RAGIONAMENTO, di Pietro Aretino - pagina 3
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Alla fine ci fermammo tutti a vedere la savia ministra delle moniche arrecarsi alle cose oneste e convitare a cenare e a dormir seco il valente uomo: che per non si scorticare, parlando una notte, fece correre tutto il paese al miracolo, onde il monistero ne fu canonizzato per santo.
ANTONIA.
Ah! ah! ah!
NANNA.
Nella terza ci erano (se ben mi ricordo) ritratte tutte le suore che fur mai di quello ordine, con i loro amanti appresso e i figliuoli nati di esse, con i nomi di ciascuno e di ciascuna.
ANTONIA.
Bella memoria.
NANNA.
Nell'ultimo quadro ci erano dipinti tutti i modi e tutte le vie che si può chiavare e farsi chiavare, e sono obligate le moniche, prima che le si mettino in campo con gli amici loro di provare di stare negli atti vivi che stanno le dipinte: e questo si fa per non rimanere poi goffe nel letto, come rimangono alcune che si piantano là in quattro sanza odore e sanza sapore, che chi ne gusta ne ha quel piacere che si ha di una minestra di fave sanza olio e sanza sale.
ANTONIA.
Adunque bisogna una maestra che insegni la scrima?
NANNA.
C'è bene la maestra che mostra a chi non sa come si deve stare, caso che la lussuria stimoli l'uomo sì che sopra una cassa, su per una scala, in una sede, in una tavola, e nello spazzo voglia cavalcarle; e quella medesima pacienza che ci ha chi ammaestra un cane, un pappagallo, uno stornello e una gazzuola ha colei che insegna le attitudini alle buone moniche: e il giocar di mano con le bagattelle è meno difficile a imparare che non è lo accarezzare lo uccello sì che ancora che non voglia si rizzi in piedi.
ANTONIA.
Certo?
NANNA.
Certissimo.
Ora, venuto a noia la dipintura e il ragionare e lo scherzare, come sparisce la strada dinanzi ai barberi che corrono il palio o, per dir meglio la vacca dinanzi a coloro che sono confinati a mangiare in tinello, o vero le lasagne dinanzi alla fame contadina, sparvero le moniche, i frati, i preti e i secolari, non lasciando perciò i cherichetti né i fratini, né meno l'apportatore dei cotali di vetro.
Solamente il baccelliere rimase meco: che sendo sola, quasi tremando restai muta, ed egli dicendomi "Suora Cristina" (che così fui rebattezzata tosto che ebbi lo abito indosso) "a me tocca menarvi alla cella vostra, nella quale si salva l'anima nei trionfi del corpo", io volea pur stare su le continenze: onde tutta ritrosetta in contegno, non rispondea nulla; ed egli presami per quella mano con cui io teneva il salsiccione di vetro, appena lo scampai che non gisse in terra, onde non potei contenermi di non ghignare: talché 'l padre santo prese animo di basciarmi; e io che era nata di madre di misericordia, e non di pietra, stetti ferma mirandolo con occhio volpino.
ANTONIA.
Saviamente.
NANNA.
E così mi lasciava guidare da lui come lo orbo dalla cagnola.
Che più? Egli mi condusse in una cameretta posta nel mezzo di tutte le camere: le quali erano divise da un ordine di semplici mattoni, e così male incalcinate le commessure del muro, che ogni poco d'occhio che si dava ai fessi, si potea vedere ciò che si operava dentro gli alberghetti di ciascuna.
Giunta ivi, il baccalaro appunto apriva la bocca per dirmi (credo io) che le mie bellezze avanzavano quelle delle fate e con quello "anima mia", "cor mio", "sangue caro", "dolce vita" e lo avanzo della filostroccola che gli va appresso, per acconciarmi sul letto come più gli piaceva, quando eccoti un tic toc tac che il baccelliere, e qualunche nel monistero l'udì, spaventò non altrimenti che al subito aprire d'una porta spaventa una moltitudine di topi ragunati intorno a un monte de noci: che intrigati nella paura, non si rementano dove abbino lasciato il buco; così i compagnoni, cercando ascondersi, urtandosi insieme, restavano smarriti nel volersi appiattare dal safruganio: ché il safruganio del vescovo protettore del monistero era quello che con il tic tac toc ci spaventò come spaventa le rane poste in un greppo, a testa alta fra l'erba, una voce o il gittare d'un sasso, al suon del quale si tuffano nel rio quasi tutte in un tempo; e poco meno che, mentre passava per il dormitorio, non entrò nella camera della badessa che col generale riformava il vespro allo ufficiuolo delle suore sue: e dice la celleraia che alzò la mano per percuoterla e ogni cosa, e poi se ne scordò per essesegli inginocchiata a' piedi una monichetta dotta come l'Ancroia e Drusiana di Buovo d'Antona in canto figurato.
ANTONIA.
Oh che bella festa s'egli entrava dentro! ah! ah! ah!
