[Pagina precedente]... vorrei godermi quei fulmini, quella tempesta che urla, che si contorce, che geme come me. Se mi avessero detto che doveva tanto soffrire!... Perché mi hanno tratta fuori dal convento, codesta gente senza pietà ? Perché non mi hanno lasciato morir colà , sola, senza aiuto, di coléra, di abbandono.
...
Ah!... Zitto!... Ascolta, Marianna!... Non hai sentito?... Mi è sembrato... là , dietro quella finestra, fra il vento, la pioggia, il turbine... un passo... sì! sì! è lui!... è lui! Il cuore mi si spezza! Mi afferro la testa con ambo le mani, perché mi sembra che anche qualche cosa della mia testa mi sfugga! È lui! Che fa? che vuole? Ha picchiato sui vetri!... Dio! Dio mio!... fatemi morire! fatemi morire! Mi dice addio! Egli! egli!... ed io! ed io!... Che cosa succede dentro di me, Dio mio?... Ho avuto un colpo di tosse... È il mio addio... Egli l'avrà udito... Non veggo più... Mi sento morire... Dio mio! Se mi trovassero morta con questa lettera, questa vergogna!
31 Dicembre
Dio ha avuto pietà di me; ho riaperto gli occhi e mi sono trovata ancora questa lettera fra le mani. Nessuno l'ha vista; l'uscio è ancor chiuso. Il sole già rischiara il mio stanzino da tutte le commessure delle imposte. Gli uccelli cinguettano sul davanzale... Il sole! com'è orribile! ma dunque la tempesta?... ma dunque?...
Balzo dal letto... Non ho forza di reggermi in piedi... non ho il coraggio di aprire la finestra.
Pure...
...
Dio mio, sia fatta la vostra volontà !...
Tutto è finito! Ho visto quella casa muta, quelle imposte chiuse, un'aria di silenzio, di desolazione e di abbandono tutto all'intorno che spezza il cuore!
Ho interrogato questo cielo che ci ha veduti vicini, questi alberi che hanno stormito sul suo capo, questi monti che poche ore innanzi ci erano ancora comuni e che adesso son soli, tristi, abbandonati!...
È partito! è partito!
Sotto la mia finestra ho visto sul suolo molle di pioggia e bianco di neve le sue orme... l'ultime sue orme!... Il suo piede vi si è posato, la sua mano ha toccato questo davanzale... egli è stato lì! lì! Quest'aria lo ha circondato e tutto quello che io veggo l'ha veduto!... ed ora non c'è più... nulla, nulla!
Ho trovato sul davanzale una rosa appassita, una povera rosa che egli mi aveva quasi rubato, e che io gli avevo lasciato rubare. La pioggia l'ha infradiciata. È una reliquia. L'ho qui sul petto... e quando le forbici recideranno i miei capelli vi metterò in mezzo quel povero fiore morto, e li manderò a mia sorella...
7 Gennaio, 1855
Oggi è l'ultimo giorno che passeremo qui a Monte Ilice. Domattina partiremo per Catania. Se toccheremo Mascalucia ti rivedrò.
Se vedessi come tutto qui è triste! Il cielo nuvoloso, l'aria fredda, le valli che son velate di nebbia, i monti che son coperti di neve, gli alberi che non hanno le foglie, gli uccelletti che non hanno allegria, il sole ch'è pallido, quelle lunghe file nere di corvi che si aggirano gracidando per l'aria, que' contadini rannicchiati attorno al fuoco.
I miei non ne potevano più di starsene qui, soli, nella cattiva stagione, e adesso che la paura del coléra è cessata, il babbo non vede l'ora di andarsene. Io me ne sto delle ore intiere a pensare a non so che cosa, appoggiata sul davanzale, quando il sole splende, o guardando tristamente il cielo attraverso i vetri.
Mio Dio! questa è la morte... la morte della natura come la morte del cuore... come la morte della povera rosa...
E pensare che questi luoghi erano tanto belli! che sono stata tanto felice qui!
Mi son riconciliata con Dio, colla mia vocazione. Ho visto che la pace, la quiete, la tranquillità non si trovano che laggiù, in quella cella, ai piedi di quel crocifisso; che tutte le gioie del mondo lasciano infine un senso di amarezza... tutte!
