[Pagina precedente]...ete in su la briglia la bocca e le mani, e serviteci per istanotte del vostro battisteo". La pecora, che non avea naso da fiutare il giallo delle rose, né dita da serrare i fori del zufolo, dando poca cura di basciare o di toccare con mano, sfoderò il suo piedi-di-trespolo con la testa fumante e infocato, tutto ricamato di porri; e datogli suso un buffetto, disse: "Questo è al piacer della Signoria vostra", ed ella, recatoselo nella palma, dicea: "Il mio passerino, il mio colombino, il mio pincino, entra qui nel tuo armario, nel tuo palagio, nel tuo stato"; e cacciatoselo nella pancia accostatasi al muro, alzando una gamba volle mangiare le salcicce in piedi: e il poltroncione le dava spinte crudeli. Io in quel mentre simigliava una mona che mastica il boccone inanzi che lo abbia in bocca: e se non che mi stuzzicai con un pestello di metallo che ivi trovai sopra una cassa (il quale, secondo che me ne venne lo odore, avea pestato canella), certo certo mi moriva per la invidia del piacere altrui. Ora il volto-di-cavallo diede compimento alla opera; e la donna, stracca e non isfamata, si pose a sedere nel lettuccio: e preso di nuovo il can per la coda tanto lo aggirò che lo ritornò in gangheri: e facendosi schifo del viso del maestro, si voltò in là , e grappato il salvum me fac con furia se lo mise nel zero; poi lo cavò e se lo ripose nel quadro, e poi nel tondo; e così finì il secondo assalto con dirmi: "C'è ben rimasta la parte tua, sì". Io che venia meno come un che muor di fame e non può mangiare, mi mettea a ordine per porre il dito in un luogo al volpone che drizzava il sentimento in un tratto (e imparai tal segreto dal baccelliere né te lo ho detto perché mi era scordato), quando ecco che udiamo percuoter la porta alla sicura: e si potea ben dire a chi picchiò "O tu sei pazzo o tu sei di casa". A quel romore il capogrosso divenne nel viso come uno che ha fama di buono ed è giunto a rompere una sagrestia, e noi, che avevamo il volto invetriato, salde, al secondo battere ella conobbe il marito onde si diede a ridere forte forte, e ridea tuttavia più, e rise tanto che il marito udì. Come ella si accorse di esser stata udita, disse: "Chi è giù?"; "Io sono", disse egli, ed ella: "O marito mio, io scendo, aspetta". E dettoci "Niuno si parta", gli gì a aprir; e apertogli, dicea: "Uno spirito mi ha detto "non te ne andare a letto, che certo certo egli non è per dormire fuora istanotte", e perché non mi venisse addormentata ho tenuto meco la vicina nostra che, contandomi la vita che la poverina fece nel monestero mi avea fatto tutta commovere, e se non che accortami che il nostro maestro è un fa-la-ninna, me lo feci venire inanzi rallegrandomi con le sue castronaggini, la facea male". E menato il credo in deum suso, sanza intendere altro, si pose a ridere vedendo il maestro che, sbigottito per la venuta sua, pareva un sogno rotto. E vista che mi ebbe, fece disegno di entrare in possessione del mio poderetto, e per aver agio di domesticarsi meco, entrò a dosso al maestro, e fingendo di aver piacere di lui, gli fe' dire la A B C al contrario: e il cattivo, dicendola al contrarissimo, lo facea cadere allo indietro per le risa. Intanto io, che sapea la fantasia delle occhiate mescolate con alcuno premere di piedi, dico: "Poiché le vostre fantesche se ne sono ite al letto, andrò a dormire fra loro" "No, no", risponde lo amico; e volto alla moglie disse: "Menala nel camerino e corcala ivi". E ciò si fece e corcata che fui egli dice in modo che io oda, acciò non dubiti di lui: "Mi è forza, moglie mia, di ritornare donde mi sono pur ora partito; manda cotesto lasciami-stare" a letto, e poi vattici anche tu". Ella, che le parve toccare il ciel col dito, si pose a rimescolare tutta la robba di un cassone per dimostrare di volerlo aspettare fino al dì: ed egli, sceso con fracasso la scala, diserrò la porta; e rimanendo dentro la chiuse come faria uno che fosse uscito di essa. E ritornato suso gatton gattone, entrò dove io dormiva sanza dormire e pianamente mi si pone allato. Io, nel pormi la mano sul petto, entrai in quella frenesia che si pate quando talvolta si dorme col corpo in suso: che pare che una cosa greve greve ti si ponga a sedere nel core, che non ti lascia né parlar né muovere.
