[Pagina precedente]...sso, che s'incontrano senza parlarsi, che camminano senza far rumore come se fossero spettri, i fiori che intristiscono nel giardino, il sole che tenta invano [di] oltrepassare i vetri opachi delle finestre, le grate di ferro, le cortine di saia bruna. Si ode il mondo turbinare al di fuori e i suoi rumori vengono ad estinguersi su queste mura come un sospiro. Tutto quello che viene dal di fuori è pallido e non fa strepito. Son sola in mezzo a cento altre derelitte.
Ho perduto anche la consolazione della famiglia; non posso vederla che in presenza di molta gente, in una gran sala oscura, attraverso la doppia grata che difende la finestra. Le nostri mani non possono stringersi scambievolmente. L'intimità sparisce. Non restano che fantasmi che si parlano attraverso le gelosie, e ogni volta domando a me stessa se quello è mio padre, quel padre che mi sorrideva e mi abbracciava, s'è quella stessa Giuditta che saltellava con me, s'è quello stesso Gigi ch'era così vispo e allegro. Ora son serî, freddi, malinconici; mi guardano attraverso le grate della gelosia come viventi che si affacciano alla tomba per vedere cadaveri che parlano e si muovono.
Eppure tutte queste privazioni, tutte queste austere pratiche servono a distaccare il cuore dalla fragilità della terra, ad isolarlo, a farlo pensare a sé stesso, a dargli quella mutua calma che viene da Dio e dal pensiero che così si abbrevia il nostro pellegrinaggio sulla terra. Mi son confessata. Ho detto tutto! tutto! Quel buon padre ha avuto compassione del mio povero cuore malato. Mi ha confortato, mi ha consigliato, mi ha aiutato a strapparmi il demone dal seno. Mi sento più libera, più tranquilla, più degna della misericordia di Dio.
Domani entrerò in noviziato. Hanno voluto indugiare ancora pochi giorni perché la mia salute è malferma. Non mi son rimessa mai intieramente dalla malattia che soffersi lassù a Monte Ilice. Ogni due o tre giorni ho la febbre e tossisco tutte le notti. Ma Dio mi darà la forza di sopportare la prova del noviziato. D'ora innanzi però non potremo vederci che assai di raro e non potrò scriverti perché non vedrò tanto spesso Filomena, quella buona sorella laica che si è incaricata di trasmetterti le mie lettere.
Non vedrò più nemmeno il mio povero babbo!... Sia fatta la volontà del Signore!
Marianna, raccomandami a Dio perché io subisca codesta prova con rassegnazione.
8 Febbraio, 1856
Ho compito il noviziato. Mi hanno ottenuto una dispensa per ragioni della mia salute ch'è sempre cattivissima. Ho spesso la febbre, tossisco e son diventata così debole che la menoma fatica mi stanca. Però il cuore è calmo, e questa è la maggiore benedizione che Dio abbia potuto accordarmi. Qualche volta la fragilità si ribella, la tentazione mi riassale, allora mi prostro ai piedi dell'altare, passo le notti inginocchiata sul freddo pavimento del coro, macero il mio corpo coi digiuni e colle penitenze e allorché la materia è doma, allorché le mie forze son rifinite, la tentazione è vinta, e la calma ritorna.
Quest'anno di prova è stato assai duro. Ma il buon Dio me ne ha fatto trionfare. Ho veduto partire la mia famiglia al sopravvenire del coléra, l'estate scorsa; ho provato anche l'abbandono dei miei... sono stata sul belvedere a fissare gli occhi su quei bei luoghi ove un tempo anch'io era con loro... Ahimè! i bei tempi!... Ho pensato a tante cose... Ho pianto, sì, è vero, mi son sentita debole qualche volta, ma infine ho trionfato.
Ogni cosa qui serve a rinchiudere l'anima in sé stessa, a circoscriverla, a renderla muta, cieca, sorda per tutto quello che non è Dio. Eppure anche ai piedi del Crocifisso, quando mi assalivano quelle tentazioni... e pensava a quella nostra casetta, a quei campi, a quella capannuccia, a quel fuoco che cuoceva la minestra della castalda, domandavo a me stessa se quella povera contadina che si cullava i suoi bimbi sulle ginocchia, senza le mie tentazioni, senza i miei scrupoli, senza i miei rimorsi, non sia più vicina a Dio di me che mortifico con mille privazioni il mio spirito ribelle.