Eppure mi pare di lasciare una parte del mio cuore in questi luoghi ove ho passato tante ore tristi e tanti giorni deliziosi. Ad ogni oggetto che ho visto, ho pensato: domani non lo rivedrò più! Questa sera ho fatto un'ultima passeggiata nel bosco; mi sono assisa un'ultima volta su quel muricciolo; ho contemplato quella capannuccia posta di faccia alla nostra porta, e stando alla finestra ho guardato con un senso inesplicabile di mestizia gli alberi, i monti, quei burroni, il cielo ove si spegneva il raggio del giorno... e li ho salutati per l'ultima volta, ed ho salutato persino la pietra coperta di musco, sin la gronda che si stende sul mio capo. Tutte queste cose hanno una fisonomia particolare, la fisonomia malinconica degli oggetti che sembrano dirci addio... Ed il mio addio sarà eterno. L'anno venturo, allorché questi monti che adesso tacciono e sono tristi, saranno allegri di suoni, di luce e di fragranze, quando le villanelle canteranno per le vigne e la lodoletta pei cieli, i miei parenti torneranno qui... Essi rivedranno questi luoghi deliziosi... Io no! Io sarò lontana, chiusa in convento... e per sempre.
Ho riveduto quella casetta... Sembra che pianga, che abbia paura, sola, fredda, silenziosa, perduta in fondo alla valle. ho chiuso l'ultima volta la mia finestra; ho visto il crepuscolo morire sui vetri e le stelle accendersi ad una ad una nel firmamento; le pareti illuminate dalla candela dell'ultima sera hanno una fisionomia particolare; quel lettuccio, quel crocifisso, quei mobili, tutte quelle piccole cose son diventate intelligenti, sono meste, mi hanno detto addio... Anch'io son mesta... ho pianto, e mi son sentito alleggerire il cuore.
Catania, 9 Gennaio
Mia cara Marianna, tu mi avrai aspettato inutilmente. Non toccammo Mascalucia, perché avremmo allungato di molto il nostro viaggio e il tempo era al cattivo: ma avrei desiderato tanto di vederti!... Adesso siamo qui da ieri sera, e domani rientrerò in convento.
Siamo partiti da Monte Ilice verso le dieci, col tempo che minacciava pioggia. Tant'è, ogni cosa era disposta per la partenza e la mamma non avrebbe voluto di nuovo disfare di nuovo i bauli e le valigie per tutto l'oro del mondo. Meglio così. A che rimanere più a lungo lassù? Il cielo stesso sembrava scacciarci. Nondimeno allorché oltrepassai la soglia di quella casa mi sentii un gruppo al cuore. Volli passare in rassegna un'ultima volta quelle stanzine, la spianata, la capannuccia del castaldo, il muricciolo, quel bel castagno che stende i suoi rami sul tetto! Ho abbracciato le pareti, i mobili del mio camerino; ho aperto un'ultima volta la finestra per udire quello stridere dei gangheri che piangeva. ho fatto il giro della casetta onde vedere la mia finestra dal di fuori com'egli l'avrà vista... onde cercare d'indovinare il luogo dov'egli ha posto i piedi...
Tutti erano allegri, Giuditta, Gigi, anche il babbo e la mamma; Vigilante saltellava, poverino, come se non sapesse che l'abbandonavamo. La castalda ci dava il buon viaggio con tutti i suoi bimbi che le si aggrappavano alle vesti; un uccelletto tremante di freddo è venuto a posarsi su di un ramoscello senza foglie del castagno e si è messo a pigolare anche lui.
Siamo partiti a piedi; in fondo alla valle ci aspettavano gli asinelli per andare sino a Trecastagne, poiché tu sai che su questi monti non si può venire che a cavallo. Di tratto in tratto ci volgevamo a guardare un'ultima volta quei luoghi che abbandonavamo. Allo svoltar del viottolo, laggiù nella valle, siam passati vicino quella casetta... Il cuore non mi reggeva a guardarla, eppure le menome particolarità di essa mi son rimaste scolpite in mente. La finestra di lui ha le imposte verdi e un vetro è rotto; sul davanzale c'è un segno di umidità al posto dov'era il vaso di gelsomini; il vento ha strappato i tralci della vite che si stendevano sulla porta e li ha gettati a terra; sulla spianata, dinanzi alla porta, ci son ancora dei vetri rotti e alcuni brani di lettere e di giornali fradici dalla pioggia che il vento fa svolazzare di qua e di là ; sul davanzale c'è ancora una pipa rotta. Tutte quelle cose parlano e dicono: Non c'è più! ci ha lasciato! siamo soli!
