[Pagina precedente]...endoli di stare in guardia."
"El devi aver tanti amizi castrà i" disse Bortolo, dando alla gondola un bello slancio, puntando il remo al fondo del canale.
L'Aghios rise di cuore. Poi spiegò al Bacis ch'egli era stato conquiso dalla bella, calma filosofia del Meuli. "È una grande scoperta, quella di mettere a frutto un beneficio avuto". L'Aghios rise di cuore: "Io do, eppoi do ancora, ecco che i conti si pareggiano".
"Lei è un uomo straordinario" disse il Bacis con voce profonda. Non richiuse più gli occhi, ma parve immerso in riflessioni profonde e quando l'Aghios gli fece vedere il palazzo Labia sottrarsi per una modestia veramente eccessiva al Canalazzo e gli raccontò che, secondo una leggenda, attorno ad esso, nel rio, doveva esserci sepolto del vasellame d'oro, che ad ogni banchetto vi veniva gettato, il Bacis lo degnò di un'occhiata distratta.
Allo sbarco l'Aghios domandò a Bortolo quanto gli dovesse. Bortolo dichiarò d'affidarsi nella generosità del signore. Quando il signor Aghios ebbe fatto quanto stava in lui per apparire generoso, Bortolo osservò: "Tuto va ben, ma Ela no ga pensà che a sta ora me toca tornar solo soleto fin a Muran. Merito qualche cosa anche per questo". E visto che il signor Aghios non pareva molto convinto della giustezza dell'osservazione, Bortolo osservò: "Prometo de passar per el Rio de Noal e de telegrafarghe. Mi no savevo gnanca che el sia tanto belo. Lo guardarò per, la prima volta". Questo piacque al signor Aghios e lo stimolò a maggiore generosità .
V. Alla stazione di Venezia
La stazione era pressoché vuota. Al restaurant vi erano occupati tre tavoli e da gente che non pareva accingersi al viaggio visto ch'erano privi di bagagli. Non una donna. Dietro il banco alla cassa ve n'era una sola e vecchia.
Del resto il signor Aghios era ansioso di sentire le confidenze di Bacis ed era tutt'intento ad un'attività negativa: Impedire a se stesso di fare un cenno o dire una parola che potesse essere interpretata come un incentivo al Bacis di fare tali confidenze. Non c'era più tempo di guardarsi d'attorno. Il signor Aghios non si trovava in viaggio, ma in una casa. Se nel frattempo il giovanotto avesse deciso altrimenti, egli non avrebbe cercato di farlo desistere. Era un sacrificio, dopo di aver già sacrificato qualche cosa al Bacis e alla sua tragedia. Ma non bisognava fare errori, perché gli errori che si commettono in viaggio sono irreparabili. Le persone che si assistono non si rivedono più e non v'è più riparazione possibile.
Un momento perdettero col cameriere. Il signor Aghios ordinò della carne fredda e del vino. Avevano ancora molto tempo perché, benché la gondola fosse stata contrattata fino alla mezzanotte, Bortolo aveva fatto in modo di liberarsi dal suo fardello alle undici. Il Bacis accettò un pezzo di pane e un pezzo di carne che il signor Aghios gli porse, ma non ne ingoiò che qualche boccone sollecitatovi più volte. Invece vuotò quasi senza accorgersene molti bicchieri di vino, proprio nel corso del discorso cui i bicchieri servivano quasi d'interpunzione. Per imitazione e lui pure senza accorgersene, ne bevette molto anche l'Aghios.
Non c'era pericolo che l'Aghios perdesse le confidenze. Fu un fiume di parole da cui fu investito. Da bel principio irruenti parole, come se fossero giaciute contenute da troppo tempo in gola.
"Io avrei già parlato in gondola. Ma c'era quel gondoliere. Dio mio! Che uomo insopportabile! Certamente disturbava così per rendersi gradevole e farsi aumentare la mancia. Io avrei voluto levarmi in piedi senza ch'egli se ne accorgesse, avvicinarlo e spingerlo in acqua."