NANNA.
Ma la ventura ci prese il dì per i capegli: questo dico perché, tosto che si pose a sedere il suffraganio...
ANTONIA.
Ora tu hai detto bene.
NANNA.
...eccoti un canonico, cioè il primocerio, che gli portò la novella che il vescovo era poco lontano.
Onde levatosi suso, ratto andò al Vescovado per mettersi in ordine a girgli incontra, comandandoci prima a farne allegrezza con le campane: e così, tratto il piede fuor dell'uscio, a poco a poco ritornò ciascuno a bomba; solo il baccelliere fu costretto andare in nome della badessa a basciar la mano a sua Signoria reverendissima.
E nel comparire all'innamorate loro, simigliavano storni ritornati allo olivo donde gli avea cacciati allora allora quello "oh, oh, oh" del villano che si sente beccare il core beccandosigli una oliva.
ANTONIA.
Io sto' aspettare che tu venga ai fatti, come aspettano i bambini la balia che gli ponga la poppa in bocca, e mi pare lo indugio più aspro che non è il sabato santo a chi monda le uova avendo fatta la quaresima.
NANNA.
Veniamo al quia.
Sendo io rimasa sola, e avendo già posto amore al baccelliere non mi parendo lecito di volere contrafare alla usanza del monistero, pensava alle cose udite e vedute in cinque o sei ore che era stata ivi; e tenendo in mano quel pestello di vetro, lo presi a vagheggiare come vagheggia chi non l'ha più veduta la lucertola così terribile ch'è appiccata nella chiesa del Popolo: e mi meravigliava d'esso più che non faccio di quelle spine bestiali del pesce che rimase in secco a Corneto; e non potea ritrar meco per che conto le suore lo tenessero caro.
E in cotale dibattimento di pensiere, io odo fioccare alcune risa sì spensierate che arebbono rallegrato un morto; e tuttavia rinforzando il suono d'esse, deliberai vedere onde il riso nasceva: e levatami in piedi, accosto l'orecchia ad una fessura; e perché nell'oscuro si vede meglio con un occhio che con dui, chiuso il mancino, e fisando il dritto nel foro che era fra mattone e mattone, veggio...
ah! ah! ah!
ANTONIA.
Che vedesti? Dimmelo, di grazia.
NANNA.
Vidi in una cella quattro suore, il generale e tre fratini di latte e di sangue, i quali spogliaro il reverendo padre della tonica rivestendolo d'un saio di raso, ricoprendogli la chierica d'uno scuffion d'oro sopra del quale posero una berretta di velluto tutta piena di puntali di cristallo ornata d'un pennoncello bianco; e cintagli la spada al lato, il beato generale, parlando per "ti" e per "mi", si diede a passeggiare in sul passo grave di Bortolameo Coglioni.
Intanto le moniche cavatosi le gonne e i fratini le toniche, esse si misero gli abiti dei fratini, cioè tre di loro, ed essi quelli delle moniche: l'altra, postasi intorno la toga del generale, sedendo pontificalmente contrafacea il padre dando le leggi ai conventi.
ANTONIA.
Che bella tresca.
NANNA.
Ora si farà bella.
ANTONIA.
Perché?
NANNA.
Perché la reverenda Paternità chiamò i tre fratini e, appoggiato su la spalla a uno cresciuto inanzi ai dì tenero e lungo, dagli altri si fece cavar del nido il passerotto che stava chioccio chioccio; onde il più scaltrito e il più attrattivo lo tolse in su la palma, e lisciandogli la schiena come si liscia la coda alla gatta che ronfiando comincia a soffiare di sorte che non si puote più tenere al segno, il passerotto levò la cresta di maniera che il valente generale, poste le unghie a dosso alla monica più graziosa e più fanciulla, recatole i panni in capo le fece appoggiare la fronte nella cassa del letto: e aprendole con le mani soavemente le carte del messale culabriense, tutto astratto contemplava il sesso, il cui volto non era per magrezza fitto nell'ossa, né per grassezza sospinto in fuore, ma con la via del mezzo tremolante e ritondetto, lucea come faria un avorio che avesse lo spirito; e quelle fossettine che si veggiono nel mento e nelle guance delle donne belle, si scorgeano nelle sue chiappettine (parlando alla fiorentina); e la morbidezza sua avria vinto quella d'un topo di molino nato, creato e visso nella farina; ed erano sì lisce tutte le membra della suora, che la mano che si le ponea nelle reni sdrucciolava a un tratto sino alle gambe con più fretta che non sdrucciola un piede sopra il ghiaccio; e tanto ardiva di apparire pelo niuno in lei, quanto ardisce nello uovo.
ANTONIA.
Adunque il padre generale consumò il giorno in contemplazioni, ah?
NANNA.
Nol consumò miga: che posto il suo pennello nello scudellino del colore, umiliatolo prima con lo sputo, lo facea torcere nella guisa che si torceno le donne per le doglie del parto o per il mal della madre.
