[Pagina precedente]...io, da solo, un danno! dall'a alla zeta! Apprezzazione del danno e accordo definitivo! Naturalmente che so quello che faccio e mai ebbi ad incorrere in alcun rimprovero. Oggi, per esempio, corro a Padova proprio per una cosa simile. Un grossissimo cliente ebbe un incendio ed esigeva centosettantacinque mila lire. A Milano proponevano di mandare dei periti, quegli ingegneri imbecilliti nella matematica. Io dissi al direttore di provare d'incaricare me della liquidazione e mi ripromettevo saldare tutto con centocinquantamila lire e conservarmi la riconoscenza del cliente. Il direttore, che mi conosce, disse subito: "Va bene! Tentiamo questa volta noi, uomini d'affari, senza ingerenza di quelle bestie di tecnici. Faccia lei!". Ed io partii dopo di aver messo nel mio portafogli centocinquanta pezzi da mille lire. Guardi qua!" e trasse dalla tasca di petto un portafoglio gonfio, che aperse. "Noi arriviamo a Padova troppo tardi per riscuotere un vaglia e perciò mi carico di tutte queste banconote. Il cliente sarà reso più mite, se vede le banconote in natura", e il grosso uomo rise mostrando i suoi bei denti di carnivoro. "eppoi, chissà che una parte di queste banconote non ritorni alla Società? Il vaglia invece è difficile di frazionare e non si potrebbe offrirne una parte alla volta." Qui il signor Aghios poté competere coll'ispettore. "Anch'io per la mia famiglia assumo volentieri qualunque responsabilità. Nella mia tasca di petto ho ... " esitò per un istante, perché stava per dire la verità, cioè trentamila lire; poi si ricredette e disse: "cinquantamila lire".
"E non ha paura di portare tanti denari con sé?" Il signor Aghios s'arrabbiò: "Se lei crede di saper difendere centocinquantamila lire, io ne saprò certo difendere cinquantamila!".
L'ispettore si mise a ridere di un riso molto più gradevole di prima e l'accompagnò di un'occhiata d'ammirazione pel signor Aghios. "Una vera frase da poeta cotesta!" osservò.
Il signor Aghios si sentiva solleticato nel suo amor proprio, ma tuttavia era in dubbio se aveva ragione di non offendersi. Il poeta era un uomo che sapeva scrivere, ciò che il signor Aghios non sapeva e, non sapendo fare delle poesie, il suo destino era di falsare la verità, vedere aria dove c'era una parete e sbattervi la testa. Fino a Padova non occorreva offendersi però; perché convincere quel signore che non avrebbe rivisto mai più?
Eppure la loro recente relazione doveva farsi più gradevole. Doveva dipendere dal fatto che l'ispettore pensava di essersi presentato a sufficienza e che ormai poteva trattare, con più semplicità. Intanto si preoccupò del denaro del signor Aghios. "Non dica più di avere quel denaro. Capisco che sono stato io a fare il malanno. Ma io ho buon naso e subito compresi che con lei non c'era pericolo. Quello lì, dorme della grossa." Ambedue si misero a guardare il biondino pallido, sempre immobile nel suo cantuccio. Dormiva tranquillo e giaceva sul guanciale come un pupazzetto di cera, scosso dai sobbalzamenti del treno. Soltanto le narici del suo naso fine parevano allargate, quasi per uno sforzo di lasciar passare maggior quantità d'aria. Da quei biondini trasparenti le narici sembravano delle piccole ali. Ma poi il signor Aghios ricordò un suo cavallo imbolsito, che tendeva le narici col solito sforzo fuori di posto dei malati e mormorò: "Dev'essere enfisematico".
Oramai il signor Aghios era accorato per il ricordo del suo cavallino bolso. Nella malattia le bestie somigliavano di più all'uomo. Solo a loro mancava la parola, cioè la bestemmia che più attenua il dolore della malattia. Povere bestie. Il cavallino soffriva e non lo sapeva, ma il suo affanno era molto umano.
L'ispettore aveva acceso il suo toscano e per far dimenticare di essersi vantato di una regola ferrea, gettò un complimento al signor Aghios: "In buona compagnia si fuma di più". Ed il signor Aghios fumò soltanto per restituire il complimento.
