STORIA DI UNA CAPINERA, di Giovanni Verga - pagina 2
...
...
Allorché mi assalgono questi scrupoli, allorché son tormentata da codeste incertezze, io prego il Signore che m'illumini, che mi consigli, che mi aiuti.
Pregalo anche tu per me, Marianna.
Intanto io lo lodo, lo ringrazio, lo benedico, lo prego di farmi morir qui, o di darmi la forza, la vocazione, la rassegnazione, se dovrò profferire i voti solenni e rinunziare per sempre a tutte queste benedizioni, per chiudermi in convento e dedicarmi a Lui, a Lui solo, intieramente.
Non sarò degna di tanta grazia; sarò una peccatrice...
ma allorché, sul far della notte, veggo la moglie de castaldo, che recita il rosario col suo figliuoletto più grandicello fra le ginocchia, seduta accanto al fuoco che cuoce la minestra di suo marito, dimenando col piede la culla in cui dorme il suo bimbo, mi pare che la preghiera di quella donna, calma, serena, piena di riconoscenza per la felicità prodigatale dal buon Dio, debba salire a Lui assai più pura della mia, che è piena di turbamenti, di ansie, di desiderî che non convengono al mio stato e dai quali non posso difendermi intieramente.
Vedi la lunga lettera che ti ho scritto! Non mi tenere più il broncio adunque, e rispondimi con una letterona più lunga della mia.
Parlami di te, dei tuoi genitori, dei tuoi divertimenti e dei tuoi piccoli dispiaceri, come facevamo tutti i giorni, laggiù al convento, nelle ore di ricreazione, tenendoci abbracciate.
Vedi, mi pare che io abbia chiacchierato a lungo con te, stringendoti le mani, come allora, e che tu mi abbia ascoltato col tuo solito risolino allegro e maliziosetto sulle labbra.
Parlami dunque, parla a quattro bei fogli di carta (bada! che non mi contenterò di meno), essi mi racconteranno tutto quello che tu avrai detto loro per me.
Ciarlami un po' di tutto e a lungo.
Dimmi quello che vedi, quello che pensi, che te ne fai del tuo tempo, se ti annoi, se ti diverti, se sei contenta, felice come me, se pensi alla tua Maria; dimmi il colore della tua veste, perché già so che hai una veste, tu, come una signorina! Dimmi se hai dei bei fiori nel tuo giardino, se a Mascalucia ci son castagneti come qui, se hai assistito alla vendemmia.
Parla dunque, ti ascolto.
Non mi fare aspettar tanto a bocca aperta.
Addio, addio, Marianna mia, sorella mia; ti mando cento baci col patto di averli ricambiati.
La tua Maria
19 Settembre
Marianna mia.
Qui non arrivano che cattive notizie, non si vedono che volti spaventati.
Il coléra infierisce a Catania.
È un terrore, una desolazione generale.
Del resto non fossero questi timori, se non fossero queste angosce, qual vita più beata di quella che si mena qui? Il babbo va a caccia, o mi accompagna nelle lunghe passeggiate, quando potrei aver paura di smarrirmi nel bosco.
Il mio fratellino, Gigi, corre, grida, fa chiasso, si arrampica sugli alberi, e vi lascia appeso tutti i giorni qualche brandello del suo vestito, e la mamma...
(Marianna, se sapessi come mi vien difficile dare questo dolce nome alla mia matrigna! Mi pare di fare un torto alla memoria della mia povera madre...
Ma pure bisogna chiamarla così!) e la mamma a sgridarlo, a dargli dei confetti, dei baci e degli scappellotti, a rammentargli gli abiti, a ripulirlo venti volte al giorno.
Ella non fa che agucchiare e accarezzare i suoi figli, beati loro!...
e spesso mentre dà un'occhiata alla cucina o alla domestica che prepara il desinare, mi rimprovera che io non son buona a nulla, nemmeno a far la cucina...
Pur troppo è vero! ella ha ragione.
Non faccio altro che correre pei campi, raccogliere i fiorellini, e ascoltare il canto degli uccelletti...
alla mia età! Ho quasi venti anni!...
capisci! Ne arrossisco io stessa; ma il mio caro babbo non ha cuore di sgridarmi; egli non sa far altro che accarezzarmi e dire: «Povera piccina! lasciatele godere questi giorni di libertà!».
Ogni volta che penso alla mia povera mamma che dorme laggiù nel Camposanto di Catania, mi vengono le lagrime agli occhi.