E perché il chiodo stesse più fermo nel forame, accennò dietrovia al suo erba-da-buoi, che rovesciatoli le brache fino alle calcagna, mise il cristeo alla sua Riverenza visibilium; la quale tenea fissi gli occhi agli altri dui giovanastri che, acconce due suore a buon modo e con agio nel letto, gli pestavano la salsa nel mortaio facendo disperare la loro sorellina: che per esser alquanto loschetta e di carnagion nera, refutata da tutti, avendo empito il vetriolo bernardo di acqua scaldata per lavar le mani al messere, recatasi sopra un coscino in terra, appuntando le piante dei piedi al muro della camera, pontando contra lo smisurato pastorale, se lo avea riposto nel corpo come si ripongono le spade nelle guaine.
Io all'odore del piacer loro struggendomi più che non si distruggono i pegni per le usure, fregava la monina con la mano nel modo che di gennaio fregano il culo per i tetti i gatti.
ANTONIA.
Ah! ah! ah! Che fine ebbe il giuoco?
NANNA.
Menatosi e dimenatosi mezza ora, disse il generale: "Facciamo tutti ad un'otta; e tu, pinchellon mio, basciami; così tu, colomba mia"; e tenendo una mano nella scatola dell'angeletta, e con l'altra facendo festa alle mele dell'angelone, basciando ora lui e ora lei, facea quel viso arcigno che a Belvedere fa quella figura di marmo ai serpi che l'assassinano in mezzo dei suoi figli.
Alla fine le suore del letto, e i giovincelli, e il generale, e colei alla quale egli era sopra, colui il quale gli era dietro, con quella dalla pestinaca muranese, s'accordaro di fare ad una voce come s'accordano i cantori o vero i fabbri martellando: e così, attento ognuno al compire, si udiva un "ahi ahi", un "abbracciami", un "voltamiti", "la lingua dolce", "dàmmela", "tòtela", "spinge forte", "aspetta ch'io faccio", "oimè fà", "stringemi", "aitami", e chi con sommessa voce e chi con alta smiagolando, pareano quelli dalla sol, fa, mi, rene; e faceano uno stralunare d'occhi, un alitare, un menare, un dibattere, che le banche, le casse, la lettiera, gli scanni e le scodelle se ne risentivano come le case per i terremoti.
ANTONIA .
Fuoco!
NANNA.
Eccoti poi otto sospiri ad un tratto, usciti dal fegato, dal polmone, dal core e dall'anima del reverendo e cetera, dalle suore e dai fraticelli, che ferno un vento sì grande che avrieno spenti otto torchi; e sospirando caddero per la stanchezza come gli imbriachi per il vino.
E così io che era quasi incordata per il disconcio del mirare, mi ritirai destramente, e postami a sedere, diedi uno sguardo al cotale di vetro.
ANTONIA.
Salda un poco: come può stare degli otto sospiri?
NANNA.
Tu sei troppo punteruola; ascolta pure.
ANTONIA.
Dì.
NANNA.
Mirando il cotal di vetro mi sentii tutta commovere, benché ciò che io vidi arìa commosso l'ermo di Camaldoli: e mirandolo caddi in tentazione...
ANTONIA.
E libra nos a malo.
NANNA.
...e non potendo più sofferire la volontà della carne che mi pungea la natura bestialmente, non avendo acqua calda come la suora che mi avvertì di quello che io avea a fare de' frutti cristallini, sendo fatta accorta dalla necessità, pisciai nel manico della vanga.
ANTONIA.
Come?
NANNA.
Per un bucolino fatto in esso perché si possa empire d'acqua tepida.
E che ti vado allungando la trama? Io mi alzai la tonica galantemente, e posato il pomo dello stocco su la cassa, e rivolta la punta d'esso nel corpo, cominciai pian piano a macerarmi lo stimolo: il pizzicore era grande e la testa del cefalo grossa, onde sentiva passione e dolcezza; nientedimeno la dolcezza avanzava la passione, e a poco a poco lo spirito entrava nell'ampolla, é così sudata sudata, portandomi da paladina, lo spinsi inver me di sorte che poco mancò che nol perdei in me stessa, e in quello suo entrare credetti morire d'una morte più dolce che la vita beata.
E tenuto un pezzo il becco in molle, sentomi tutta insaponata: onde lo cavo fuora, e nel cavarlo restai con quel cociore che rimane in uno rognoso poi che si leva le unghie dalle cosce; e guardatolo un tratto, lo veggio tutto sangue: allora sì che fui per gridar confessione!
ANTONIA.
Perché, Nanna?
NANNA.
Perché, ah? Mi credetti esser ferita a morte: io mi metto la mano alla becchina, e immollandola tiro a me, e vedendola con un guanto da vescovo parato, mi reco a piangere: e con le mani in quei corti capegli che, tagliandomi lo avanzo colui che mi vestì in chiesa mi avea lasciati, cominciai il lamento di Rodi.
