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ANTONIA. Che bisogna giurare, se io tel credo e st
acredo?
NANNA. Io pisciai sanza pisciare...
ANTONIA. Ah! ah! ah!
NANNA. ...una certa pania bianca che parea bava di lumache. Ora egli me lo fece tre volte, con riverenza parlando: due alla antica e una alla moderna; e questa usanza, abbila trovata chi vuole, non mi piace punto: meffé no, che ella non mi piace.
ANTONIA. Tu hai il torto.
NANNA. Stiamo freschi se io ho il torto; e chi la trovò ebbe dello svogliato: né potea girci gusto veruno se non quello... tu me lo farai dire.
ANTONIA. Nol mentovare invano, perché è un boccone che se ne fa alla grappa più che delle lamprede; è una vivanda da gran maestri.
NANNA. Abbinsela. Ora al proposito nostro: poi che il baccelliere mi ebbe piantato due volte lo stendardo nella rocca e una nel rivellino, mi dimandò se io avea cenato io che al fiato mi avvidi che egli era pasciuto come l'oche dei Giudei, gli risposi di sì: onde egli mi si recò in grembo, e con un braccio mi cingeva il collo e con la mano dello altro mi festeggiava ora le gote e ora le poppe, mescolando le carezze con basci saporiti al possibile; di modo che fra me stessa ringraziava l'ora e il punto del mio farmi suora, giudicando il vero paradiso quello delle suore. E così stando, venne un gricciolo al baccelliere, e si deliberò di menarmi a processione per il monestero, dicendo: "Dormiremo poi il giorno", e io che avea visto tanti miracoli in quattro camere, mi parea cento anni di vederne degli altri per le altre. Egli si cavò le scarpe e io le pianelle e tenendomi egli per mano, gli giva dietro ponendo il piede in terra come avessi a porlo sopra l'uova.
ANTONIA. Ritorna indietro.
NANNA. Perché?
ANTONIA. Perché ti sei dimenticata di quelle due rimase in secco per lo errore del mulattiere
NANNA. Io certamente ho dato le cervella al cimatore. Le meschine, le sfortunate, sfogaro la rabbia suso le palle dei capofuochi: e infilzatesi in esse, ci scambiettavano sopra come i rei nei pali turcheschi; e se non che quella che finì il ballo prima soccorse la compagnetta sua, la palla le saria uscita per bocca.
ANTONIA. O questa sì che è grande ah! ah! ah!
NANNA. Io me ne andava dietro al drudo cheta come un olio, ed ecco che vediamo la celletta della cuoca mezza chiusa dalla smemorata, e dandogli una occhiata, la vedemmo scherzare in cagnesco con un peregrino che chiedendole (mi stimo io) la carità per gire a San Iacopo di Galizia, lo avea raccolto dentro: e la schiavina sua si stava sopra la cassa ripiegata, e il bordone, sul quale era una tavoletta col miracolo, appoggiato al muro, e la tasca piena di tozzi dava da trastullarsi a una gatta alla quale gli amanti giolivi, occupati, non davano cura; né al barlotto, caduto sottosopra, che tuttavia versava il vino. Noi non degnammo perdere il tempo in così lordo amorazzo: ma arrivati alle fessure della camera di madonna celleraia, che mancatole la speranza del venir del suo piovano, si condusse in tanto furore che, acconcio un fune ad una travetta, salita suso un trespolo e adattatosi il capestro al collo, si arrischiava di dar col piede nel sostegno, e già apriva la bocca per dire al piovano "Io ti perdono", quando egli, giunto all'uscio e sospintolo, entrò dentro e visto la sua vita al termine detto, lanciatosi a lei e ricoltola nelle braccia, disse: "Che cose son queste? Adunque io da voi, cor mio, sono tenuto un mancatore di fede? e dove è la divinità della prudenza vostra? dove è ella?". A quelle dolci parole ella rilevò la testa come si rilievano gli stramortiti nello spruzzargli l'acqua fredda nel viso, e risentissi proprio come si risentono i membri assiderati al calor del fuoco, e il piovano gittato la corda e 'l trespolo, la pose nel letto, ed ella, datogli un bascio, lentamente gli dice: "Le orazioni mie sono state esaudite, e voglio che mi fate porre di cera dinanzi alla imagine di san Gimignano, con lettere che dicano "raccomandossi e fu liberata"", e ciò detto, allo uncino delle sue forche impiccò il pietoso piovano: che, stucco al primo boccone della capra, dimandò il capretto.
