[Pagina precedente]...to io, se ti ho detto cotesto: io volli forse dire che non son più come erano al tempo antico.
ANTONIA. Errò adunque la lingua, non il core.
NANNA. Sia come vuole, io ora non l'ho in mente: attendiamo a questo, che importa più. Dico che tentandomi il demonio, mi lasciai porre il basto da un frate che era venuto da Studio, guardandomi però dal baccelliere: e come la fortuna volse, egli mi menava spesso a cena fuora del monastero, non sapendo che io fossi maritata al baccelliere. E fra le altre, venne per me una sera dopo le avemarie allo improviso e disse: "Cara la mia putta, fammi grazia di venir meco in questo punto, che ti vo' menare in un luogo che averai grandissimo piacere: e udirai non pure musiche angeliche, ma recitare una comedietta molto gentile". Io che avea il capo pieno di grilli, sanza indugiarmi mi spoglio, aitandomi lui; e trattimi i panni sacrati, mi vesto i profumati, cioè i panni da garzone, i quali mi fece fare il primo amante; e postomi in capo un cappelletto di seta verde con una pennetta rossa e un fermaglio d'oro, con la cappa indosso men vado seco. E caminato un tirar di sasso, egli entra in una stradetta lunga e larga mezzo passo, sanza uscita; e fischiando soave soave, udimmo ratto scendere una scala e poi aprire uno uscio, sul quale posto che avemmo il piede, apparse un paggio con un torchio di cera bianca acceso, e salita la scala al lume comparimmo in una sala ornatissima, tenendomi il mio studiante per mano; e alzando il paggio dal torchio la portiera della camera con dirci "Entrino le Signorie vostre", entrammo, e tosto che io giunsi, vedesti levarsi suso le persone con la berretta in mano, come fanno le brigate nel dar la benedizione del predicatore. Ivi era il ricetto di tutti i fottisteri sacrati, alla similitudine di una baratteria, e ivi si riducea ogni sorte di suore e di frati, come alla noce di Benevento ogni generazione di streghe e di stregoni. E ripostosi ciascuno a sedere, non si udiva altro che bisbigliare del visetto mio: che ancora che non stia bene a dirlo a me, sappi Antonia che egli fu bello.
ANTONIA. È da credere, sendo tu bellissima vecchia, che tu sia stata bellissima giovane.
NANNA. E stando in sui vezzi, arrivò la virtù della musica che mi fece risentire fino alla anima: erano quattro che guardavano sopra un libro, e uno, con un liuto argentino accordato con le voci loro, cantava "Divini occhi sereni...". Dopo questo venne una ferrarese che ballò sì gentilmente, che fece maravigliare ognuno: ella facea cavriole che non le avria fatte un cavriuolo con una destrezza, Dio, con una grazia, Antonia, che non avresti voluto vedere altro. Che miracolo era, raccogliendosi la gamba mancina a usanza della grue, e fermatasi tutta nella dritta, vederla girare come un torno: di modo che la sua veste gonfiata per il presto rivolgimento, spiegatasi in un bel tondo, tanto si vedea quanto le girelle mosse dal vento sopra d'una capanna, o vogliamo dire quelle di carta poste dai fanciulli in cima ad una canna, che, distesa la mano dandosi a correre, godono di vederle girare sì che appena si scorgono.
ANTONIA. Dio la benedica.
NANNA. Ah! ah! ah! Io mi rido di uno che lo dimandavano "il fio di Giampolo", secondo me veneziano, che tiratosi dentro a una porta contrafece una brigata di voci. Egli facea un facchino che ogni bergamasco gliene avrebbe data vinta, e il facchino, dimandando a una vecchia della madonna, in persona della vecchia dicea: "E che vuoi tu da madonna?", ed egli a lei: "Le vorria parlare", e da cattivo le dicea: "Madonna, o madonna, io moro, io sento il polmon che mi bolle come un laveggio di trippe"; egli facea un lamento alla facchina il più dolce del mondo e cominciando a toccarla, ridea con alcuni detti proprio atti a farle guastar la quaresima o a rompere il digiuno. E in questa ciancia, eccoti il suo marito vecchio rimbambito che, visto il facchino, levò un romore che parve un villano che vedesse mettere a sacco il suo ciriegio; e il facchino gli dicea: "Messere, o messere, ah! ah! ah!"; e ridendo e facendo cenni e atti da balordo, "Và con Dio" gli disse il vecchio, "imbriaco, asino". E fattosi scalzare dalla fante, contava alla moglie non so che del sofì e del Turco; e facea scompisciare delle risa ognuno quando, tirando alcuna di quelle con le quali egli si affibbiava, facea sagramento di non mangiare più cibi ventosi, e lasciatosi colcare, e addorméntosi ronfando, ritornò il predetto nella forma del facchino: e con la madonna tanto pianse e tanto rise, che si mise a scuoterle il pelliccione.