ANTONIA.
Dì quello di Roma, dove ora siamo.
NANNA.
Di Roma, per dire a tuo modo.
E oltra che io avea paura di morire vedendo il sangue, temea ancora de la badessa.
ANTONIA.
A che proposito?
NANNA.
A proposito che ella, spiando la cagione del sangue, e inteso il vero, non mi avesse posta in prigione legata come una ribalda; e quando bene non mi avesse dato altra penitenza che il raccontare alle altre la novella del mio sangue, ti parea che non avessi da piangere?
ANTONIA.
Non, perché?
NANNA.
Perché no?
ANTONIA.
Perché accusando tu la suora che tu avevi vista giocare a che egli è dentro il vetro, averesti spedito gratis.
NANNA.
Sì, quando la suora si fosse insanguinata come io.
Egli è certo che Nanna era a' pessimi partiti.
E stando così, odo percuotere la cella mia: onde sciugatimi ben ben gli occhi, mi levo suso e rispondo gratia plena; e in questo apro e veggio che son chiamata a cena; e io che non da suora novella, ma da saccomanna avea pettinato la mattina, e perduto l'appetito per il timor del sangue, dissi che volea star sobria per la sera; e riserrata la porta con la scopa, mi rimasi pensando con la mano alla cotalina.
E vedendo pur che ella si stagnava, mi ravvivai un pochetto; e per trapassar l'ozio, ritorno al fesso che vidi tralucere per il lume che per la venuta della notte le suore accesero; e mirando di nuovo, veggio nudo ciascuno: e certo, se il generale e le moniche con i fraticelli fossero stati vecchi gli assimiglierei ad Adamo e ad Eva con le altre animucce dei limbo.
Ma lasciamo le comparazioni alle sibille.
Il generale fece montare quella erba-da-buoi, cioè il teneron lungone, in una tavoletta quadra su la quale mangiavano le quattro cristianelle di Antecristo; e invece di tromba tenendo un bastone nella foggia che i trombetti tengono il loro istrumento, bandì la giostra, e dopo il "tara tantara", disse: "Il gran soldano di Babilonia fa noto a tutti i valenti giostranti che or ora compariscano in campo con le lance in resta, e a quello che più ne rompe si darà un tondo senza pelo, del quale goderà tutta notte, et amen".
ANTONIA.
Bel bandimento: il suo maestro gliene dovette far la minuta.
Or via, Nanna.
NANNA.
Eccoti i giostranti in ordine; e avendo fatto inguintana del sedere di quella lusca negretta che dianzi mangiò vetro a tutto pasto, fu tratto la sorte, e toccò il primo aringo al trombetta: che facendo sonare il compagno mentre si movea spronando se stesso con le dita, incartò la lancia sua fino al calce nel targone dell'amica; e perché il colpo valea per tre, fu molto lodato.
ANTONIA.
Ah! ah! ah!
NANNA.
Mosse dopo lui il generale tratto per poliza; e con la lancia in resta correndo, empì l'anello di colui che l'avea empito alla suora; e così stando, fissi come i termini fra dui campi, toccò il terzo aringo a una monica: e non avendo lancia di abeto, ne tolse una di vetro, e di primo scontro la cacciò dietro al generale, appiattandosi per buon rispetto le ventose nel pettigone.
ANTONIA.
Tanto se ne ebbe.
NANNA.
Ora vien via il fratoncello secondo, pur tóccogli per sorte, e ficcò la freccia nel berzaglio alla bella prima; e l'altra monica, contrafacendo la sozia con la lancia da le due pallotte, investì nello utriusque del giovanetto, che sguizzò come una anguilla nel ricevere il colpo.
Venne l'ultima e l'ultimo: e ci fu molto da ridere, perché sepellì il berlingozzo che era tocco la mattina a pranzo ne l'anello della compagna; ed egli, rimaso dietro a tutti, piantò dietro a lei il lanciotto: di modo che pareano una spedonata di anime dannate, le quali volesse porre al fuoco Satanasso per il carnasciale di Lucifero.
ANTONIA.
Ah! ah! ah! che festa!
NANNA.
Quella luschetta era una suora tutta sollazzevole, e mentre ognuno spingeva e menava, dicea le più dolci buffonarie del mondo; e io udendo ciò risi tanto forte che fui udita: e sendo udita mi ritrassi indietro; e garrendo non so chi, dopo un certo spazio di tempo ritornando alla vedetta, la trovai coperta da un lenzuolo: e non potei vedere il fine della giostra, né a chi si diede il pregio.
ANTONIA.
Tu mi manchi nel più bello.
NANNA.
Io manco a te perché fu mancato a me.
E mi spiacque al possibile di non poter veder fare il seme alle fave e alle castagne.
Or per dirti, mentre io era adirata con le mie risa che mi aveano tolto il luogo alla predica, odo di nuovo...