ANTONIA. La fantasima è cotesta.
NANNA. Ella è dessa. Ed egli mi dicea: "Se tu taci, buon per te"; e così dicendo mi vezzeggiava soavemente la guancia con la mano; ed io dicea pur: "Chi è questo?"; "Sono io, sono", rispondea lo spirito invisibile, e volendo aprirmi le cosce, che tenea più strette che non tengono le mani gli avari, credendomi dir piano "Madonna, o madonna", fui udita da lei. Onde il suo marito che era meco ai ferri, uscitomi da lato corse in sala, e in quello che la moglie corse con un lume a veder ciò che io avea entrato onde ella si partì per venire a me, vide il bufolo colcato nel suo luogo che si stropicciava il manipolo aspettando di far cantare con esso la calandra. E nel dirmi la facitrice-delle-fusa-torte "Che hai tu?" uno "oimè" più simile al ragghio dello asino che alla voce dell'uomo mi tolse la risposta di bocca: perché il marito con la paletta dal fuoco rifrustava bistialmente il maestro, e se ella venuta in suo aiuto non glielo toglieva delle branche, mal per lui.
ANTONIA. Egli avea ragione di romperlo tutto.
NANNA. L'avea e non l'avea.
ANTONIA. Come diavolo no?
NANNA. Ci è da dire assai. E quando ella vide uscire il sangue dal naso del goffo, si acconciò le mani in sui fianchi e, voltatasi al marito che ruppe la pacienza del rispetto visto il gaglioffaccio ove lo vide, con un dimenar di capo disse: "E chi ti pare ch'io sia, ah? chi sono io, eh? Ben disse il vero la balia, che mi tratteresti non altrimenti che mi avessi ricolta degli stracci come io ho ricolto te: le sue profezie sono adempite, le quali mi dissero sempre "non lo tòrre, non lo tòrre, che sarai la malmenata". Adunque con un pezzo di carne con gli occhi si ha da stimare che si ponga una mia pari? Dimmi, perché lo hai tu battuto? perché? Che gli hai tu visto fare? Debbe essere uno altare sagrato il nostro letto, che un pazzerone lo abbia da riguardare: come tu non sapessi che questi cotali uomini, levatogli dai libri, non sanno in qual mondo si sieno. Orsù, io ti ho inteso, tu la vuoi così, e così sia: domattina in quel punto vo' che il notaio faccia il mio testamento, acciò che non goda del mio un mio nimico, uno che fa la sua moglie puttana sanza saper perché"; e rialzando le voci, segue piangendo "Oimè, trista me! Io son donna da ciò?", e misosi le mani nei capegli, parea che il padre le fosse stato ucciso dinanzi agli occhi. Io rivestitami in un punto e corsa al romore le dico: "Orsù mo' non più, al grazia: non si dia da dire al vicinato; non piangete, madonna".
ANTONIA. Che rispose il suo bravo-in-piazza?
NANNA. Perdette la favella a quel suo minacciare del testamento: perché sapea che chi non ha oggidì della robba è peggio che un cortigiano sanza grazia, sanza favore e sanza entrata.
ANTONIA. E non è ciancia.
NANNA. Non potei far di non ridere nel vedere il poveruomo in camiscia accovato in un cantone tutto tremante.
ANTONIA. Dovea parere una volpe nelle reti, che vedesse fioccarsi a dosso un nuvolo di mazzate.
NANNA. Ah! ah! ah! Tu l'hai detto. Insomma, il marito che non volea refutare la canna-foglia a petizione dello asino che ne avea tolto una scorpacciata, né perdere la pastura che era verde per lui tutto lo anno, le si inginocchiò ai piedi: e tanto fece e tanto disse, che ella gli perdonò, e io mangiai del pan pentito, bontà dello star mio in sul non-voglio. E gitosi il maestro con una dozzina di palettate a letto, loro si colcaro pacificati, e io ancora. E venuto il tempo di levarsi, eccoti mia madre che mi rimenò a casa: dove, curata la mia persona, stei tutto quel dì balorda per la mala notte che io ebbi.
ANTONIA. Cacciossi via il pedagogo?