ANTONIA. Io te lo ho voluto dire, ed emmisi scordato: parla alla libera, e dì "cu', ca', po' e fo'", che non sarai intesa se non dalla Sapienza Capranica con cotesto tuo "cordone nello anello", "guglia nel coliseo", "porro nello orto", "chiavistello ne l'uscio", "chiave nella serratura", "pestello nel mortaio", "rossignuolo nel nido", "piantone nel fosso", "sgonfiatoio nella animella", "stocco nella guaina"; e così "il piuolo", "il pastorale", "la pastinaca", "la monina", "la cotale", "il cotale", "le mele", "le carte del messale", "quel fatto", "il verbigrazia", "quella cosa", "quella faccenda", "quella novella", "il manico", "la freccia", "la carota", "la radice" e la merda che ti sia non vo' dire in gola, poi che vuoi andare su le punte dei zoccoli; ora dl sì al sì e no al no: se non, tientelo.
NANNA. Non sai tu che l'onestà è bella in chiasso?
ANTONIA. Dì a tuo modo, e non ti corruccerai.
NANNA. Dico che, ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne, godea come un pazzo del vederlo entrare e uscire; e nel cavare e nel mettere avea quel sollazzo che ha un fante di ficcare e sficcare le pugna nella pasta. Insomma il piovano Arlotto, facendo prova della schiena del suo papavero, ci portò suso di peso la serpolina fino al letto; e calcando il suggello nella cera a più potere, si fece da un capo del letto, rotolando, fino al piede, poi fino al capo; e di nuovo ritornando in suso e in giuso, una volta veniva la suora a premere la faccenda del piovano, e una volta il piovano a premere la faccenda della suora; e così, tu a me e io a te, ruotolaro tanto, che venne la piena: e allagato il piano delle lenzuola, caddero uno in qua e l'altro in là , sospirando come i mantici abandonati da chi gli alza, che soffiando s'arrestano. Noi non ci potemmo tenere di ridere quando, schiavata la serratura, il venerabil prete ne fece segno con una sì orrevole correggia (salvo il tuo naso) che rimbombò per tutto il monestero: e se non che ci serravamo la bocca con la mano l'uno a l'altro, saremmo stati scoperti.
ANTONIA. Ah! ah! ah! E chi non avrebbe smacellato?
NANNA. E partitici a tentoni dalla ciancia che facea le cose sue da dovero, vedemmo la maestra delle novizie che traeva di sotto il letto un facchino più sporco che non è un monte di cenci e gli dicea: "Vieni fuora il mio Ettor troiano, il mio Orlando dal quartiere, eccomi tua servitrice, e perdonami del disagio che nello asconderti ti ho dato: egli mi fu forza a farlo". E il manigoldone, alzando gli stracci suoi, le respondea col cenno del membro, ed ella, non avendo torcimanno che le spianasse le sue cifere, le diede a interpretrare alla sua fantasia: e il zoticone, cacciatole il roncone nella siepe, le fe' veder mille lucciole, e la pigliava con le zanne di lupo nelle labbra con tanta piacevolezza che le facea venir giù le lagrime a quattro a quattro; onde noi, per non vedere la fragola in bocca allo orso, gimmo altrove.
ANTONIA. Dove giste?
NANNA. A un fesso che ci mostrò una suora che parea la madre della disciplina, la zia della bibbia e la suocera del testamento vecchio appena che io soffersi di guatarla: ella avea in capo da venti capelli simili a quelli di una spelatoia, tutti lendinosi, e forse cento crespe nella fronte; le sue ciglia folte e canute, gli occhi che gocciavano una certa cosa gialla.
ANTONIA. Tu hai una acuta vista, se insino ai lendini scorgi di lontano .
NANNA. Attendi a me. Ella avea bavosa e moccicosa la bocca e il naso, e pareano le sue mascelle un pettine d'osso da pidocchiosi con duo denti i labbri secchi e il mento aguzzo come il capo d'un genovese: ii quale avea per sua grazia alcuni peli che spuntavano fuora a guisa di quei d'una leona, ma pungenti (mi penso io) come spine, le poppe pareano borse d'uomo sanza granelli, che nel petto le stavano attaccate con due cordelle, il corpo (misericordia), tutto scropuloso, ritirato in dentro e con il bilico in fuora. Vero è che ella avea intorno al pisciatoio una ghirlanda di foglie di cavoli che parea che fossero stati un mese nella testa a un tignoso.