Il signor Aghios era tutt'intento ad esaminare la faccia che gli era rivolta e ch'egli vedeva per la prima volta con tanta esattezza. Era una faccia d'adolescente su cui stonava l'ira energica che gli si manifestava e che faceva lampeggiare i suoi occhi azzurri, grandi, ben disegnati, sani perché la cornea ne era nivea, senz'alcuna trasparenza di sangue o di fiele. I capelli biondi, abbandonati, di cui un riccio ricadeva sulla fronte così che il Bacis aveva il bisogno di allontanarveli con la mano, a volte in quella luce rosseggiavano. Una lieve peluria copriva il labbro ed era strano che da una persona vestita di un abito netto, accuratamente ripassato e una camicia di bucato, la barba non fosse fatta da varii giorni, forse un segno della tragedia che gli veniva raccontata.
Il signor Aghios non poté trattenersi dal difendere il povero Bortolo: "Poverino! Fa quello che può!".
Il Bacis prima di ammetterlo dovette pensarci un momento. Poi riconobbe che il signor Aghios aveva ragione e mormorò: "Certo ognuno a questo mondo fa quello che deve. Forse anch'io così e certo allora sarei meno infelice".
"Anch'io" pensò il signor Aghios e, per esserne sicuro, trangugiò un bicchiere di vino. Poi non fu facile al signor Aghios di seguire parola per parola tutto il racconto del Bacis. Il Bacis era costretto ad abbassare la voce per non essere sentito dagli altri. Poi, come il tempo passò, la stanza si vuotò del tutto e di stranieri non vi rimase che la vecchia signora dietro al banco e abbastanza lontana da loro. Allora il Bacis di tempo in tempo elevò di troppo la voce e fu peggio. Un timpano vecchio come quello del signor Aghios, per ragioni ovvie, non sa percepire il suono lieve. Ma non sa nemmeno analizzare e disarticolare il grido forte se vi è impreparato. Però l'effetto dell'esposizione non fu danneggiato da tale sua sordità . Il grido e il pianto possono perdere del loro effetto se la parola che li accompagna non è adeguata.
L'insieme del racconto fu da lui inteso. Non si trattava di una storia troppo complicata. Il Bacis era un milanese di origine friulana che a 17 anni era stato chiamato da un cugino della madre a Torlano nella Carnia per essergli d'aiuto nella direzione di un'azienda agricola. Ora questo cugino aveva una sola figliuola, Berta, e da bel principio, per una tacita intesa di cui anche il giovanotto sapeva, egli avrebbe dovuto sposarla e succedere nella proprietà dell'azienda che amministrava. Il giovanotto non l'amava. Sentiva anche una certa antipatia per il carattere imperioso e presuntuoso della giovinetta, ma spintovi dall'interesse, ch'è tanto potente in tanti giovani cuori, amava l'azienda e la giovinetta dello stesso amore.
"Probabilmente il suo fisico non le piaceva" disse il signor Aghios che sapeva la vita. "Quando una donna non piace è sicuro che ha un carattere disgustoso."
"Può essere!" disse il Bacis con una certa fretta di eliminare un'idea che gli toglieva il corso del suo pensiero. Ma poi non seppe procedere senza aver proprio distrutta quell'obbiezione che gli si attaccava ai piedi e gl'impediva il passo. "Prima ch'io amassi Anna io amai un'altra donna..."
"Chi è Anna?" interruppe il signor Aghios.
"Anna è la nipote del padre di Berta. Quella che m'impedì di tenere gli occhi chiusi e di sposare Berta senz'accorgermi ch'io non sapevo amarla. Ma non sapevo amare Berta proprio per il suo carattere. Prima di Anna io amai un'altra, non so quando, proprio nella mia prima infanzia, ma so che anche quest'altra era debole, debole, dolce, dolce, bisognosa di protezione e più disposta al pianto che alla lotta."
"Insomma sottile, sottile" disse il signor Aghios che intendeva benissimo avendo avuto gli stessi gusti. Non s'accorgeva il signor Aghios di restare ostinatamente fermo nella sua prima idea e di correre perciò il pericolo di fermare il racconto del Bacis.
"Sottile, sottile! Si, anche sottile" disse il Bacis arrendendosi. Il signor Aghios sospirò soddisfatto di aver indovinato.
Il giovanotto aveva visto spesso Anna accanto alla fidanzata, ma non se ne era subito innamorato. Era una bambina, una vera bambina a quattordici anni. Di adulta c'era in lei la grande soggezione ai ricchi parenti, un calcolo dunque da persona molto ragionevole. Ma a quindici anni anche tale soggezione divenne ancora più da adulta, cioè s'ammantò di un po' di tristezza e divenne dolorosa per certi lievi scoppii di ribellione subito repressi, ma non abbastanza prontamente per sfuggire ai parenti che perciò la odiavano. Era vestita più dimessamente di prima, ma ogni straccio sul suo corpicino diventava importante.