NANNA. Come cacciar via? Di lì a otto giorni lo vidi in arnese come un signore.
ANTONIA. Certo è che come un tale, un famiglio, un fattore e un domestico di casa passa i termini del vestire, dello spendere e del giocare, egli becca della padrona.
NANNA. Non ci è dubbio. Veniamo a una che si struggeva di farsi porre il fuso nella rocca da un villanzone che avea fama di avere la caviglia simile al toro e al mulo. Ella era sposa di un cavaliere spron d'oro attempato, fatto da papa Ianni, che menava più puzza del suo cavalierato che non ne mena il Mainoldo da Mantova. E in quel suo andare a man dritta si pavoneggiava e si dimenava in un modo da ridere; e a tutti i propositi dicea "Noi cavalieri", e nel comparire i dì solenni con alcune sue belle vesti, tenea tutta una chiesa con lo spasseggiare per lettera, né parlava mai se non del gran Turco e del soldano, e tutte le novelle del mondo sapea egli. Ora la moglie di questo fastidioso, ad ogni cosa che venia dalle possessioni, borbottava, se venivano polli ella dicea: "E non più di questi? noi siamo rubati", se le erano portati frutti: "Che bella razza: i maturi son trangugiati e a noi si danno gli acerbi"; se insalate, una nidiata di uccellini, un mazzetto di fragole o simili gentilezze se le presentavano, ed ella: "Oh, stiamo freschi: queste cose non voglio io, queste ci si fanno pagare col grano, col vino e con lo olio", di modo che misse con le sue ciance in sospizione il marito, di sorte che mutò lavoratore. E consigliato da lei, si convenne con quello che avea pertica da spazzare ogni gran camino: e fatto la scritta seco, entrò in sul podere, e venuto dell'altro dì alla città , visitò la casa tutto carico; e percosso la porta col piede, che gli fu aperta al primo, salse le scale. Egli avea un bastone in su la spalla, dal capo di dietro del quale pendevano tre paia di anetre, e dal capo dinanzi tre paia di capponi; e nella mano dritta tenea un canestro con forse cento uova e alquanti casciuoli: egli parea una massara veniziana che con una mano tenesse il bigòlo (dicono elle) con un secchio di qua e di là , e con l'altra uno altro. E col saluto e con lo inchino, percotendo la punta dello scarpone in terra, presenta la nuova padrona che, avendo riguardo più al calendario che allo Ogni-santi, gli fece una accoglienza che saria stata troppo al suo cavaliere. E fattogli porre inanzi una merenda che toccava di disinare e di cena sopra la tavoletta di cocina, sollecitandolo a bere di un gran boccale di vino bianco che avea una vena di dolce, e vedutogli un volto rubicondo a suo modo, gli disse: "Quando sia che vi portiate bene delle cose nostre, goderete di esse in vita". E non essendo il cavaliere in casa, disse "Tu non odi?" alla serva: che comparsa a lei, perché così le comandò, gì a votare il canestro, e rendutolo al lavoratore, messe le anetre dove ne avea delle altre. Pigliando poi i capponi per mettergli fra i capponi, ella le disse "Restati qui" e facendogli pigliare al villano, se lo menò dietro in soffitta e sciolti i piedi ai polli che indogliti stettero un'ora sanza moversi, serrata la finestrella del tetto, volle vedere con che ferri si avea a lavorare il suo terreno e se la presenza di essi giungeva alla fama: e mi giurò la sua fante che udì scosse di suso che parea che ruinasse il palco. E fattosi inestare due volte, fingendo di ragionar seco dei mali portamenti che erano stati fatti del lavoratore passato agli olivi e ai peschi, se ne vennero giuso; e non potendo egli più aspettare il cavaliere, perciò che la porta già si serrava, preso licenza dalla madonna ritornò alla villa tutto allegro; e non mancò niente che egli non raccontasse la sua ventura al domine. Or rimasa la donna stupefatta della smisurata faccenda che le avea empita la dogana fino alla volta, ecco che si leva un romore per la terra, e chi corre in qua e chi corre in là : e si udiva gridar "Serra! serra!". In questa ella, fattasi al balcone, vede alcuni suoi parenti in furore, con spade tratte e le cappe al braccio, altri sanza berretta con lancioni, ronche e spiedi, onde, fatta di cenere nel viso tutta si smarrì: in questo vede in su ...
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