[Pagina precedente]...sa direzione, con l'unica cortesia che l'ispettore gli permettesse. Il cielo s'era coperto di nubi nere ed il sole del tramonto, invisibile, illuminava la loro parte inferiore, che pareva composta di piante leggere, luminose d'argento, d'oro e di qualche metallo sconosciuto, trasparente e irrorato di luce propria.
"Pioverà " mormorò l'ispettore di malumore.
"Non sempre piove quando il cielo ha quest'aspetto, denso e nero, con propaggini luminose" disse il signor Aghios, tentando di ridare il buonumore all'ispettore o forse per incoraggiarlo ad andarsene, come se la pioggia avesse potuto indurlo a fermarsi nel treno.
Infatti l'ispettore parve contento. "Lei se ne intende del tempo" e per la prima volta guardò il signor Aghios con grande rispetto.
"Non tanto!" disse il signor Aghios con modestia. "Però osservai spesso che il sole, al momento di partire, s'ammanta, quasi volesse nascondervici, di dense nubi che poi, quando non vi è più bisogno di loro, spariscono."
Il signor ispettore fece tre cose in una volta: Sbadigliò, sorrise e disse: "Poeta". Soltanto che la "e" di poeta divenne una "a" larga come quella bocca.
E quando l'ispettore dopo un breve saluto partì, il signor Aghios pensò che il maggior frutto del suo viaggio era la scoperta di essere un poeta.
Allora, da Padova a Mestre, fu la piena libertà . Il biondino nel cantuccio continuava a dormire e così il signor Aghios ebbe, per essersi staccato dal signor ispettore, lo stesso senso di libertà come quando s'era staccato dalla moglie. E questa libertà si precisò in parecchie osservazioni. Su un campo vide lavorare insieme un uomo e una donna. Non vide che una fisonomia sorridente di giovine donna, perché la corsa del treno non gli diede il tempo di vedere anche l'uomo. Potevano essere brutti o belli, ciò non importava. Non si poteva essere sicuri se erano sposati. Quello che era certo, era che lavoravano insieme, ma che si amavano o meglio che formavano quella società sessuale in origine, che doveva degenerare in una società d'interessi abbracciante il campo su cui lavoravano e la casetta, molto lontana forse, dove dormivano. Che truffa colossale! Venivano presi con dolcezza, avvolti nel loro proprio calore naturale e coperti di catene senza che se ne avvedessero. Se il signor Aghios non si fosse trovato in viaggio, dei due che lavoravano cantando sul campo non avrebbe osservato altro che l'aspetto della donna, per compiangere o invidiare il marito. Anche lui, coperto da catene, non sapeva vedere più in là del naso, mentre ora, in viaggio, assurgeva fino a vedere nel destino dell'uomo quello di tutti gli animali domestici. I polli non venivano mica trattati brutalmente. Anzi, veniva propinato loro il cibo che meglio loro si confaceva. Il male era che ad un dato momento venivano sgozzati.
Ed una seconda, benché orribile visione diede ancora la prova dell'altezza del pensiero del signor Aghios. Una donna vecchia, molto grassa, faceva da cantoniera poco prima di Mestre. Pareva che il petto, molto grosso, le rendesse difficile di stare eretta. E il signor Aghios seppe indignarsi di quello che gli parve la massima ingiustizia fra le tante che facevano le leggi di questo mondo. Gli organi sessuali secondari della donna, le piante più deliziose del mondo, troppo spesso degeneravano in modo da torturare coloro cui non servivano più. Ed il signor Aghios ricordò che. poco prima di partire, aveva visto una cosa simile ed era passato oltre mormorando: "Ammazzarla!". Tanto il suo pensiero s'ingentiliva nella solitudine!
Al momento di lasciare Mestre il biondino nel cantuccio si mosse, tese i bracci per sgranchirsi, come se fosse uscito da un sonno profondo, e mormorò chiaramente: "Come i sogni sono belli! Peccato lasciarli!".
Fu un'avventura enorme nel viaggio del signor Aghios di sentirsi dire una cosa simile da uno sconosciuto. Veniva improvvisamente ammesso nell'intimità di un proprio simile sconosciuto. Con costui non occorreva mica fumare per accostarlo.
Volle ripagarlo di uguale moneta consegnando anche lui qualche cosa della sua intimità . "Io so sognare anche senza dormire" disse sorridendo.