Quante volte non mi sono passati dinanzi agli occhi quei monti, quei boschi, quel cielo ridente!... Quante volte non ho detto: a quest'ora essi son seduti in crocchio sotto quel castagno; a quest'ora passeggiano pel viale della vigna; a quest'ora Vigilante abbaia, gli uccelletti pispigliano sulla gronda!... e quando mi son destata come di sognare mi son trovato il viso tutto bagnato di lagrime.
E poi un altro pensiero... un altro fantasma... lì... sempre lì, fisso dinanzi agli occhi... ai piedi della croce, in mezzo alla folle che ascolta la messa in chiesa, al capezzale del mio letto, dietro quella cortina di saja verde! la tentazione che mi afferra pei capelli, che mi strappa dalla preghiera, che mi fa piangere, che mi fa delirare...
Delle volte mi è sembrato di divenir pazza, e ne ho ringraziato Iddio, perché i pazzi non sono colpevoli... La domenica, fra tutta, quella gente laggiù in chiesa mi sembra di veder lui!... Mi segno, corro ai piedi del confessore spaventata, piangente; il buon vecchio tenta confortarmi, e mi prescrive quelle penitenze che devono scancellare dal mio cuore codesta macchia, ma che riescono inefficaci perché io sono una gran peccatrice.
...
Ma egli avrebbe potuto venire in chiesa una sola volta almeno... ad ascoltar la messa... senza neanche alzare gli occhi verso il coro... ma soltanto per farsi vedere... Egli saprà che son qui e non ha cercato di vedermi!
Dio! Dio mio! Perdonami, Marianna... vedi come son colpevole! come sono infelice!.. È il demone che mi assale quando meno me lo aspetto...
Quante volte, pregando il Signore che mi tolga da cotesta croce, non ho abbassato gli occhi verso la chiesa per vedere se egli fosse là , per cercarlo tra la folla! e la preghiera è spirata sulle mie labbra!... e il mio pensiero si è arrestato su di lui!... a vaneggiare, a sognare di correre pei campi, di ascoltare quel passo, quel colpo bussato alla finestra, e a guardare quelle stelle, e toccare quella mano accarezzando la testa di quel bel bracco e sentirmi alle orecchie quel nome: Maria! come se venisse dal cielo!...
Oh Dio mio, son fragile, son debolissima... ma lotto, mi difendo... Non ci ho colpa, Dio mio!.. È più forte di me, della mia volontà , del mio rimorso, della mia fede.
Tu mi scrivi che sei felice, che sei contenta anche fuori del convento. Ringrazia il buon Dio, Marianna mia, che ti ha serbato la mamma, che non ti ha fatto nascere povera, che non ti ha confitto nel cuore questa spina, che non ti ha fatta debole, isterica, nervosa, malaticcia.
Solo quando questa materia si dissolverà io non soffrirò più. Ecco perché vorrei staccarmi dal mondo che mi afferra ostinatamente, ed alzo gli occhi e le braccia supplichevoli verso il cielo...
Ora che son ritornata presso alla mia buona Filomena, che ha pietà delle mie pene e mi procura il conforto di scriverti e di ricevere le tue lettere, ti scriverò qualche altra volta prima di profferire i voti solenni. Tu verrai alla cerimonia, non è vero?
Voglio dire addio a tutti coloro che mi son cari attraverso a quella gelosia, tra il fumo degli incensi e il suono dell'organo. Voglio che tutti quei volti amici mi confortino all'arduo passo, perché il mio povero cuore è debole; ho bisogno di poter fissare i miei occhi nei tuoi e in quelli del babbo, di mia sorella, di Gigi, di Annetta, allorché sentirò la forbice stridere fra i miei capelli...
Ho paura, ho paura, Marianna!... Ho paura di quelle forbici... Ho paura di quel momento!...
Ho paura di lui... s'egli venisse in chiesa quel giorno!... Dio mio! No! no! son debole, Dio mio!... no! per pietà !...
Tu verrai insieme a tuo padre, Giuditta, mio fratello, la mamma, Annetta, i signori Valentini...
Dio mio! sia fatta la vostra volontà !
27 Febbraio
Marianna mia! sorella mia!... M'era sembrato d'essermi agguerrita contro il dolore, ma quest'altro che sopravviene mi lacera, mi schiaccia, mi annichilisce! Eccomi più debole, più meschina di prima! Dio mio!... Anche cotesto!... Anche cotesto!...