Il signor Aghios aveva già bevuto abbastanza per sentirsi capace di conservare tutta la libertà di cui aveva goduto quasi tutto il giorno anche di fronte ad un interlocutore tanto veemente.
Con l'esperienza di chi molto amò e desiderò, ma nello stesso tempo con la parola pacata del vecchio ch'è simile all'uomo oggettivo chiuso nel laboratorio con gli elementi che rubò alla vita, osservò: "Questi stracci appiccicati alla donna amata diventano una sua estensione. È come porre su una fiamma un pezzettino informe di metallo. Quando s'arroventa emana la stessa o anche una maggiore luce della fiamma stessa. C'è una differenza però. Tutti vedono la luce. Non tutti la bellezza di quegli stracci. Grande differenza! ".
Il Bacis tracannò un bicchiere di vino per poter restare col pensiero al proprio discorso. Ma con l'Aghios un bicchiere non bastava, perché era un uomo che in viaggio voleva vederci chiaro
"Perciò io credo che quegli stracci siano piuttosto simili a certi colori la cui bellezza è sentita dai soli artisti o dagl'intenditori. Già ! È evidente! Solo chi ama è un intenditore." E anche il signor Aghios bevette per premiarsi di tanta acutezza.
"Ma tutti dicevano che Anna coi mezzi più semplici era vestita splendidamente."
Poi il Bacis fu anche più irruente per non dar tempo al signor Aghios d'intervenire.
Ma ora parlò chiaramente e sempre con la stessa bassa voce quasi vergognandosi di se stesso, così che il signor Aghios percepì ogni sua sillaba.
"Chi era Anna? Una serva. Chi ero io? Non sapevo di essere uno schiavo disgraziato. Venivo già trattato quale il figlio del padrone. Non si poteva ragionevolmente pretendere ch'io rinunziassi all'alta posizione che mi veniva regalata. Perciò io decisi di godere Anna e sposare Berta. Con lento proposito. Ogni mattina levandomi il mio problema era: Che cosa farò io oggi per conquidere Anna? Senza che altri se ne accorgesse io la circuii delle mie attenzioni. Fu facilissimo ottenerla! Non ci fu altra difficoltà che di trovarla sola, scavalcare un davanzale. Ancora adesso non capisco! Tutti a Torlano l'ammiravano per la sua modestia, la sua ritenutezza, la sua religione. Questa facilità forse m'attaccò tanto a lei, fu la mia sventura e, se Dio m'aiuta, sarà la sua salvezza. Perché si fidò, di me, così subito? Fu ingannata dalla sincerità della mia carne? Sa spiegarlo lei ch'è un filosofo?"
La mente intorpidita del signor Aghios fu scossa da quelle parole del Bacis: Sincerità della carne. Un turbine d'idee sorse da quelle parole. Era la sincerità delle bestie la sincerità della carne, ma anche da esse questa sincerità non durava che un attimo e non rappresentava un impegno. Il Bacis aveva però macchiato quella sincerità , perché in quel medesimo istante egli aveva pensato di simulare. Anche quella sincerità da lui non aveva servito che a tradire meglio.
"A me lei dà del filosofo nello stesso istante in cui ella fabbricò questa terribile idea della sincerità della carne contraddetta dalla falsità di un'altra parte del corpo ch'è anch'essa carne, carne evoluta!"
"Io non ho tempo di pensare a tali cose" disse il Bacis stringendosi nelle spalle. "Io non penso mai; io ricordo per soffrire. Avvenne proprio come le dico. Essa mi sentì sempre sincero ed io sempre seppi di tradirla. Io non credo di aver saputo fingere. Il mio volere fermo di sposare la fortuna, non me ne lasciava il tempo. Se avevo anche sempre pronte le parole per avvisarla ch'essa doveva restare l'umile serva mia e di mia moglie. Pensavo proprio di dirle che di giorno avrebbe potuto continuare a servire mia moglie e qualche notte avrebbe dovuto accogliermi nel suo letto. Per qualche tempo solo, finché ne fossi stato ben sazio. Non dissi tutto ciò solo perché tutto mi pareva sottinteso. Non c'era fretta. E se non ci fosse stato questo mio s...
[Pagina successiva]