[Pagina precedente]...NTONIA. E libra nos a malo.
NANNA. ...e non potendo più sofferire la volontà della carne che mi pungea la natura bestialmente, non avendo acqua calda come la suora che mi avvertì di quello che io avea a fare de' frutti cristallini, sendo fatta accorta dalla necessità , pisciai nel manico della vanga.
ANTONIA. Come?
NANNA. Per un bucolino fatto in esso perché si possa empire d'acqua tepida. E che ti vado allungando la trama? Io mi alzai la tonica galantemente, e posato il pomo dello stocco su la cassa, e rivolta la punta d'esso nel corpo, cominciai pian piano a macerarmi lo stimolo: il pizzicore era grande e la testa del cefalo grossa, onde sentiva passione e dolcezza; nientedimeno la dolcezza avanzava la passione, e a poco a poco lo spirito entrava nell'ampolla, é così sudata sudata, portandomi da paladina, lo spinsi inver me di sorte che poco mancò che nol perdei in me stessa, e in quello suo entrare credetti morire d'una morte più dolce che la vita beata. E tenuto un pezzo il becco in molle, sentomi tutta insaponata: onde lo cavo fuora, e nel cavarlo restai con quel cociore che rimane in uno rognoso poi che si leva le unghie dalle cosce; e guardatolo un tratto, lo veggio tutto sangue: allora sì che fui per gridar confessione!
ANTONIA. Perché, Nanna?
NANNA. Perché, ah? Mi credetti esser ferita a morte: io mi metto la mano alla becchina, e immollandola tiro a me, e vedendola con un guanto da vescovo parato, mi reco a piangere: e con le mani in quei corti capegli che, tagliandomi lo avanzo colui che mi vestì in chiesa mi avea lasciati, cominciai il lamento di Rodi.
ANTONIA. Dì quello di Roma, dove ora siamo.
NANNA. Di Roma, per dire a tuo modo. E oltra che io avea paura di morire vedendo il sangue, temea ancora de la badessa.
ANTONIA. A che proposito?
NANNA. A proposito che ella, spiando la cagione del sangue, e inteso il vero, non mi avesse posta in prigione legata come una ribalda; e quando bene non mi avesse dato altra penitenza che il raccontare alle altre la novella del mio sangue, ti parea che non avessi da piangere?
ANTONIA. Non, perché?
NANNA. Perché no?
ANTONIA. Perché accusando tu la suora che tu avevi vista giocare a che egli è dentro il vetro, averesti spedito gratis.
NANNA. Sì, quando la suora si fosse insanguinata come io. Egli è certo che Nanna era a' pessimi partiti. E stando così, odo percuotere la cella mia: onde sciugatimi ben ben gli occhi, mi levo suso e rispondo gratia plena; e in questo apro e veggio che son chiamata a cena; e io che non da suora novella, ma da saccomanna avea pettinato la mattina, e perduto l'appetito per il timor del sangue, dissi che volea star sobria per la sera; e riserrata la porta con la scopa, mi rimasi pensando con la mano alla cotalina. E vedendo pur che ella si stagnava, mi ravvivai un pochetto; e per trapassar l'ozio, ritorno al fesso che vidi tralucere per il lume che per la venuta della notte le suore accesero; e mirando di nuovo, veggio nudo ciascuno: e certo, se il generale e le moniche con i fraticelli fossero stati vecchi gli assimiglierei ad Adamo e ad Eva con le altre animucce dei limbo. Ma lasciamo le comparazioni alle sibille. Il generale fece montare quella erba-da-buoi, cioè il teneron lungone, in una tavoletta quadra su la quale mangiavano le quattro cristianelle di Antecristo; e invece di tromba tenendo un bastone nella foggia che i trombetti tengono il loro istrumento, bandì la giostra, e dopo il "tara tantara", disse: "Il gran soldano di Babilonia fa noto a tutti i valenti giostranti che or ora compariscano in campo con le lance in resta, e a quello che più ne rompe si darà un tondo senza pelo, del quale goderà tutta notte, et amen".
ANTONIA. Bel bandimento: il suo maestro gliene dovette far la minuta. Or via, Nanna.
NANNA. Eccoti i giostranti in ordine; e avendo fatto inguintana del sedere di quella lusca negretta che dianzi mangiò vetro a tutto pasto, fu tratto la sorte, e toccò il primo aringo al trombetta: che facendo sonare il compagno mentre si movea spronando se stesso con le dita, incartò la lancia sua fino al calce nel targone dell'amica; e perché il colpo valea per tre, fu molto lodato.