Ma qui ci penso più spesso, perché mi pare di essere straniera nella casa di mio padre.
Nessuno ci ha colpa.
Non sono abituati a vedermi, ad avermi fra i piedi: ecco tutto.
La mia matrigna poi, se mi rimprovera che io non son buona a nulla, ne ha le sue buone ragioni; gli è pel mio bene, e il torto è sempre mio.
Mia sorella non è molto espansiva, perché non è pazzerella come me; ma mi vuol bene e non si lagna del disagio che io le arreco occupando quel piccol camerino ov'è rincantucciato il mio lettuccio e che altre volte le serviva da guardaroba, mentre adesso tutte le sue scatole e le sue vesti ingombrano la sua camera.
Gigi è sempre quel caro fanciullo allegro e chiassone che tu conosci; mi salta al collo venti volte al giorno, e mi consola con un bacio allorché la mamma mi sgrida per ragione dei suoi vestiti laceri.
Ma che colpa ci ho io se al convento non mi hanno insegnato a rattoppare i vestiti? Veramente toccherebbe a me.
Giuditta è una signorina, e per altro ella è troppo occupata tutto il giorno fra i suoi abiti e le sue acconciature, ed ha ragione di occuparsene tanto, perché le belle vesti, i bei nastri, le stanno così bene che sembrano fatti apposta per lei...
E poi ella è ricca della dote di sua madre; il mio babbo, come sai, non è che un modestissimo impiegato.
A che dovrebbe pensare ella dunque alla sua età? L'altro ieri, mentre si provava una veste nuova, le domandai il permesso di abbracciarla, tanto era bella! Ella non volle permetterlo, ed a ragione, per non sgualcire la stoffa.
Quanto sono sciocca, Marianna! Come se si fosse trattato della mia meschina tonaca di saja che non corre mai il rischio di gualcirsi!
Ah! ma la famiglia è una benedizione del cielo! La sera, quando il babbo chiude le porte, io provo un sentimento ineffabile di contentezza, come se si restringessero i legami che mi uniscono ai miei cari nell'intimità della vita domestica.
Invece qual penoso sentimento di tristezza non provavamo tutte noi, povere recluse, te ne rammenti? allorché s'udiva risuonare il mazzo delle chiavi del portinaio, e stridere i chiavistelli! Allora il mio pensiero correva ai poveri carcerati e il mio cuore si stringeva; me ne son confessata cento volte, ne ho fatto cento penitenze, e giammai ho potuto difendermi da coteste idee.
La mattina, prima di aprire gli occhi, allorché mi risveglia il cinguettìo degli uccelletti che si disputano le miche di pane che io lascio apposta per loro sul davanzale della finestra, il mio primo pensiero si è la contentezza di trovarmi in mezzo alla mia famiglia, accanto al mio babbo, al mio fratellino, a Giuditta, che mi abbracceranno e mi daranno i buon giorno; che io non avrò uffizî da recitare, né meditazioni da fare, né silenzî da serbare; che io aprirò la mia finestra, appena salterò giù dal letto, onde fare entrare quell'aria imbalsamata, quel raggio di sole, quello stormire di fronde, quel canto di uccelli; che io uscirò sola, quando vorrò, a correre e saltellare ove meglio mi piacerà, che non incontrerò volti austeri, né tonache nere, né corridoi oscuri...
Marianna! ti confesso all'orecchio un gran peccataccio!...
Se mi facessero una bella vestina color caffè!..
senza crinolina, veh! Oh! questo poi no!...
Ma una vestina che non fosse nera, con la quale potessi correre e scavalcare i muricciuoli, che non rammentasse ad ogni momento, come questa brutta tonaca, che laggiù a Catania, quando sarà finito il coléra, mi attende il convento!...
Non ci pensiamo.
Sono una scapata, sono una matta!...
Perdonami, mia cara Marianna, ho scherzato; ma intanto non ti ho detto ancora che ho un bell'uccelletto, un grazioso passerotto, allegro, vispo, che mi vuol bene, che mi risponde, che vola a prendere l'imbeccata dalle mie mani, e mi pizzica le dita, e si diverte ad arruffarmi i capelli.
La sua storia è un po' triste, è vero, dapprincipio: il babbo me lo portò un giorno avvolto nel fazzoletto, e il fazzoletto era macchiato di sangue! poverino! era forse quella la sua prima volata ed un colpo di fucile l'aveva ferito in un'ala! Fortunatamente la ferita non era grave.
Che cattivi e barbari divertimenti hanno mai gli uomini! Vedendo quel sangue, udendo quel pigolare...