Poi l'ispettore predicò e fu molto noioso, ma la salvezza era a mano. Il treno faceva un rumore indiavolato e bastava cessare dallo sforzo di stare a sentire per non sentire più nulla. Tuttavia il signor Aghios sapeva quello che l'ispettore stava dicendo. Parlava di politica ed asseriva che sarebbe bastato il buon volere di tutti per trarre l'Italia da ogni difficoltà. Circa quaranta milioni di buon volere. L'unanimità! Era troppo, mentre il signor Anghios (che si sentiva greco) aveva osservato che quando due italiani si trovano allo stesso tavolo, avevano la gran voglia di lasciarlo per non sentire più l'altro. E lui stesso, ch'era italiano per la nonna e la madre, non avrebbe voluto saltar fuori dal treno per non vedere più il signor ispettore?
E, mentre il signor ispettore parlava, il signor Aghios restò ad analizzare il ricordo della propria nonna. Com'era pallida. Una sola frase che forse gli era stata ripetuta da altri: Il letto è una buona cosa, perché se non si dorme si riposa. Ed una fotografia sbiadita di donna grassa, cadente, vestita a festa con vestiti impossibili che la stringevano nella vita e le lasciavano la gonna larga. La frase era altrettanto sbiadita e il signor Aghios non sapeva staccare la fotografia dalla frase, né la frase dalla fotografia. Pareva insomma che la fotografia avesse parlato. Perciò quella fotografia era più espressiva di ogni altra. Poteva avvenire che quella donna si rimettesse a discorrere.
Ora il signor ispettore era arrivato a parlare delle elezioni. Il signor Aghios, per cortesia, si spostò in avanti per avvicinarsi all'oratore e sentì chiaramente questa frase: "Il voto... obbligatorio". Ritornò al suo posto subito.
Tutto era obbligatorio in questa vita, anche di stare a sentire il signor ispettore. Se si divideva la vita nella parte dedicata alle azioni e alle parole obbligate e in quella riservata ai movimenti di libera iniziativa e ch'era quella che solo meritava il nome di vita, come questa era meschina in confronto di quella. Il signor Aghios era partito anelante alla libertà, ma sapeva che, di lì a qualche giorno, della libertà ne avrebbe avuto abbastanza e avrebbe ambito di riavere il suo giogo. Era così! La schiavitù non era solo un destino, ma anche un'abitudine. Era bello avere la libertà nel momento in cui ci si liberava, come aveva fatto lui che lasciava chiacchierare il signor ispettore senza starlo ad ascoltare.
Ma l'ispettore lo guardò ed egli di nuovo per cortesia s'avvicinò a lui per udirne la parola e senti: "In Italia ci sono troppi capi".
Il signor Aghios, rimessosi al suo posto, seppe subito dimenticare che in Italia ci fossero troppi capi. Aveva guardato fuori della finestra donde era proibito di augurare il bene ed era stato colto da un'idea terribile: "L'avvenire del mondo era di divenire tutto un'unica, una sola città. Addio campagne, addio boschi, addio prati. Come avrebbero mangiato tutti costoro? Chimicamente? Oh! Disgraziati". L'idea colossale gli era venuta dalla vista di tre case coloniche con altre tre più in là e due prima e infine altre quattro. Invadevano i campi! Egli vedeva come fra tutte queste case se ne sarebbero messe delle altre e tutte in fila. Ma però, quando il mondo sarebbe stato tutta una città, lui, sua moglie e persino suo figlio avrebbero domandato poco posto. Era giusto di tranquillizzarsi con tanto egoismo? Non sarebbe stato meglio di soffrire per i posteri? Il signor Aghios sorrise. Il mondo era costruito tanto bene che certi dolori sono impossibili.
In seguito ad un altro richiamo dell'ispettore il signor Aghios arrivò a sentire ancora: "In conclusione io pretendo che il cittadino si scelga un Governo, eppoi non s'ingerisca di altro. Questa è la vera libertà". Sì! Questa era la libertà! Venticinque anni prima il signor Aghios s'era, scelta la consorte. Quale gioia quando, vincendo ogni difficoltà. egli era arrivato a dirla sua, trovando naturale che, in compenso, egli appartenesse a lei. Egli era stato felicissimo. Oh! tanto! Nella grande libertà del viaggio egli tuttavia pensò che se venticinque anni prima, invece che sentire il bisogno di sposarsi, egli avesse sentito l'istinto del malfattore e l'avesse soddisfatto con un omicidio, certo a quest'ora, a forza di amnistie, egli sarebbe stato del tutto libero, magari di viaggiare.