ANTONIA.
Che odisti? dì tosto.
NANNA.
Tre camere potea vedere per i fessi che erano nella mia..
ANTONIA.
Ben erano i muri tutti sfessi: io ne disgrazio i vagli.
NANNA.
Io mi credo che desseno poca cura di riserràgli, e mi stimo che avesseno piacere l'una dell'altra.
Come si sia, odo un ansciare, un sospirare, un rugnire e un raspare che parea che venisse da dieci persone che se dolessero in sogno, e stando attenta odo (allo incontro della parte che mi dividea donde si giostrava) parlar alla muta; e io con l'occhio ai fessi: per i quali scorgo a gambe alte due sorelline grassettine, frescoline, con quattro coscette bianche e tonde che pareano di latte rappreso sì erano tremolanti, e ciascuna tenendo in mano la sua carota di vetro, cominciò l'una: "Che pazzia è questa a credere che l'appetito nostro si sazi per via di questi imbratti che non hanno né bascio, né lingua, né mani con le quali ci tocchino i tasti; e quando bene le avessero, se noi proviamo dolcezza co' dipinti, che faremmo noi co' vivi? Noi ci potremmo ben chiamare meschine se consumassimo la nostra gioventudine co' vetri".
"Sai tu, sorella," rispondea l'altra, "io ti consiglio che te ne venga meco"; "E dove vai tu?" disse ella; "Io sul far del dì mi voglio sfratare e girmene con un giovane a Napoli, il quale ha un compagno suo fratel giurato che sarebbe il caso tuo: sì che usciamo di questa spelonca, di questa sepoltura, e godiamo della nostra etade come debbeno godere le femine".
E poca diceria bisognò all'amica, che era di poca levata; e nello accettare lo invito, avventò insieme con essa contra il muro i cedri di vetro, ricoprendo il romore che fecero nello spezzarsi con gridare "Gatti! gatti!", fingendo che avessero rotte guastade e ciò che c'era.
E lanciate del letto, prima fecero fardello delle miglior robbe, e poi uscir fuor di camera; e io mi rimasi.
Quando eccoti un suon di palme, un "oimè, trista a me", un graffiar di volto, un squarciar di capegli e di panni molto stranio; e a fede di leale mia pari, che mi credetti che fosse appiccato il fuoco nel campanile; onde miso l'occhio alle fessure dei mattoni, veggio che è la Paternità di mona badessa che fa le lamentazioni di Geremia apostolo.
ANTONIA.
Come la badessa?
NANNA.
La divota madre delle moniche e la protettrice del monistero
ANTONIA.
Che aveva ella?
NANNA.
Per quello che posso considerare, era stata assassinata dal confessore.
ANTONIA.
A che modo?
NANNA.
Egli, in sul più bel dello spasso, le avea cavato lo stoppino della botte e lo volea porre nel vaso del zibetto; e la poveretta, tutta in sapore, tutta in lussuria, tutta in sugo, inginocchiata ai suoi piedi, lo scongiurava per le stimmate, per i dolori, per le sette allegrezze, per il pater noster di san Giuliano, per i salmi penitenziali, per i tre magi, per la stella e per santa santorum: né poté mai ottenere che il nerone, il caino, il giuda le ripiantasse il porro nell'orticello, anzi, con un viso di Marforio, tutto velenoso, la sforzò con i fatti e con le bravarie a voltarsi in là; e fattole porre la testa in una stufetta, soffiando come un aspido sordo, con la schiuma alla bocca come l'orco, le ficcò il piantone nel fosso ristorativo.
ANTONIA.
Poltronaccio.
NANNA.
E si pigliava un piacere da mille forche nel cavare e mettere, ridendo a quel non so che che udiva allo entrare e allo uscire del piuolo, simigliante a quel lof tof e taf che fanno i piedi dei peregrini quando trovano la via di creta viscosa che spesso gli ruba le scarpe.
ANTONIA.
Che sia squartato.
NANNA.
La sconsolata, col capo nella stufa, parea lo spirto d'un sodomito in bocca del demonio.
Alla fine il padre, spirato dalle sue orazioni, le fece trarre il capo fuora, e sanza schiavare, il fratacchione la portò su la verga fino a un trespido; al quale appoggiata la martorella, cominciò a dimenarsi con tanta galantaria, che quello che tocca i tasti al gravicembalo non ne sa tanto; e come ella fosse disnodata, tutta si volgea indietro volendosi bere i labbri e mangiare la lingua del confessore tenendo fuora tuttavia la sua che non era punto differente da quella d'una vacca, e presagli la mano con gli orli della valigia, lo facea torcere come gliene avesse presa con le tanaglie.
ANTONIA.
Io rinasco, io trasecolo!
NANNA.