- il poverino si lamentava del gran dolore che doveva provare!...
- io piansi con lui ed arrivai sino a dar torto al mio caro babbo.
Tutti ridevano di me, persino Gigi.
Lavai la ferita del meschinello, ma non sperai che campasse.
Invece eccolo lì che saltella e fa il chiasso! Qualche volta il poverino si duole ancora della sua ferita e viene a rannicchiarsi nel mio grembo pigolando e strascinando la sua aluccia, come se volesse narrarmi il suo guaio.
Io lo conforto coi baci, l'accarezzo, gli dò delle miche di pane e del miglio, ed egli se ne va tutto vispo a posarsi sul davanzale per volgersi di nuovo verso di me cinguettando, sbattendo le ali e allungando il collo a bocca spalancata.
Ieri l'altro un brutto gattaccio mi fece provare un grande spavento.
Il mio Carino, sai si chiama Carino?, era sul tavolo a ruzzare, poiché egli fa mille buffonerie! a sconvolgere e disordinare tutte le carte, cinguettando sempre, e poi si volgeva a guardarmi coi suoi occhietti arditi, il furbo, come se provasse gusto a farmi dispetti, quand'ecco d'un balzo sul tavolino quel gattaccio nero, che allungava lo zampino per adunghiarlo! Io misi un grido, il povero Carino strillò anche lui, e fu assai lesto a rifugiarsi in seno a me.
Non so come lo nascondessi fra le mie mani, nel mio grembiule; ma tremavamo tutt'e due.
Al mio grido accorsero tutti di casa.
Mia matrigna mi rimproverò di averla spaventata per nulla, dicendomi che non sono più nell'età delle fanciullaggini, e che il gatto avrebbe fatto il suo dovere acchiappando il mio Carino; Giuditta rideva, e quel pazzerello di Gigi istigava il gatto a ghermirmi l'uccelletto che mi tenevo in grembo.
Quel poverino lo sentivo tremare nelle mie mani dalla gran paura avuta, e il cuore gli batteva forte forte.
Mi sarei fatta uccidere piuttosto che abbandonarlo! Da quel giorno non dimentico mai di chiudere l'uscio della mia camera ove lascio il mio Carino.
Io l'odio quel gattaccio!
Invece voglio un gran bene al cane del castaldo, un bel can da pagliaio, tutto nero, altro così, che nei primi giorni mi faceva una gran paura coi suoi latrati, ma che adesso mi accarezza dimenando la coda, leccandomi le mani, fregandosi i fianchi alla mia tonaca e dicendomi coi suoi occhi intelligenti che mi ama.
Infatti egli è il mio guardiano, mi accompagna nelle mie passeggiate, non mi lascia di un passo, corre innanzi ad esplorare il terreno, e ritorna a gran salti dimenando la coda e abbaiando allegramente.
Quando io lo chiamo, egli già sa ch'è l'ora della nostra passeggiata (quest'ora arriva venti volte al giorno) e vorresti vedere che urli, che salti, che carezze!
Ti ho parlato del mio cane, del mio passerotto, di quel brutto gattaccio, e non ti ho ancora detto che abbiamo dei vicini di campagna che vengono a trovarci spesso, e che passiamo quasi tutte le sere a giocare in loro compagnia, e facciamo delle belle passeggiate nell'ora del tramonto.
essi abitano una casetta in fondo alla valle, a poca distanza nostra, che si può vedere dalla mia finestra.
Sono i signori Valentini; li conosci? Il babbo e la mamma dicono che sono brava gente.
Io e l'Annetta, loro figlia, che ha quasi la mia età, siamo amiche; ma non come fra te e me, vedi! Non esserne gelosa; perché io ti amo assai più di lei, e voglio che tu mi ami assai più di tutte le altre tue amiche.
Quando mi scriverai? Mi hai fatto aspettare la tua lettera quattordici lunghissimi giorni! Vedi come io ti rispondo subito e a lungo? Se mi farai aspettare altri quattordici giorni per dirmi che mi vuoi tutto il bene che io ti voglio, che mi rimandi cento e cento baci che ti mando, allora io amerò la mia nuova amica più di te.
Pensaci!
P.S.
Dimenticavo di dirti che i signori Valentini, oltre l'Annetta, hanno pure un figlio, un giovanotto ch'è venuto spesso con sua sorella, e che si chiama Antonio; però lo chiamano Nino.