ANTONIA. Ah! ah! ah!
NANNA. Riso averesti tu udendo il dibattimento del rimenarsi loro mescolato con alcuni ladri detti del facchino, che campeggiavano troppo bene con quelli di madonna fà mmelo. Finito il vespro delle voci, ci riducemmo in sala, dove era uno apparato per coloro che aveano a recitare la comedia: e già la tenda si dovea scoprire, quando uno percosse fortemente la porta, perché il romore del favellare non lo averia lasciato udire percotendola piano; e restando di mandar giù la tenda, fu aperto al baccelliere. Ché il baccelliere era quello che, a caso passando, batté allo uscio, non sapendo che io gli fossi traditrice; e venuto suso e vistami fare gli amori con lo studiante, mosso da quel maladetto martello che accieca altrui, con quella furia che si avventò il cagnaccio che uccise la cagnuola (come raccontò la novella del frate), mi prese per i ciuffi: e trascinandomi per la sala e poi giù per la scala, non dando cura ai preghi che per me facea ognuno, salvo lo studiante che, tosto che vide il baccelliere, sparve come un raggio dalla girandola, mi condusse sempre percotendomi al monistero; e in presenza di tutte le suore mi diede un cavallo con quella discrizione che dimostrano i frati nel punire un frate da meno di loro se avviene che egli abbia sputato in chiesa, e fur tali e tante le scorreggiate che con la correggia del leggio mi diede, che mi s'alzò la carne per le natiche una spanna: e quello che più mi dolse fu che la badessa tenea la ragione del baccelliere. Onde io, stata otto giorni ungendomi spesso e bagnandomi con acqua rosa, feci intendere a mia madre che, se mi volea veder viva, venisse tosto: e trovandomi che non parea più dessa, credendosi che io fossi caduta inferma per le astinenze e per i mattutini, a tutti i patti del mondo volse che allora allora io fossi portata a casa, né valse ciance di suora né di monica a farmici rimanere pure un dì. E sendo a casa mia, mio padre che temea più mia madre che non temo io non so che, di subito volea correre per il medico: e non fu lasciato per buon rispetto. E non potendo io celare il male da basso, dove lo staffile si era maneggiato come si maneggiano le mazze dei fanciulli la sera della settimana santa per le predelle degli altari e per le porte delle chiese dopo gli uffici, dissi che per macerare la carne, sedendo sopra un pettine dalla stoppa, ciò mi era avvenuto: ghignò mia madre alla scusa magra, perché i denti del pettine mi avrieno passato il core, non pure il culo (sano il tuo sia), e per lo meglio si tacque.
ANTONIA. Io comincio a credere che sia il vero che tu abbia dei guai per la Pippa in quanto al farla monica, e ora mi ricorda che quella benedetta anima di mia madre solea dire che una suora di un monestero, acciò che tutti i medici le mettessero lo orinale nella vesta fingea ogni terzo dì di avere tutti i mali.
NANNA. Io so ben chi ella fu, e non la ho conta per lunghezza. Ora, da che io ti ho tenuta tuttodì oggi con le ciance, vo' che ne venga istasera meco.
ANTONIA. Ciò che ti piace.
NANNA. E mi aiterai a sbrigar di alcune cosette; e poi domane dopo disinare, in questa mia vigna, sotto a questa proprio ficaia, entreremo alla vita delle maritate.
ANTONIA. Eccomi per servirti.
E così detto, sanza ingombrarsi di veruna cosa della vigna, si avviaro a casa di Nanna che stava alla Scrofa: dove giunte in su lo annottarsi, la Pippa fece alla Antonia molte carezze e così venuta la ora di cena, cenaro; e state così un poco, giro a dormire.
FINE DE LA PRIMA GIORNATA.