"Eh! sì!" disse con tristezza il biondino, "si può! Quando la realtà non è troppo forte e si può dimenticare." Guardò sorridendo il signor Aghios. Questo sorriso, che seguiva a quelle parole, certificava la loro relazione già divenuta più intima di quelle che di solito si fanno nell'ozio del viaggio. Si conoscevano intimamente. Il signor Aghios era un uomo felice, la cui realtà spariva quand'egli chiudeva gli occhi. Il giovinetto invece era un uomo torturato che per obliare doveva abbandonarsi al sonno. Due destini o forse due caratteri.
Il signor Aghios, nel suo sentimentalismo da viaggiatore ozioso, corse ad aiutare: "Voi, giovini" disse "molto spesso attribuite troppa importanza a cose, che non ne hanno. Guardi! Non volendo dormire troppo, per togliere importanza alla realtà basta pensare una cosa sola: Che cosa sarà di noi due di qui a cent'anni? Non ci sarà che la calma e perciò è facile di anticiparla. Di tutte le cose che a noi d'intorno si muovono, non si moverà che questo vagone, perché la Ferrovia dello Stato tarda molto a mettere in pace le cose".
Il biondino rise e aggiunse anche la sua approvazione ad alta voce: "Sì, la Ferrovia dello Stato è molto economica". Poi si raccolse per trovare la risposta da dare. Infine parve ritirarsi nel proprio guscio, come se fosse pentito di discutere con uno straniero, e con un'occhiata molto eloquente, timida e supplice, disse al signor Aghios: "Per giudicare bisognerebbe lei sapesse tutto e non si può". Guardò fuori della finestra i primi canali della Laguna.
Il signor Aghios ammonì se stesso come talvolta soleva: "Bada di non intrudere! ". Volle anche informare il giovinetto che non gli teneva rancore perché non voleva confidarsi a lui e disse, guardando anche lui fuori della finestra: "La Laguna qui sembrerebbe intaccare la terra ferma ed è invece la terra ferma che aggredisce la laguna. Guardi quei piani fangosi screpolati che giacciono all'aria. Neppur dieci anni fa erano ancora coperti di acqua". E per lungo e per largo il signor Aghios raccontò della lotta secolare fra laguna e terra ferma e delle spese e fatiche che implicavano la conservazione della laguna. Perciò Venezia non poteva sopportare un secondo ponte con la terra ferma, perché ogni piuolo piantato nel fondo della Laguna adunava intorno a sé la fanghiglia, che altrimenti sarebbe andata via, e costituiva una nuova aggressione alla Laguna.
Era un nuovo vantaggio del viaggio per il signor Aghios. Egli sapeva da lunghi anni la storia della Laguna moribonda, che minacciava di finire, come quella di Ravenna, ma il male era che anche sua moglie la sapeva, avendo abitato con lui a Venezia e sentito lui parlarne tante volte. Il suo interlocutore invece, benché certamente veneto, della Laguna non sapeva nulla e stava a sentirlo con gli occhi spalancati, mormorando a mo' di scusa: "Io, a queste cose, non ci pensai giammai, perché ho da lavorare ogni giorno". Ed il signor Aghios, sentendosi pervaso dalla gioia di poter raccontare, insegnare e inventare (non era mica vero che fosse occorso di deviare tanti di quei fiumi per proteggere la laguna!), non poté far a meno di ricordare che una persona che lo conosceva pochissimo, poco prima lo aveva designato di poeta. Come si scoprivano cose e persone in viaggio!
Il biondino sospirò: "Dio sa quello ch'io farò a Venezia fino alla mezzanotte, l'ora del mio treno".
"Anche lei parte alla mezzanotte?" domandò il signor Aghios.
"Sì" disse il biondino. "Vado per un affare a Gorizia e domani ritorno a Udine.",
"E allora vuole che attendiamo il treno insieme? Io devo andare in piazza San Marco per una mezz'oretta. Se vuole tenermi compagnia, io la invito!"
Il senso dell'ultima dichiarazione non ammetteva dubbio. Parve che il biondino volesse sottolineare l'evidente significato. "Io la ringrazio della sua generosità , ma non vorrei disturbarla."