27 Settembre
Marianna, perché non sei qui a passeggiare, a trastullarti, a divertirti con noi? Perché non posso abbracciarti e dirti ad ogni istante: vedi com'è bello questo? vedi com'è piacevole quest'altro?...
e mostrarti quanto io son felice, mio Dio! felice come non potrei desiderare dippiù! Che sarebbe poi se tu fossi qui!...
Ieri verso il tramonto abbiamo fatto una passeggiata coi signori Valentini nel bosco dei castagni.
Che bel bosco! se tu lo vedessi, Marianna! Un'ombra deliziosa, qualche raggio di sole morente che s'insinua fra le fronde, uno stormire grave e prolungato dei rami più alti, il canto degli uccelli, e poi, di tratto in tratto, silenzio solenne e profondo.
Sotto quelle immense volte di rami, fra quelli andirivieni sterminati di viali si avrebbe quasi paura, se la stessa paura non fosse piacevole.
Le foglie secche frusciavano sotto i nostri passi; di tratto in tratto qualche uccelletto spaventato, che fuggiva, scuoteva con improvviso stormire le poche fogliuzze che lo nascondevano; Vigilante, il nostro bel cane, correva innanzi festoso, abbaiando dietro i merli spaventati; Annetta, Gigi e Giuditta si davano il braccio e cantarellavano; il signor Nino li seguiva col suo fucile ad armacollo; il resto della comitiva era molto lontano, e ci gridava ad ogni istante che non corressimo tanto perché l'erta del monte è faticosa.
Il signor Nino anch'egli ha un bel cane, un bel bracco, dalle orecchie lunghe, e picchiettato tutto di nero: si chiama Alì e ha già stretto amicizia con Vigilante.
Giuditta ed Annetta ad ogni passo restavano impigliate per le loro lunghe vesti a qualche sterpo; ma io no, ti assicuro! io corro, saltello, ma non inciampo mai, né le siepi lasciano i segni sulla mia tonaca.
Il signor Nino mi veniva appresso, mi raccomandava di badare che non cadessi, temeva per me, poverino!...
Se non fosse per la vergogna, quasi quasi lo sfiderei a correre, quel signorino! Giuditta si lamentava ad ogni momento di sentirsi stanca.
Che donne son quelle, Marianna? non sanno fare dieci passi senza aver bisogno del braccio di un uomo, e senza lasciare qualche brandello della veste ad ogni cespuglio! Benedetta la mia tonaca! Il signor Nino mi ha offerto venti volte il braccio, come se ne avessi bisogno, io! l'avrà fatto apposta per farmi arrabbiare! Perché dunque non l'ha offerto a mia sorella che si lagnava della salita e che ne aveva bisogno lei? non io!
Quando siamo giunti in cima al monte, che magnifico spettacolo! Il castagneto non arriva sin là, e dalla vetta del monte si può godere la vista di uno sterminato orizzonte.
Il sole tramonta da un lato, mentre la luna sorgeva dall'altro: alle due estremità due crepuscoli diversi, le nevi dell'Etna che sembrava di fuoco, qualche nuvoletta trasparente che viaggiava per l'azzurro del firmamento come un fioco di neve, un profumo di tutte le vigorose vegetazioni della montagna, un silenzio solenne, laggiù il mare che s'inargentava ai primi raggi della luna, e sul lido, come una macchietta biancastra, Catania, e la vasta pianura limitata da quella catena di monti azzurri, e solcata da quella striscia lucida e serpeggiante che è il Simeto, e poi, grado grado salendo verso di noi, tutti quei giardini, quelle vigne, quei villaggi che ci mandano da lontano il suono dell'avemaria, la vetta superba dell'Etna che si slancia verso il cielo, e le sue vallate che già sono tutte nere, e le sue nevi che risplendono degli ultimi raggi del sole, e i suoi boschi che fremono, che mormorano che si agitano.
Marianna, ci son delle ore in cui vorrei piangere, in cui vorrei stringere le mani a tutti quelli che mi son vicini, in cui non potrei profferire una sola parola, mentre mi si affollano in testa mille pensieri...
Guarda!...
io non so come non stringessi la mano al signor Nino che mi era accanto!...
Son sempre matta!
Credo che tutti in quel momento avran provato quello che io provavo, poiché tutti tacevano.
Il signor Nino istesso, ch'è sempre allegro, come tu sai, taceva anche lui!!!
Poi siam discesi correndo, schiamazzando, ridendo, facendo paura agli uccelli (che ne facevano a noi allorché scappavano con istrepito improvviso fra le foglie) e giocando a rimpiattino fra gli alberi, nonostante che i nostri genitori si sfiatassero a gridarci di non correre.