ANTONIA. Ah! ah! ah!
NANNA. Mosse dopo lui il generale tratto per poliza; e con la lancia in resta correndo, empì l'anello di colui che l'avea empito alla suora; e così stando, fissi come i termini fra dui campi, toccò il terzo aringo a una monica: e non avendo lancia di abeto, ne tolse una di vetro, e di primo scontro la cacciò dietro al generale, appiattandosi per buon rispetto le ventose nel pettig
one.
ANTONIA. Tanto se ne ebbe.
NANNA. Ora vien via il fratoncello secondo, pur tóccogli per sorte, e ficcò la freccia nel berzaglio alla bella prima; e l'altra monica, contrafacendo la sozia con la lancia da le due pallotte, investì nello utriusque del giovanetto, che sguizzò come una anguilla nel ricevere il colpo. Venne l'ultima e l'ultimo: e ci fu molto da ridere, perché sepellì il berlingozzo che era tocco la mattina a pranzo ne l'anello della compagna; ed egli, rimaso dietro a tutti, piantò dietro a lei il lanciotto: di modo che pareano una spedonata di anime dannate, le quali volesse porre al fuoco Satanasso per il carnasciale di Lucifero.
ANTONIA. Ah! ah! ah! che festa!
NANNA. Quella luschetta era una suora tutta sollazzevole, e mentre ognuno spingeva e menava, dicea le più dolci buffonarie del mondo; e io udendo ciò risi tanto forte che fui udita: e sendo udita mi ritrassi indietro; e garrendo non so chi, dopo un certo spazio di tempo ritornando alla vedetta, la trovai coperta da un lenzuolo: e non potei vedere il fine della giostra, né a chi si diede il pregio.
ANTONIA. Tu mi manchi nel più bello.
NANNA. Io manco a te perché fu mancato a me. E mi spiacque al possibile di non poter veder fare il seme alle fave e alle castagne. Or per dirti, mentre io era adirata con le mie risa che mi aveano tolto il luogo alla predica, odo di nuovo...
ANTONIA. Che odisti? dì tosto.
NANNA. Tre camere potea vedere per i fessi che erano nella mia..
ANTONIA. Ben erano i muri tutti sfessi: io ne disgrazio i vagli.
NANNA. Io mi credo che desseno poca cura di riserrà gli, e mi stimo che avesseno piacere l'una dell'altra. Come si sia, odo un ansciare, un sospirare, un rugnire e un raspare che parea che venisse da dieci persone che se dolessero in sogno, e stando attenta odo (allo incontro della parte che mi dividea donde si giostrava) parlar alla muta; e io con l'occhio ai fessi: per i quali scorgo a gambe alte due sorelline grassettine, frescoline, con quattro coscette bianche e tonde che pareano di latte rappreso sì erano tremolanti, e ciascuna tenendo in mano la sua carota di vetro, cominciò l'una: "Che pazzia è questa a credere che l'appetito nostro si sazi per via di questi imbratti che non hanno né bascio, né lingua, né mani con le quali ci tocchino i tasti; e quando bene le avessero, se noi proviamo dolcezza co' dipinti, che faremmo noi co' vivi? Noi ci potremmo ben chiamare meschine se consumassimo la nostra gioventudine co' vetri". "Sai tu, sorella," rispondea l'altra, "io ti consiglio che te ne venga meco"; "E dove vai tu?" disse ella; "Io sul far del dì mi voglio sfratare e girmene con un giovane a Napoli, il quale ha un compagno suo fratel giurato che sarebbe il caso tuo: sì che usciamo di questa spelonca, di questa sepoltura, e godiamo della nostra etade come debbeno godere le femine". E poca diceria bisognò all'amica, che era di poca levata; e nello accettare lo invito, avventò insieme con essa contra il muro i cedri di vetro, ricoprendo il romore che fecero nello spezzarsi con gridare "Gatti! gatti!", fingendo che avessero rotte guastade e ciò che c'era. E lanciate del letto, prima fecero fardello delle miglior robbe, e poi uscir fuor di camera; e io mi rimasi. Quando eccoti un suon di palme, un "oimè, trista a me", un graffiar di volto, un squarciar di capegli e di panni molto stranio; e a fede di leale mia pari, che mi credetti che fosse appiccato il fuoco nel campanile; onde miso l'occhio alle fessure dei mattoni, veggio che è la Paternità di mona badessa che fa le lamentazioni di Geremia apostolo.