Nel pensiero solitario non c'era nulla di compromettente ed il signor Aghios con un sorriso continuò a vedersi nella veste di un malfattore liberato. È certo che, abitudinario come egli era, avrebbe avuto un desiderio intenso di ritornare alla galera, come fra poco avrebbe anelato di rimettersi sotto la protezione della moglie e soprattutto andare a proteggere quello scervellato di suo figlio, insomma il ritorno alla sua galera. E del resto che cosa poteva rimproverare a quella sua cara (oh! tanto cara!) moglie? Assidua lavoratrice, economa, bella, aveva vissuto alla lettera per lui. Certo lo seccava (ed il signor Aghios sorrise di nuovo) che quand'egli trovava bella una donna, essa subito interveniva a criticarne il naso o la figura. Eppoi essa lo accettava e amava com'era fatto, ma troppo spesso lo incitava di essere meno distratto e più accorto. Insomma veniva costantemente esercitata una pressione su di lui ed egli ora, in viaggio, libero, tentava di ritrovarsi intero. Certo, doveva riconoscere che la pressione non era tanto grave quanto quella che su lui tentava di esercitare quel signor ispettore viaggiante...
A proposito! L'ispettore, che per parecchio tempo era rimasto a guardare fuori della finestra in un sogno vago, quasi fosse alla ricerca di ulteriori idee politiche, s'era abbandonato sul sedile e dormiva russando leggermente.
Di gusto il signor Aghios si mise a ridere e al suono del suo riso l'ispettore non si mosse affatto. Era un bravo uomo quest'uomo d'affari, che si diceva tanto accorto e che dopo di aver raccontato pubblicamente di tener in tasca centocinquantamila lire si metteva a russare. Il signor Aghios si sentì sollevato, come quando trovava la moglie in sbaglio di distrazione. Questo predicatore qui era veramente ridicolo! La vendetta del signor Aghios sarebbe stata più completa se gli fosse stato permesso di rubare quelle banconote. Sarebbe stata una grande soddisfazione di andarsene con quelle centocinquantamila lire. Peccato non essere un ladro! E il signor Aghios, senza nessuna intenzione di attuarlo, studiò il piano per arrivare a quel portafogli da cui avrebbe preso il denaro e anche le carte d'affari, per distruggere queste ultime, visto che bisognava dare una lezione completa a quel grand'uomo. Era tanto semplice! Bisognava sbottonare la giubba chiusa da un bottone solo e, arrivato al portafogli, estrarlo lentamente secondando il movimento del treno.
Il biondino nell'altro cantuccio si agitò, come se nel sonno avesse avuto un incubo.
Non ce ne sarebbe stato di bisogno, perché il signor Aghios mai più avrebbe proceduto ad attuare il piano. Il suo pensiero era tanto libero precisamente perché ogni attuazione ne era lontana. Libero veramente, il pensiero non può essere che quando si muove fra fantasmi. Anche quella giubba e quel bottone in realtà potevano essere più duri di quanto egli sognasse.
Il signor Aghios sorvegliò il biondino, per non sognare neppure il suo delitto prima che l'altro non dormisse.
Ma allora un altro pensiero lo agitò. Si doveva essere vicinissimi a Padova. E se l'ispettore avesse continuato a dormire? Finché dormiva meno male, ma se si fosse destato e avesse continuato a procedere fino a Venezia? Altre prediche, gran Dio!
In quel momento per buona fortuna venne il conduttore a rivedere i biglietti.
Il biondino diede il suo ed anche l'ispettore si destò e subito domandò: "Quando arriviamo a Padova?".
"Fra dieci minuti!" rispose il conduttore.
Meno male. Dieci minuti di predica si potevano sopportare.
Ma il signor ispettore s'era destato di malumore. Non aperse bocca per cinque minuti. Poi si rizzò con risoluzione ferrea e trasse dalla rete la sua valigetta che pose accanto a sé. Guardò poi fuori della finestra e il signor Aghios guardò anche lui nella stes...
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