E intertenendo la piena che volea dare il passo alla macina, il santo uomo compì il lavoro, e forbito il cordone con un fazzoletto profumato e la buona donna nettato il dolcemele, dopo un nonnulla si abbracciaro insieme; e il frate ghiottone le dicea: "Parevati onesto, la mia fagiana, la mia pavona la mia colomba, anima delle anime, core dei cori, vita delle vite che il tuo Narciso, il tuo Ganimede il tuo angelo non potesse disporre per una volta dei tuoi quarti di dietro?", ed ella rispondeva: "Parevati giusto, il mio papero il mio cigno, il mio falcone consolazione delle consolazioni, piacere dei piaceri, speranza delle speranze, che la tua ninfa, la tua ancilla, la tua comedia per una fiata non dovesse riporre il tuo naturale nella sua natura?"; e avventandosigli con un morso gli lasciò i segni neri dei denti nei labbri, facendogli cacciare uno strido crudele.
ANTONIA.
Che piacere.
NANNA.
Dopo questo la prudente badessa gli grappò la reliquia: e porgendole la bocca, la basciava soavemente, poi imbertonata di essa, la masticava e la mordeva come un cagnuolino la gamba o la mano, per la qual cosa si gode del suo mordere che fa piangere ridendo: così il ribaldone frate al pungere dei morsi di madonna, tutto festevole dicea "ahi! ahi!".
ANTONIA.
Potea pur levargliene un pezzo co' denti, la minchiona.
NANNA.
Mentre la buona limosina della badessa scherzava col suo idolo, la porta della sua camera è tocca pianamente: onde restaro sopra di sé tutti e dui, e stando ' ascoltare, odono sufolare con un suono fioco fioco, e allora si avvisaro che quello era il creato del confessore, che venne dentro però che gli fu aperto di subito; e perché sapea quanto pesava la lor lana, non si guastaro niente: anzi, la traditora badessa, lasciato il franguello del padre e preso per le ali il calderino del figliuolo, distruggendosi di fregare l'archetto del fanciullo su per la sua lira, disse: "Amor mio, fammi di grazia una grazia"; e il frataccio le dice: "Son contento, che vuoi tu?"; "Io voglio" disse ella, "grattugiare questo formaggio con la mia grattugia: con questo, che tu metta l'arpione nel timpano del tuo figliuolo spirituale; e se il piacere ti piacerà, daremo le mosse ai cavalli; se no, proveremo tanti modi, che un ne sarà a nostro modo".
E intanto avendo la mano di fra Galasso calate le vele dello schivo del garzonetto, che avvedutasene madama, postasi a sedere, spalancata la gabbia e misoci dentro il lusignolo, si tirò a dosso il fascio con gran contentezza d'ognuno: e ti so dire che stette a crepacuore co sì gran mappamondo in su la pancia che la gualcò come è gualcata dalla gualchiera una pezza di panno.
In ultimo ella scaricò le some, ed essi il balestro; e finito il giuoco, non ti potrei dire il vino che tracannaro e le confezioni che divoraro.
ANTONIA.
Come ti potevi tu raffrenare nel desiderio dello uomo vedendo tante chiavi?
NANNA.
Io venni in succhio fortemente a questo assalto badessale e avendo pure in mano il pugnale vetrigno...
ANTONIA.
Io credo che lo tenevi fiutandolo spesso, come si fiuta un garofano.
NANNA.
Ah! ah! ah! Dico che sendo in frega per le battaglie che io vedea, votai la tampella della orina fredda, ed empitola di nuovo, mi ci posi suso a sedere: e misa la fava nel baccello me la avrei spinto nel coliseo per provare ogni cosa perché non si può sapere a che modo ella abbia andare per noi.
ANTONIA.
Tu facesti bene, cioè aresti fatto bene.
NANNA.
E così calcandomi sopra la sua schiena, mi sentiva tutta confortare la sporta dinanzi, bontà del frugatoio che mi bruniva il secchio; e standomi fra due, contendea meco il sì e il no circa il ricever tutto l'argomento o vero una parte: e credo che avrei lasciato ire il cane nel covile se non fosse che udendo chiedere licenza dal confessore, rivestito col suo allevo, alla ben contenta badessa, corsi a vedere le cacarie sue nel patirsi.
Ella facea la bambina, e vezzeggiando dicea: "Quando ritornerete? O Dio a chi voglio io bene? chi adoro io?"; e il padre giurava per le letanie e per lo avvento che ritorneria la sera seguente: e il fanciullo, che ancora si ristringava le calze, con tutta la lingua in bocca le disse addio.
E udi' che il confessore al partir cominciò quel pecora campi che è nel vespro ,
ANTONIA.
Che, il cialtrone fingeva di dire compieta, eh?
NANNA.
Tu lo hai indovinato.
E appena partì il sopradetto che per il capestio che udi', intesi che i giostranti ancora avean finito la giornata e ritornavano a casa con la vettoria, facendo stallare i cavalli di maniera che mi parea la prima pioggia d'agosto.
ANTONIA.
Il sangue!
NANNA.