ANTONIA. Come la badessa?
NANNA. La divota madre delle moniche e la protettrice del monistero
ANTONIA. Che aveva ella?
NANNA. Per quello che posso considerare, era stata assassinata dal confessore.
ANTONIA. A che modo?
NANNA. Egli, in sul più bel dello spasso, le avea cavato lo stoppino della botte e lo volea porre nel vaso del zibetto; e la poveretta, tutta in sapore, tutta in lussuria, tutta in sugo, inginocchiata ai suoi piedi, lo scongiurava per le stimmate, per i dolori, per le sette allegrezze, per il pater noster di san Giuliano, per i salmi penitenziali, per i tre magi, per la stella e per santa santorum: né poté mai ottenere che il nerone, il caino, il giuda le ripiantasse il porro nell'orticello, anzi, con un viso di Marforio, tutto velenoso, la sforzò con i fatti e con le bravarie a voltarsi in là ; e fattole porre la testa in una stufetta, soffiando come un aspido sordo, con la schiuma alla bocca come l'orco, le ficcò il piantone nel fosso ristorativo.
ANTONIA. Poltronaccio.
NANNA. E si pigliava un piacere da mille forche nel cavare e mettere, ridendo a quel non so che che udiva allo entrare e allo uscire del piuolo, simigliante a quel lof tof e taf che fanno i piedi dei peregrini quando trovano la via di creta viscosa che spesso gli ruba le scarpe.
ANTONIA. Che sia squartato.
NANNA. La sconsolata, col capo nella stufa, parea lo spirto d'un sodomito in bocca del demonio. Alla fine il padre, spirato dalle sue orazioni, le fece trarre il capo fuora, e sanza schiavare, il fratacchione la portò su la verga fino a un trespido; al quale appoggiata la martorella, cominciò a dimenarsi con tanta galantaria, che quello che tocca i tasti al gravicembalo non ne sa tanto; e come ella fosse disnodata, tutta si volgea indietro volendosi bere i labbri e mangiare la lingua del confessore tenendo fuora tuttavia la sua che non era punto differente da quella d'una vacca, e presagli la mano con gli orli della valigia, lo facea torcere come gliene avesse presa con le tanaglie.
ANTONIA. Io rinasco, io trasecolo!
NANNA. E intertenendo la piena che volea dare il passo alla macina, il santo uomo compì il lavoro, e forbito il cordone con un fazzoletto profumato e la buona donna nettato il dolcemele, dopo un nonnulla si abbracciaro insieme; e il frate ghiottone le dicea: "Parevati onesto, la mia fagiana, la mia pavona la mia colomba, anima delle anime, core dei cori, vita delle vite che il tuo Narciso, il tuo Ganimede il tuo angelo non potesse disporre per una volta dei tuoi quarti di dietro?", ed ella rispondeva: "Parevati giusto, il mio papero il mio cigno, il mio falcone consolazione delle consolazioni, piacere dei piaceri, speranza delle speranze, che la tua ninfa, la tua ancilla, la tua comedia per una fiata non dovesse riporre il tuo naturale nella sua natura?"; e avventandosigli con un morso gli lasciò i segni neri dei denti nei labbri, facendogli cacciare uno strido crudele.
ANTONIA. Che piacere.
NANNA. Dopo questo la prudente badessa gli grappò la reliquia: e porgendole la bocca, la basciava soavemente, poi imbertonata di essa, la masticava e la mordeva come un cagnuolino la gamba o la mano, per la qual cosa si gode del suo mordere che fa piangere ridendo: così il ribaldone frate al pungere dei morsi di madonna, tutto festevole dicea "ahi! ahi!".
ANTONIA. Potea pur levargliene un pezzo co' denti, la minchiona.
NANNA. Mentre la buona limosina della badessa scherzava col suo idolo, la porta della sua camera è tocca pianamente: onde restaro sopra di sé tutti e dui, e stando ' ascoltare, odono sufolare con un suono fioco fioco, e allora si avvisaro che quello era il creato del confessore, che venne dentro però che gli fu aperto di subito; e perché sapea quanto pesava la lor lana, non si guastaro niente: anzi, la traditora badessa, lasciato il franguello del padre e preso per le ali il calderino del figliuolo, distruggendosi di f...
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