui certamente poteva derivargli un pericolo, visto che con tanta premura da essa lo si allontanava.
E il dolore iracondo della solitudine danneggiò anche i suoi affari, perché il signor Aghios finì col considerare quali nemici tutti i suoi clienti. E ci fu anche di peggio, perché il sobrio virtuoso signor Aghios, per sentirsi più animato ricorse all'uso dell'assenzio, una bibita che sostituisce benissimo l'amicizia e la conversazione. Non ne prese troppo, ma abbastanza da procurargli dei disturbi nervosi che cessarono quando, rimpatriato, rientrò felice nella vita familiare che rese superfluo ogni altro stimolo da principio.
Ma il dolore ricordato non è sempre dolore. Ora egli vi sentiva la vita intensa. Oh! Se si avesse potuto ricreare tutta quell'impazienza e quel dolore! Quale rinnovamento di vita! La vita non può essere che sforzo, risentimento e attesa di gioia! Egli era circondato da troppi amici, che, se anche talvolta lo ferivano, non gli consentivano una vera ribellione. Aveva bisogno di vivere fra ignoti e magari nemici. Ricordava con ammirazione la sua ribellione alla Granbretagna. Aveva studiato questioni politiche ed economiche solo per poter aggredire il grande Impero, il quale aveva un'organizzazione quasi perfetta, ma non perfetta del tutto e non si sentiva capace del piccolo sforzo per arrivare alla perfezione. E il ritorno in Italia fu anch'esso un viaggio animato dalle più alte speranze. Fra l'altro bagaglio egli portava seco anche un piccolo pacchetto contenente un po' di terra raccolta a Londra nelle vicinanze di un terreno roccioso. Di quel pacchetto, che il signor Aghios teneva umido, nessuno sapeva fuori dell'agente del dazio a Chiasso, ch'era stato in procinto di fermare il viaggiatore e mandare all'analisi quella terra. Costui, pagato dal Governo, stava per impedire la fortuna d'Italia! Il signor Aghios sorrideva pieno di affetto al ricordare la propria grande ingenuità . Anche l'ingenuità è vita, anzi, il vero esordio fresco fragrante della vita. Bisogna sapere che al signor Aghios era stato raccontato che il Darwin riteneva che la roccia della Granbretagna fosse stata convertita in terra fertile da un vermicello microscopico. Bastò questo per fargli sperare di poter promuovere l'opera lenta dei vermicello anche nel proprio paese. Sparpagliò quella terra su certo terreno carsico in Italia, e si sentì elevato e animato. Non gl'importava che fosse ricordato il suo nome quando, di lì a qualche secolo, in Italia, a fior di terra non ci sarebbe più stata della roccia. A tanta altezza si arrivava nella solitudine! Adesso sorrideva di se stesso. Aveva vissuto troppo tempo in famiglia per poter intendere la propria passata grandezza. La famiglia era come un velo dietro al quale ci si riparava per vivere sicuri e dimentichi di tutto. Ora egli ne moriva pieno di speranza. Probabilmente era una prova che gli avrebbe procurato una delusione. E allora si sarebbe accontentato. Nulla ci sarebbe stato di perduto. Egli sarebbe ritornato dietro a quel velo per vivere nella penombra, protetto, sicuro, ma moribondo rassegnato. Proprio così! Come i moribondi che, abbacinati dalla meta vicina, non conoscono altro sforzo che di trattenere la vita che vuol staccarsi da loro, incapaci di vedere, sentire o salutare le altre cose, concentrati come sono nel lavoro divenuto difficile di respirare e digerire.
Mancava quasi un quarto d'ora alla partenza e il signor Aghios, rallentò il passo. Forse aveva dimostrata troppa fretta di staccarsi dalla moglie e gli doleva ch'essa avrebbe potuto risentirsene perché, certo, essa meritava tutto, anche riguardi.
Un piccolo fox terrier venne esitante ad annusargli i piedi. "Sei già qui, vecchio amico?" pensò il vecchio. Certo non era il primo cane ch'egli vedesse a Milano, ma era il primo che gli si accostasse dacché egli era solo. E lo guardò con affetto, mentre il cane arretrò - cercava certo il suo padrone - e poi saltellò via guardando ancora un'ultima volta chi l'aveva spaventato, le molli orecchie giovanili aderenti alla testa. Il vecchio gli guardò dietro ammirando. Il passo su quattro zampe è sempre più ingenuo di quello su due. Quello del piccolo giovine cane, che ora saltellava ora cercava, con quei movimenti non ancora bene associati ...
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