Quello era il viottolo pel quale egli veniva da noi. Quante volte ci sarà passato!... Da quel punto doveva vedere la nostra casetta far capolino lassù attraverso i castagni. Quante volte l'avrà guardata!... E quante volte i suoi sguardi si saranno posati su queste pietre coperte di musco, e vi sarà seduto col suo bel cane disteso ai piedi!...
Marianna! non mi regge il cuore a tutte codeste memorie!
Siamo andati a cavallo sino a Trecastagne ove ci aspettava la carrozza. Il povero Vigilante ci faceva festa per invitarci a condurlo con noi. Che potevo io fare? L'ho accarezzato ed ho avuto quasi le lagrime agli occhi vedendolo allontanarsi per forza, strascinato dal castaldo che l'aveva legato al guinzaglio.
Rivolsi un ultimo sguardo sul mio caro Monte Ilice e non vidi più né la casa, né la capannuccia, né la vigna. Vidi soltanto una massa bruna ch'è il castagneto e il resto confuso nella nebbia e biancheggiante di neve.
Montammo in carrozza e partimmo.
Quando siamo entrati in città , il cuore mi si è fatto leggero leggero. Guardavo fuori lo spettacolo e mi pareva ravvisar lui in ogni persona che incontravo... Mi avranno creduto una sfacciata!... quando vedevo un crocchio di gente non potevo frenarmi di mettere il capo fuori lo sportello; ero tutta sossopra come se fossi certa di vederlo in quel cerchio... la carrozza passava oltre rapidamente e il cuore mi si stringeva come se non avessi avuto il tempo di ravvisarlo fra quella gente. Chi sa dove abitano i signori Valentini? Venti volte questa domanda m'è venuta sulle labbra, ma non ne ho avuto il coraggio. Catania è tanto vasta! Non è come quei nostri cari monti! Colà si sapeva sempre ove cercare una persona! Coteste immense vie mi son sembrate tetre; tutta cotesta gente mi è parsa triste. Siamo arrivati a casa, la casa di mia matrigna, ove mi son trovata come un'estranea in mezzo alla mia famiglia che ne baciava le pareti.
Chi sa se i signori Valentini sapranno del nostro arrivo? Chi sa se verranno? Chi sa se lo vedrò passare per la strada?... Mio Dio! la nostra strada è tanto deserta! Non si viene a passeggiare da queste parti... a meno che.. Ma egli potrebbe... Chi sa dove egli sarà a passeggiare in questo momento? E se poi mi vedessero alla finestra!...
Mia matrigna mi ha detto che domani rientrerò in convento. Ha creduto certamente darmi una consolazione, e non sa che mi son sentita come agghiacciare di terrore...
Non ci pensavo più... Ma bisogna rassegnarsi... Quella è la mia dimora. Dio mi perdonerà e metterà il balsamo in questo povero cuore che non avrebbe mai dovuto allontanarsi da Lui.
Rivedrò la mia celletta, il mio crocifisso, i miei fiori, la chiesa, le educande mie compagne... te sola no! tu non verrai più in convento!... sia fatta la volontà del Signore!... Qualche volta almeno tu verrai a trovare la tua povera amica che è tanto infelice... Chi sa se potrò più scriverti e sfogarmi con te?...
Addio! Addio!
10 Gennaio
Ti scrivo un sol rigo che forse sarà l'ultimo. La carrozza è giù che aspetta. Il babbo, la mamma, Gigi e Giuditta si son vestiti da festa per accompagnarmi.
Ho pianto; mi asciugo gli occhi; respiro un'ultima boccata di quest'aria libera.
I signori Valentini sono venuti a dirmi addio... Lui non c'era! Mi hanno abbracciato. Che piangere si è fatto con Annetta!
Scenderò la scala; monterò in carrozza, e fra venti minuti tutto sarà finito!
Addio anche a te... Addio! Il cuore mi si spezza.
Dal convento, 30 Gennaio
Non ho voluto lasciare passare il mese senza scriverti. Tu avresti potuto credere che io sia triste, infelice, mentre qui, ai piedi degli altari, nelle pratiche austere del nostro rito ho trovato, se non la pace, almeno la calma del cuore.
È vero. Si prova uno sgomento invincibile entrando qui, sentendosi chiudere alle spalle quella porta, vedendosi mancare ad un tratto l'aria, la luce, sotto questi corridoi, fra questo silenzio di tomba e il suono monotono di queste preci. Tutto rattrista il cuore e lo spaurisce: quelle fantasime nere che si veggono passare sotto la fioca luce della lampada che arde dinnanzi al crocifi...
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