ANTONIA. Ancora santo Nofrio portava un cerchio da taverna intorno alla sua vergogna.
NANNA. Tanto meglio. Le cosce erano fuscelli ricoperti di carta pecorina, e le ginocchia le tremavano sì, che stava tuttavia per cadere; e mentre ti imagini gli stinchi suoi e le braccia e i piedi, ti dico che le unghie delle sue mani erano lunghe come quella che avea il Roffiano nel dito picciolo, la quale portava per nimicizia, ma piene di mestura. Ora ella, chinata in terra, con un carbone facea stelle, lune, quadri, tondi, lettere e mille altre cantafavole, e ciò facendo chiamava i demoni per certi nomi che i diavoli non gli terrebero a mente; poi, aggirandosi tre volte intorno alle catarattole dipinte, si volgea al cielo tuttavia borbottando seco; poi, tolta una figurina di cera nuova nella quale erano fitti cento aghi (e se tu hai mai visto la mandragola, tu vedi la figura) e postola tanto allato al fuoco che lo potea sentire, e volgendola come si volgono gli ortolani e i beccafichi perché cuochino e non si abbruscino, dicea queste parole:
Fuoco, mio fuoco strugge
quel crudel che mi fugge;
e voltandola con più furia che non si dà il pane allo spedale, soggiungea:
Il mio gran pizzicore
mova il mio dio d'amore;
e cominciando la imagine a scaldarsi forte, dicea con il viso fitto nello spazzo:
FÃ , demonia, mia gioia,
ch'ei venga o che si muoia.
Al fin di questi versetti, eccoti uno che le batte la porta alitando come uno che co' piedi abbia (sendo stato giunto a far danno in cocina) risparagnato un monte di bastonate alle sue spalle: onde ella riposti tosto tosto gl'incantesimi, gli aperse.
ANTONIA. Così ignuda?
NANNA. Così ignuda e il poveruomo, sforzato dalla negromanzia come la fame dalla carestia, le gittò le braccia al collo, e basciandola non men saporitamente che se ella fosse stata la Rosa e l'Arcolana, dava quelle lode alla beltà sua che danno quelli che fanno i sonetti alle Lorenzine, e la maladetta fantasima, dimenandosi tutta e gongolando, gli dicea: "Son queste carni da dormirsi sole?".
ANTONIA. Ohibò!
NANNA. Non ti guasterò più lo stomaco con la vecchia trentina, che non so altro di lei perché non ne volli vedere altro: e quando lo affatturato secolare giovane di prima barba la calcò suso uno scabello, feci la gatta di Masino, che serrava gli occhi per non pigliare i topi. Ora al rimanente. Dopo la vecchia pervenimmo alla sarta, che era ai ferri col sarto suo maestro: e scopertolo tutto ignudo, gli basciava la bocca, le mammelle, il battitoio e il tamburo come bascia la balia al suo figliuolo di latte il visetto, il bocchino, le manine, il corpicello, il pinchino e 'l culetto, che pare che se lo voglia succiare nel modo che egli sugge a lei le poppe. Certo volevamo acconciar l'occhiolino alle scommessure per veder tagliare dal sarto i lembi della tonica della sarta, ma udivamo un grido, e dopo il grido uno strido, e appresso dello strido uno "oimè", e finito l'"oimè", uno "o Dio" che ci percosse tutto il core. E avviatici ratti donde uscivano le voci che ricoprivano il calpestio dei nostri passi, vedemmo una che avea mezza una creatura fuora della canova: che poi col capo inanzi la pisciò a fatto al suono di molte peta profumate. E visto che era maschio, chiamaro il padre d'esso, don guardiano, che venne accompagnato da due suore di mezza età : alla venuta del quale si cominciaro a squinternare allegrezze signorili. Dicea il guardiano: "Poiché qui, in questo desco, è carta, penna e inchiostro, io vo' fare la sua natività ", e disegnato un milione di punti, tirando certe righe infra essi, dicendo non so che della casa di Venere e di Marte, si volse a quella brigata e disse: "Sappiate, sorelle, che mio figliuolo naturale, carnale e spirituale sarà un Messia, uno Antecristo o Melchisedech"; e volendo vedere la buca di donde egli era apparso, tirandomi il mio baccelliere per i panni, gli feci cen...
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