Doveva conoscere bene il signor Aghios, quel biondino. Con quella sua risposta aveva proprio messo la firma a un contratto ed il signor Aghios aveva la religione del contratto. Quando egli aveva detto una parola vi si sentiva legato e inchiodato. Ora egli la parola d'invito l'aveva detta e l'altro aveva fatto segno di averla intesa. Non c'era la possibilità di ritirarsi.
Perciò il signor Aghios insistette. L'altro non ancora accettò. Oramai ci si trovava in piena laguna. Da lontano si vedevano le luci di Murano che il signor Aghios tanto bene conosceva. Si fermò dall'insistere per parlare al suo nuovo amico di Murano e dei suoi vetri.
IV. Venezia
Uscirono dalla stazione dopo di aver messo le loro due valigette nel deposito contro una sola ricevuta.
Il signor Aghios aveva un piano ben definito. Avrebbe voluto andare col vaporino fino alla Riva del Carbon e da lì a piedi - per sgranchirsi un poco - a S. Marco. Era del resto l'unica via di Venezia che il signor Aghios avrebbe saputo camminare da solo e il suo compagno era a Venezia per la seconda volta, ma non ne sapeva gran che.
Si avviarono dunque al vaporino. Già il signor Aghios stava per presentarsi alla cassa, accompagnato dal suo nuovo amico che oramai lo seguiva senza aver ancora decisamente accettato il suo invito, quando si sentì chiamare: "Signor Aghios! ". Si volse. Era Bortolo, il gondoliere di Murano. Il signor Aghios lo salutò con grande affabilità : "Come va? Hai venduto la gondola, che sei qui con la vita?".
Il gondoliere, un uomo sulla cinquantina, alto e magro, tutto nervi e muscoli, la faccia rugosa illuminata da due occhi azzurri giovanili, fu affettuoso e cortese e, prima di rispondere, domandò notizie della salute del signor Aghios, poi della signora Eleonora e infine dei figliuolo. Poi, appena, dichiarò che la gondola era laggiù a sua disposizione: "Vorla degnarse? Andemo a S. Marco".
Il signor Aghios rise e propose di fare le condizioni. Domandò quanto avrebbe dovuto pagare per avere la gondola a disposizione fino alla mezzanotte, l'ora del suo treno.
Bortolo non volle fare delle condizioni. Era sempre così. Poi era difficile di contentarlo quando aveva compiuto il suo servizio. Quella gondola era simile a un locale di divertimenti, di cui il signor Aghios aveva sentito parlare, dall'ingresso libero visto che si pagava all'uscita.
Ma come sempre il signor Aghios s'adattò. Prima di parlare aveva preveduta la risposta, ma aveva voluto parlare anche lui per essere meglio armato per il momento in cui si sarebbe arrivati al pagamento.
Invitò il suo giovine amico a seguirlo e, guidati da Bortolo, scesero all'imbarcadero. Bortolo saltò in una peata, poi in una gondola e infine in un'altra ch'era la sua. Si rizzò con l'aspetto di un generale su un campo di battaglia e cercò il posto necessario per moversi e arrivare alla riva. Gridò a un suo vicino di moversi, ma l'altro dimostrò con parole vivaci di non poterlo fare. Infine Bortolo prese la sua decisione. Disse: "El sior Aghios xe abituà alla laguna e lo go visto far tuto el Tio della Canonica saltando de barca in barca. Lu po' (e si rivolse all'ignoto amico del signor Aghios) non so come che el se ciama, ma so che el xe zovine e el pol anca lu far sto salto. Vegno a aiutarli". Ritornò alla prima barca ormeggiata alla riva e s'inginocchiò a poppa per offrire il suo braccio saldo in appoggio al signor Aghios che con facilità montò sulla peata. Fu seguito dal compagno un po' esitante. Più difficile fu il passaggio sul leggero sandalo che pur bisognava varcare. Anzi il giovine fu in procinto di cadere in acqua e trascinare seco Bortolo. Fu un brutto attimo da cui Bortolo uscì illeso e il giovanotto si fece male al ginocchio che era andato a battere sull'orlo del sandalo.
Bortolo non finiva più di esprimere il suo dispiacere per l'avvenuto. Diceva che non aveva saputo di aver da fare con un uomo che non conosceva le barche. "Me dispiase tanto. So che dolor ch'el e de fracassarsi l'osso sacro del zenocio."
Il nuovo amico del signor Aghios s'er...
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