Alì e Vigilante prendevano parte a quella festa saltando e abbaiando allegramente.
Di tanto in tanto, fra quelle immense ombre, un raggio di luna penetrava fra i rami, strisciava sui tronchi inargentandoli, e disegnava bizzarre figure sulle foglie morte che tappezzano il suolo.
Il signor Nino correva anche lui come un fanciullo, come un matto, né più né meno di tutti noi.
Due o tre volte l'ho sopravanzato e ne sono andata orgogliosa.
Vincere un uomo!...
E siccome faceva buio tra gli alberi, ed egli non poteva vedermi arrossire...
così non mi vergognavo...
e allorché m'ero lasciati di molto addietro tutti gli altri...
e anche lui...
sostavo ansante, senza poter tirare il fiato, ma tutta giuliva, e non avevo paura di trovarmi sola al buio, perché udivo le loro voci, gli abbaiamenti dei cani...
e poi il signor Nino non aveva il suo bravo schioppo ad armacollo?
Uscendo dal bosco fu un'altra festa allorché vedemmo i lumi della nostra casetta.
Sai com'è piacevole in campagna, nel silenzio, fra il buio, vedere da lontano quelle finestre rischiarate, quel lume ospitale che ci guida, che ci chiama, che ci fa pensare alle pareti domestiche e a tutte le tranquille contentezze della famiglia?
Non sai che in questi otto giorni siamo diventati intimissimi coi signori Valentini? La brava gente! ci pare che sieno nostri amici da vent'anni.
Annetta è una cara ragazza e non ride della mia tonaca e delle mie singolari maniere da educanda; siamo insieme dal mattino alla sera; si passeggia, si chiacchiera, si giuoca, si fa colazione e qualche volta anche si desina assieme.
Se ti dicessi che ho imparato a giocare anch'io!...
Per carità non dirlo ad anima viva! Però ancora non sono molto brava e perdo quasi sempre; ma il signor Nino ha la bontà di star di continuo a dirigermi, a consigliarmi, e si contenta di non giocare lui.
Quando tornerò al convento di dimenticare tutte le quaranta carte.
Il convento! mio Dio!...
Ecco la sola nube che offuschi cotesto ridente orizzonte.
Ma non ci pensiamo per ora, Marianna mia, siamo allegri e felici; sia poi quel che Dio vuole!
E intanto che noi siamo qui, lontani, dal pericolo, sicuri, tranquilli, e che ci divertiamo, quanta povera gente che piange, che soffre! quante miserie, quante lagrime, quante vittime! Le notizie che ci giungono sin qui, ogni quattro o cinque giorni, sono assai tristi! Dio mio, pietà di tanti tribolati!
Quanti sospetti! quanti terrori! Tu saprai che i nostri contadini credono agli avvelenatori, ai razzi avvelenati, che so io...
Meschinelli! sono come me che, quando ho molta paura, veggo i fantasmi! Perciò tutte le notti si veggono per le valli, sui monti, dappertutto, i fuochi, i segnali delle guardie, si odono continuamente delle schioppettate, come se si volesse far paura a dei lupi intelligenti, a delle belve umane!...
-Ciò è triste; ma la notte, fra il buio e il silenzio, fra questa commozione generale, è anche spaventevole!
Son triste anch'io, non è vero? e un momento innanzi ero allegra parlandoti dei nostri divertimenti.
Mi dici che anche tu ti diverti e che sei in buona compagnia; ti credo, ma giurerei che non varrà certamente la nostra.
Mi dici anche che non rientrerai più in convento...
beata te!...
Ma se dovessi rientrarvi senza di te?...
Voglio stare allegra adesso; penserà Iddio al resto!...
Il mio Carino è guarito; s'è fatto grandicello ed anche un poco cattivo; è vispo, chiassone, ardito, e gli è venuta una vociaccia! Se lo lasciassi fare, credo che avrebbe l'audacia di tener testa al gatto.
Il povero Vigilante s'ebbe un cattivo colpo di bastone dal castaldo, ed è venuto strillando il suo guaio.
Io l'ho accarezzato, gli dò sempre qualche boccone ghiotto, e adesso non lascia più la soglia del mio camerino.
Mi pare che non abbia dimenticato di dirti nulla.
Scrivimi presto e lungamente.
Dimmi che mi vuoi bene, e che vuoi bene anche alla mia Annetta, che te ne vuol molto.
