[Pagina precedente]...La castalda ha acceso il fuoco per la minestra e si è tolto in collo il suo bimbo. Il marito è ritornato dalle vigne, ha deposto lo schioppo accanto alla porta e si è messo a giocherellare col suo figliuoletto che si tiene fra le ginocchia. Tutto è calma, pace, serenità . Io sola sono inquieta, triste, infelice.
Ti scrivo tutto quello che mi passa pel cuore, e allorché le lagrime non mi lasciano più vedere quello che scrivo, guardo il cielo stellato e l'ombra degli alberi dalla mia finestra; penso a quella festa, e a tutta quella gente allegra, che si diverte, che è vicino a lui!... penso a lui!... E allora non posso più scrivere, non ho pensieri che per lui solo; bisogna che lo vegga almeno cogli occhi della mente, mentre egli laggiù balla e ride con un'altra... e ti dico addio...
21 Novembre
Marianna! Marianna! piangi con me! ridi con me! abbracciami! Egli mi ama! nol sai?... mi ama! intendi?... non posso dirti dippiù! Tu comprenderai tutto quello che vogliono dire queste due sole parole: mi ama!
Ieri a sera, ti rammenti? ero con quella triste lettera dinanzi agli occhi, coi gomiti appoggiati al tavolino. Le lagrime cadevano chete chete sulla carta, e senza che me ne avvedessi cassavano quello che avevo scritto. Tutt'a un tratto si udì rumore al di fuori... il rumore di un passo!... Sapresti dirmi perché il rumore di taluni passi si senta col cuore come se il cuore udisse? e perché scuota tutti i nervi, e faccia gelare tutto il sangue?... Levai gli occhi... la finestra era aperta, e dietro la finestra c'era un'ombra, una voce che mi chiamava sommessamente... Lui! intendi?... Lui!... Se non gridai si fu perché mi mancò il respiro. «Perdonatemi, signorina,» mi diceva egli «perdonatemi» non diceva altro. Io non osava guardarlo: ma quelle parole mi scendevano al cuore dolci come il miele. «Vostra madre è ingiusta e cattiva con voi. Tutti laggiù si divertono, ed io ho pensato a voi ch'eravate qui sola... Ho fatto male;» aggiunse dopo una breve pausa, durante la quale avrà udito i battiti del mio cuore; «mi perdonerete?» Allora levai gli occhi su di lui e lo vidi coi gomiti appoggiati sul davanzale e il mento sulle mani come l'avevo visto altra volta. Egli aveva pensato a me e la sua voce tremava! «Signore!...» gli dissi, «signore!...» e non sapevo dire altro. Allora egli si mise a sospirare così che sospirai anch'io, ed egli mi disse: «Ascoltatemi, Maria...» e non diceva altro, e si passava la mano sugli occhi, pareva che balbettasse, lui, un uomo! io tremai tutta come se quel nome mi penetrasse da tutti i pori della viva carne. Mi diceva Maria!... capisci?... Perché mi faceva quell'effetto il sentirmi a chiamare per nome? «Ascoltatemi», ripigliò; «voi siete una vittima.» «Oh! no, signore!» «Sì, voi siete la vittima della vostra posizione, della cattiveria di vostra matrigna, della debolezza di vostro padre, del destino!» «No, signore, no!» «Perché dunque siete costretta a farvi monaca?» «Nessuno mi ha costretta, signore... è stata la mia libera volontà ...» «Ah!» ed egli sospirò di nuovo, anzi mi parve che si asciugasse gli occhi. Io non potevo vederlo distintamente perché egli stava al buio, nel vano della finestra, e le lagrime mi velavano gli occhi. «La necessità », ripresi. Egli non disse nulla. Poi dopo alcuni istanti di silenzio mi domandò, ma la sua voce era rauca: «E rientrerete in convento?». Esitai, ma risposi: «Sì». Egli tacque di nuovo. Non disse più nulla. Allora aspettai, aspettai lungamente ch'egli mi dicesse qualche cosa; mi asciugai gli occhi per vedere se fosse partito: era ancora lì, allo stesso luogo, nella stessa positura, soltanto aveva il viso celato fra le mani. Ciò mi diede animo e feci un passo per scostarmi dalla candela che mi infastidiva... Tu sai quanto sia angusto il mio camerino; in un passo si arriva alla finestra... Egli mi udì, alzò il capo e vidi che piangeva. Mi stese la mano senza dire una parola. Ci fu un istante che non vidi più nulla né con la mente né cogli occhi e mi trovai colle mani nelle sue. «Maria» mi diceva, «perché andrete in convento?» «Lo so io, forse? È necessario, nacqui monaca.» «Voi mi lascerete adunque?...» e piangeva in silenzio come un fanciullo, senza aver l'orgoglio che hanno gli altri uomini di nascondere le lagrime. Credo che piangessi anch'io perché mi trovai le gote tutte bagnate, ed anche le mani... ma le mani potevano esser umide delle lagrime di lui che vi sentivo cadere sopra a goccia a goccia... anzi quando fui sola e chiusa nella mia cameretta... rimproverami, sgridami se vuoi... ma io baciai le mie mani ancora umide...