LA SECONDA GIORNATA DEL CAPRICCIO ARETINO NELLA QUALE LA NANNA NARRA ALLA ANTONIA LA VITA DELLE MARITATE.
La Nanna e la Antonia si levaro appunto in quello che Titone becco rimba(m)bito volea ascondere la camiscia alla sua signora perché il giorno roffiano non la desse nelle mani del Sole suo bertone: che di ciò accorta, strappandola di mano al vecchio pazzo, lasciandolo gracchiare ne venne a lui più imbellettata che mai, risoluta di farsi chiavare alla barba sua .XII. volte e di tal cosa farne rogare ser Oriuolo notaio publico. E vestite che furo, Antonia fece, inanzi che le campanelle sonassero tutte quelle faccendette che alla Nanna mettevano più pensiere che non mette la sua fabrica a san Pietro. Dipoi alzato il fianco come lo alza uno alloggiato a discrezione, ritornaro alla vigna; e riposte nel luogo dove sederno il dì inanzi e sotto la medesima ficaia, sendo ora di cacciare il caldo col ventaglio delle ciance, Antonia posato le palme sopra le ginocchia, fitto il viso nel volto di Nanna, disse: "Veramente son chiara delle suore: dopo il primo sonno non ho mai più potuto chiudere occhio solo pensando alle pazze madri e ai semplici padri che si credono che le figliuole che fanno moniche non abbiano denti da rodere come quelle che maritono, poveretta la vita loro! dovrebbeno pur sapere che son di carne e d'ossa anche esse, e che non è cosa che accresca più il desiderio che il vietare di una cosa; e io per me allora muoio di sete quando non ho vino in casa. E poi i proverbi non sono da farsene beffe, e bisogna credere a quello che dice che le suore son le mogli dei frati anzi del popolo; e non pensai a tal detto ieri, che non ti arei dato lo impaccio che ti diedi in farmi contare gli andamenti loro".
NANNA. Ogni cosa per il meglio.
ANTONIA. Da che mi destai, aspettando che si facesse dì mi storcea come un di questi tuoi giocatori quando cade un dado o una carta, o si gli spegne la candela, che arrabbiano fino che non si gli ricoglie e non si gli raccende; e ringrazio me stessa del venire che feci alla tua vigna, la quale mi è sempre aperta tua bontà , e più me ne ringrazio del dimandarti del ciò che tu avevi che io ti feci allo improviso: onde per la tua gentilezza mi rispondesti quello che tu mi rispondesti. Ora alla buona ora sia. Da che quelle maladette sferzate ti fecero fare il mal pro' gli amori e il monestero, che partito prese tua madre di te?
NANNA. Diede voce di maritarmi, trovando ora una novella ora una altra circa il mio essermi dismonicata dando ad intendere a molte persone che gli spirti erano a centinaia nel monestero come i biricuocoli a Siena. E venendo questo alle orecchie di uno che vivea perché mangiava, deliberò di avermi per moglie o di morire; ed essendo egli benestante, mia madre, che come ti ho detto portava le brache di mio padre (che morì, come Dio volse), conchiuse il matrimonio. E reducendola di mille in una venne la notte dello accompagnarci carnalmente, che il dorme-al-fuoco aspettava come aspetta la ricolta il lavoratore, e fu bella l'astuzia della mia mamma dolce: ella che sapea che la mia verginità era rimasa nelle peste, scannò un di quei capponi delle nozze; ed empito del sangue un guscio di uovo, insegnandomi prima la arte che dovea usare nello stare in su le continenze, nel mettermi in letto me ne unse la bocca di donde uscì Pippa mia. E così coricata io si coricò egli: e stendendosi per abbracciarmi, mi trova tutta in un groppo raccolta nella sponda; e volendomi porre la mano su la cetera, mi lasciai cader giuso in terra; onde egli lanciatosi ad aitarmi, comincio a dire non sanza pianto: "Io non voglio far le tristizie, lasciatemi stare"; e alzando le voci, odo mia madre che, aperta la camera con un lume in mano vien dentro: e tanto mi lusingò, che mi accordai col buon pastore; che, volendome aprir le cosce, sudò più che non fa chi batte il grano: onde mi squarciò la camiscia e disse mille mali. Alla fine, scongiurata più che non si scon...
[Pagina successiva]