Odi, odi questa.
Le due che aveano imballato le cose loro erano ritornate in camera: e la cagione, secondo che brontolando diceano, era per aver trovato chiuso a chiave l'uscio dietro per commissione della badessa, alla quale diedero più maledizioni che non aranno i cattivi nel dì del giudicio.
Ma elle non andaro indarno, perché nello scendere della scala videro sonnacchiare il mulattiere che duo dì inanzi avea tolto il monistero; e fattoci disegno sopra, disse l'una a l'altra: "Tu anderai a destarlo con dire che ti porti una bracciata di legne in cocina ed egli stimandoti la cuoca, verà via; e tu mostrandogli questa camera, gli dirai "Portale là": come il brigante è dentro lascialo pure intertenere alla tua fratellina"; e per non aver dato così fatto avviso né a muta né a sorda, tosto fu ubbidita.
In questo scopro un altro agguato.
ANTONIA.
Che scopristi?
NANNA.
Una delle suore avea nel mezzo d'essa composto un festoncello tutto di frondi di lauro, e spartoci dove meglio campeggiavano alcune rose bianche e vermiglie; e di fiorancio dipinte le fasce che legavano il festone, le quali per lo spazio della tavola si distendevano; e dentro del festone co' fiori di borrana scritto il nome del vicario del vescovo, che con il suo monsignore era venuto il dì proprio: e per lui più che per la sua mitera si fecero le scampanate che mi tolsero delle orecchie, con il loro don din don, mille cose belle da raccontare.
Dico che pel vicario si apparecchiavano le nozze, e ciò seppi da poi.
Ora l'altra monica avea in ogni quadro della tavola ritratto una cosa bella: nel primo fece il nodo di Salomone di viole mammole, nel secondo il laberinto di fiori di sambuco; nel terzo un core di rose incarnate trapassato da un dardo che era del gambo d'un garofano, e la sua boccia lo servia per ferro: che, mezza aperta, parea tinta nel sangue del core; e sopra d'esso, di fiori di bugalossa avea ritratti i suoi occhi lividi per il piangere e le lagrime che versavano erano di quei bottoncini di aranci spuntati pur allora per le cime dei rami loro; nell'ultimo avea fatto due mani di gelsomini congiunte insieme, con un fides di viole gialle.
Dopo questo una si diede a lavare alcuni bicchieri con le foglie del fico, e gli forbì sì bene che pareano trasformati di cristallo in ariento; intanto la compagna, gittato sopra una panchettina la tovaglietta di rensa, pose con pari ordine i bicchieri su lo scanno avendoci nel mezzo d'essi acconcio una guastadetta piena d'acqua nanfa, simile a un pero, dalla quale pendea un pannetto di lino sottile che ella serbava per asciugar le mani, come dalle tempie dei vescovi pendono le bande delle mitere.
A piè dello scanno stava un vaso di rame che ci si potea specchiare dentro sì ben lo avea polito l'arena, l'aceto e la mano: egli, colmo d'acqua fresca, tenea in seno dui orcioletti di vetro schietto che pareano non tenere vino vermiglio e bianco, ma robini e iacinti stillati.
E finito di acconciare il tutto, questa trasse de un cofano il pane che parea bambagia rappresa, e lo porse a quella, la quale lo mise al luogo suo; e così si riposaro alquanto.
ANTONIA.
Veramente la diligenza usata nello imbellettare il tavolino non volea essere opra se non di suore, le quali gettano il tempo dietro al tempo.
NANNA.
Stando a sedere, ecco che scroccano le tre ore, onde disse la più galluta: "Il vicario è più lungo che la messa di Natale"; rispose l'altra: "Non è maraviglia il suo indugiare, perché il vescovo, che domane vuol cresimare, lo debbe avere miso a qualche faccenda"; e favellando di mille fanfalughe acciò che l'aspettare non gli rincrescesse, passando l'ora a fatto e a fine, a gara tutte due dissero di lui quello che dice maestro Pasquino dei preti: e gaglioffo e porco e poltrone era il nome dal dì delle feste; e una di loro corse al fuoco dove bollivano dui capponi che per le gotti non poteano più muoversi, ai quali facea la guardia uno spedone piegato nel mezzo per il peso d'un pavone allevato da esse: e gli avrebbe tratti per la finestra se la compagna non glielo vetava.
E in cotal loro scompiglio, il mulattiere che dovea scaricar le legne nella camera di quella che alla sua sorella d'animo avea dato il buon consiglio fallì la porta che gli mostrò colei che gli pose il fascio in su le spalle; ed entrato dove era aspettato il messere, ivi lo asino lasciò ir giù le legne: che udendo, le due compagne si cacciaro le unghie nel viso e tutte si laceraro.
ANTONIA.
Che dissero quelle dal piantone?
NANNA.
Che avresti detto tu?
ANTONIA.
Arei presa la ventura per il ciuffetto.
NANNA.