Addio, addio, addio.
1 Ottobre
Se sapessi, Marianna! se sapessi!...
Il peccataccio che ho fatto!...
Mio Dio! come avrò il coraggio di dirtelo? Non mi sgridare!...
a te, a te sola lo confesserò...
ma all'orecchio, veh! e sommessamente...
Non mi guardare in viso!...
Abbracciami e ascolta...
Ho ballato!...
intendi? ho ballato!...
ma senti...
non mi sgridare!...
non c'era nessuno...
il babbo, Giuditta, Gigi, la mamma, Annetta, i signori Valentini...
e il signor Nino...
Anzi ho ballato con lui...
Ascolta! mi giustificherò...
vedrai che non sono stata io...
che non fu mia colpa...
che mi costrinsero...
L'altra sera i signori Valentini portarono il loro armonium; suonò Annetta, poi anche Giuditta; ballarono tutti, Annetta, mia sorella, e un poco anche Gigi.
Si dovette disfare il letto di mia sorella per formare la sala da ballo.
Dopo che Giuditta ebbe finito di ballare, il signor Nino venne ad invitarmi, io mi sentivo ardere il viso e avrei voluto trovarmi cento piedi sotterra.
Balbettavo, non sapevo che dire.
Rifiutai, rifiutai venti volte, te lo giuro; tutti ridevano e battevano le mani; il babbo venne a prendermi per la mano, ridendo anche lui mi accarezzò, mi disse che po' poi non c'era il gran male a ballare anch'io.
Tentai inutilmente far comprendere che non sapevo ballare affatto, che non mi avevano insegnato neanche cotesto; il signor Nino s'impegnò di dirigermi lui; non ci vedevo più provavo le vertigini sentivo un ronzìo alle orecchie, e le gambe mi tremavano; mi lasciai condurre, mi lasciai trascinare senza sapere io stessa quello che facessero di me.
Quanto soffersi, Marianna!...
Eppure...
allorché egli mi prese per la mano...
allorché mi passò il braccio attorno alla vita...
mi sembrò che la sua mano ardesse, che mi bruciasse il sangue nelle vene, che mi facesse scorrere un'onda di gelo sino al cuore!...
ma nello stesso tempo parvemi che mi confortasse.
Il cuore mi si spezzava sentendo battere quell'altro cuore contro il mio! Tutti avranno riso di me! Ridi anche tu.
Si, anch'io adesso ne rido.
Chi è delle fanciulle della nostra età che non abbia ballato almeno venti volte? Chi sa se in principio provarono tutte quello che io provai?...
Ma in seguito ti confesso che quella musica, quei volti allegri, le parole che egli mi sussurrava all'orecchio per rincorarmi, la sua mano che stringeva la mia, fecero quasi svanire il mio turbamento, anche direi la vergogna...
Povera Marianna! non mi rimproverare!...
Quasi quasi mi parve d'esser felice...
Marianna mia! perdonami! non lo farò più! Del resto spero che mi lasceranno tranquilla; avranno riso abbastanza della mia tonaca e della mia goffaggine...
anche lui...
il signor Nino...
Ma no! son sicura che egli non volle farmi ballare per ridere di me...
ma la sua intenzione era di farmi piacere...
e difatti è stato troppo buono per me, per una povera educanda che non sapeva muoversi, che inciampava ad ogni passo, che soffriva di capogiro...
egli che balla così bene! Se tu l'avessi visto ballare con Giuditta!...
lei sì che sa ballare, lei!
Dopo si fece un po' di musica.
Annetta e Giuditta cantarono alcune belle ariette da teatro.
Vollero in seguito che cantassi anch'io ad ogni costo!...
Dimmi tu che cosa avrei potuto cantare all'infuori del Salve Regina? Ebbene, dissero che si contentavano anche del Salve Regina! Volevano prendersi spasso di me certamente, il mio babbo pel primo che mi costrinse a cantare! Nel coro, tu lo sai bene, cantavamo quasi al buio, dietro le gelosie, col velo sul viso, infine fra persone intime; ma cantare lì, allo scoperto, fra tanta gente!...
c'era anche il signor Nino!...
Pure dovetti cantare! non le parole, s'intende, ma la sola musica.
La voce mi tremava, mi mancava il fiato; ebbero però la bontà di essere indulgentissimi, di non ridere, ed anzi di applaudirmi.
Pare che la sia davvero una bella musica, quella del Salve Regina!...
Ho visto il sign
...
[Pagina successiva]