Quello che ho saputo, Marianna! quello che ho saputo!... Avresti mai potuto immaginarlo? Sono stata malata per più di due settimane. Ora mi son levata, ti scrivo, piango con te.
Che è mai questa cosa meschina ch'è dentro di me, che geme, che soffre, che non sa strapparsi da tutte coteste miserie per elevarsi a Dio?...
Ma essi avrebbero dovuto farmelo ignorare... Sono senza pietà !... No! piuttosto io son debole, io son colpevole! Dio mi punisce.
Il signor Nino sposerà mia sorella... intendi?... Son venuti a darmi la lieta novella!... È un buon matrimonio... ambedue sono ricchi... Giuditta è contenta, felice... Non ho avuto il coraggio di domandar loro in grazia di risparmiarmi la prova della visita d'uso... perché anch'egli verrà ... Sento che non avrò la forza di quest'altro sacrifizio... mi ucciderà ...
Ed egli!... egli... l'avrà ?
Ma pregherò tanto Iddio... per me... e per lui... mi flagellerò tanto... piangerò tanto che Dio ci darà ad entrambi la forza di superare la prova crudele.
Ho pianto; sino a quando non avevo più lagrime.
Il mio petto si lacera; la mia testa vaneggia; vorrei dormire; vorrei soprattutto che il Signore mi risparmiasse questo dolore...
Sia fatta la volontà di Dio!
28 Febbraio, mezzanotte
Dio sia lodato! la prova è subìta. Mi è parso di morire... ma è passata... ora è tutto finito...
Mi avevano fatto prevenire, come anche tutte le monache nostre parenti, la madre abbadessa, e la direttrice delle novizie. Noi aspettavamo nella sala grande che precede il parlatorio; ero seduta fra l'abbadessa e la madre direttrice. Sono arrivati puntualmente all'ora stabilita. Ho udito la carrozza che si fermava alla porta, i loro passi che salivano le scale e si avvicinavano alla grata... Mi son levata barcollante... non ci vedevo... Ho sentito la campana che mi chiamava... La direttrice aprì la cortina; mi aggrappai alla tenda; mi lasciai cadere sulla panca di legno; vidi in confuso quella inferriata affollata di visi... ma non mi avranno veduta; qui faceva buio. Essi parlavano. Dopo un po' di tempo ho potuto udire anch'io. Parlava mia matrigna... anche il babbo... Giuditta non diceva nulla... e neanche lui... Mia sorella aveva una veste e un cappellino color di rosa, sembrava felice. Lui le stava accanto; aveva il suo cappello fra le mani e lo lisciava coi guanti... Non piangevo... mi pareva di sognare... ero sorpresa come non soffrissi dippiù... poi si alzarono... Il babbo mi disse addio, la mamma mi sorrise, Giuditta mi ha mandato un bacio, Gigi mi chiese dei dolci... egli s'inchinò. Lo vidi allontanarsi... Egli era al fianco di Giuditta: sulla soglia le diede il braccio... Indi la porta si rinchiuse, i passi si allontanarono... poi non si udirono più. La carrozza partì... rimasi al silenzio. Più nulla!... Nulla!... Son sola!...
10 Marzo
Fra un mese prenderò il velo. Si fanno già i preparativi per la festa. Tutti mi colmano di carezze. Non passa giorno che il babbo e la mamma non vengano a trovarmi. Hanno voluto solennizzare quest'avvenimento. Ci sarà della musica, dei fuochi d'artificio, degli invitati. Il mio caro babbo sembra felice che anch'io prenda stato, com'egli dice. Giuditta è venuta anche lei qualche volta. Se vedessi come la rende bella la felicità ! Che Dio la benedica!
Anche tu sei fidanzata, Marianna mia? Mi scrivi che sei felice! Così sia! Ma non dimenticare nella felicità la tua povera amica che abbisogna più che mai del tuo affetto. Di tanto in tanto quando ne avrai il tempo, vieni a trovarmi. Se sapessi come sono felice in quei pochi e rari momenti in cui rivedo le persone che mi vogliono bene! Sai che è atto di carità visitare i poveri carcerati!
Tu che sei sposa, tu che sei felice, dimmi com'è fatta quella gioia, quella festa, quel gaudio che deve provar mia sorella; dimmi che cosa ci deve essere nel suo cuore vedendosi sempre accanto la persona amata senza scrupoli, senza rimorsi, senza paure, benedetta, festeggiata, accarezzata da tutti; dimmi come deve essere fatta la feli...
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