Così ferno esse: che, rallegrate per la non aspettata ventura del mulattiere (co)me si rallegrano i colombi per l'esca, gli fecero un'accoglienza da re; e stangata la porta perché il volpone non iscappasse della trappola, sel misero a sedere in mezzo forbendolo con un sciugatoio di bucato.
Il mulattiere era d'un venti anni o circa, sbarbato, paffuto con la fronte come il fondo d'uno staio, con duo lombi badiali, grandone, biancone, un certo caca-pensieri , un cotale guarda-feste, troppo buono per il proposito loro.
Egli facea le più scimonie risa del mondo quando si vide alloggiare intorno ai capponi e al pavone: e trangugiava bocconi smisurati, e bevea da mietitore.
Ed esse che mille anni gli parea di scardassare il pelo con il battaglio suo dileggiavano le vivande nella foggia che le dileggia un che non ha fame: e se non che la più ingorda, perduta la pacienza come la perde un che si fa romito, si gli avventò al pifero come il nibbio al polcino, il mulattiere facea un pasto da vetturale.
Egli non fu sì tosto tocco, che spinse fuora un pezzo di giannettone che togliea il vanto a quel di Bivilacqua: e parve quel trombone che ritira fuora colui che lo suona in Castello; e mentre questa tenea il bacchettone in mano quella scansò la tavoletta; onde la sua sozia, recatosi il bambolino fra le gambe si lasciò tutta sul flauto del mulattiere che sedea, e spingendo con quella discrezione che si spinge l'un l'altro sul Ponte data la benedizione, cadde la sede, il mulattiere ed ella: e tomaro come una scimia; e schiavatosi il catenaccio dalla porta, l'altra suora, che biasciava come una mula vecchia, perché il bambolino che non avea nulla in testa non infreddasse, lo incappellò con il verbigrazia: talché la compagna dischiodata venne in tanta collera, che la prese per la gola, onde vomitò quel poco che avea mangiato; ed ella rivolta a lei, sanza curarsi di compire altrimenti il camino, se ne diero più che i beati Paoli.
ANTONIA.
Ah! ah! ah!
NANNA.
Appunto il mestolone si levava suso per partir la zuffa, quando ecco che io mi sento appoggiare le mani su la spalla e dir piano piano: "Buona notte, animetta mia"; io tutta mi scossi per la paura, e tanto più n'ebbi, quanto più attendendo al fatto d'arme delle infoiate (io lo dirò pure!), non pensavo ad altro, e nel sentirmi por le mani a dosso mi rivolsi e dissi: "Oimè chi è questo?"; e nello aprir la bocca per gridare "acorruomo" veggio il baccelliere che mi lasciò per gire incontra al vescovo e mi riebbi tutta.
Pure gli dissi: "Padre, io non son di quelle che vi credete, fatevi in costà, io non voglio, orsù mo', io griderò; prima mi lascerei segar le vene, Dio me ne guardi; nol farò mai, non mai, io dico di no; vi dovereste aggricciare: bella cosa, ben si saperà bene", ed egli a me: "Come può essere che in un carobino, in un trono e in un sarafino alberghi crudeltà? Io vi son servo, io vi adoro perché voi sola sète il mio altare, il mio vespro, la mia compieta e la mia messa, e quando sia che vi piaccia che io muoia, ecco il coltello: trapassatemi il petto, e vedrete nel mio core il vostro soave nome scritto a lettere d'oro".
E così dicendomi volea pormi in mano un bellissimo coltello col manico d'ariento indorato, col ferro lavorato fino al mezzo alla damaschina: io non lo volsi mai tòrre e sanza rispondere tenea il viso fitto in terra, onde egli con quelle esclamazioni che si cantano al passio mi ruppe tanto il capo che mi lascia vincere.
ANTONIA.
Peggio fanno quelli che si lasciano condurre a uccidere e avelenare gli uomini: e festi una opra più pia che non è il monte della pietà; e ogni donna da bene dovria pigliare lo essempio da te.
Segue pure.
NANNA.
E lasciatami vincere dal suo proemio fratino, nel quale dicea maggior bugie che non dicono gli oriuoli stemperati, egli mi entrò a dosso con un laudamus te che parea che egli avesse a benedir le palme: e con i suoi canti mi incantò sì, che ce lo lasciai ire...
Ma che volevi tu che io facessi, Antonia?
ANTONIA.
Non altro, Nanna.
NANNA.
...dico dinanzi; e crederesti una cosa?
ANTONIA.
Che?
NANNA.
Egli mi parse meno aspro quello di carne che quello di vetro.
ANTONIA.
Gran segreto!
NANNA.
Sì, per questa croce!
ANTONIA.
Che bisogna giurare, se io tel credo e stacredo?
NANNA.
Io pisciai sanza pisciare...
ANTONIA.
Ah! ah! ah!
NANNA.
...una certa pania bianca che parea bava di lumache.
Ora egli
...
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