Rimanemmo molto tempo così in silenzio. Egli diceva soltanto: «Quanto son felice!». «Anch'io!» risposi quasi senza avvedermene. Vedi, Marianna, piangevamo e dicevamo d'esser felici! Ma ancora non ci eravamo detto che ci amavamo. Avevo il cuore inondato di tanta dolcezza che non pensavo più a nulla, e non mi vergognavo più di star con un uomo... con lui... sola di notte! Non parlavamo, non ci guardavamo... Tenevamo gli occhi fissi nel cielo, e mi pareva che le anime nostre si parlassero attraverso l'epidermide delle nostre mani e si abbracciassero nei nostri sguardi che s'incontravano nelle stelle.
Marianna! Questa parte di Dio ch'è stata data alla creatura deve essere ben grande se innanzi ad essa tutto è meschino, il peccato come il delitto, i doveri come le affezioni più care... Se essa può fare un paradiso di una sola parola!...
Ora ti lascio. Ho il cuore troppo pieno per pensare ad altro. Scrivendoti ho provato ancora le stesse emozioni... Ora ho bisogno di rimaner sola, di sognare e di pensare di esser felice...
26 Novembre
Quanto siamo meschini, amica mia, se non possiamo essere giudici della nostra istessa felicità . Ti ho scritto una lettera che oggi è un'amara ironia, che non posso leggere senza piangere. Ascolta. Eravamo lì, alla finestra, silenziosi, felici, sognando. Tutt'a un tratto si udì rumore; Vigilante abbaiava. Si udì la voce di mio padre e quella di Gigi. Mi trassi indietro bruscamente, e chiusi la finestra. Tremavo tutta come se avessi commesso un gran fallo. Il babbo mi trovò a letto, avevo la febbre e mi durò tutta la notte. Giuditta non venne; la sentivo parlare nell'altra stanza; sembrava irritata e di assai cattivo umore. Il giorno dopo mi levai così pallida che il babbo voleva mandare pel medico. Più tardi la mamma mi chiamò nella sua stanza e al solo guardarla in viso mi sentii piegar le ginocchia. Ella mi parlò lungamente de' suoi doveri, dei miei, della mia vocazione, della necessità impostami dalla mia povertà di dar retta a quella vocazione. Mi parlò dei pericoli che una ragazza destinata al chiostro può incontrare anche nelle più semplici relazioni, e finì coll'ordinarmi che per l'avvenire, quando giungeranno estranei in casa nostra, fossero anche i signori Valentini, io dovrò restarmene chiusa nel mio camerino.
Mio Dio! come sopportai la tortura di quelle ammonizioni?... sembrava che ella si divertisse a punzecchiarmi a colpi di spillo, ad accusarmi in enigma di mille torti, e non mi fece neanche intendere se avesse scoperto oppure no che Nino aveva lasciato il ballo per venirmi a trovare.
Più di una volta, mentre ella parlava, mi sentii sul punto di svenire; ma ella non si avvide del mio pallore, del mio tremito, non si avvide che dovetti afferrarmi alla spalliera di una seggiola perché non mi reggevo più. Se si fosse accorta del mio stato, ne avrebbe avuto pietà certamente, e mi avrebbe risparmiato quel supplizio. Quando potei rimaner sola andai a mettermi a letto; la febbre mi aveva riassalita; mi sentivo malata e avrei voluto morire.
Giuditta non venne neanche allora. Mi teneva il broncio!... Che le ho fatto, mio Dio?... Mi pareva di essere come quei delinquenti che tutti sfuggono e che nessuno ardisce avvicinare... Arrossivo di quella finestra che stava lì, di faccia al mio letto, come un'inflessibile accusatrice. Quella solitudine, quell'abbandono mi facevano male; verso sera chiamai mia sorella, avevo bisogno di vederla, di essere confortata. Anche il mio caro babbo mi sembrava più serio del solito. Giuditta venne infine, ma mi sembrò assai fredda. Mi gettai nelle sue braccia, e mi parve che quel pianto che mi faceva tanto bene l'irritasse.
Ora son sola. Mi pare che tutti mi fuggano; sono odiosa a me stessa. Hanno ragione, sono molto colpevole! Dio solo può perdonarmi: Dio verso di cui ho peccato amando una sua creatura più di Lui... Agucchio, agucchio, gli intieri giorni presso la finestra di cui le tende sono accuratamente chiuse, e piango quando ho la felicità di non esser veduta e di potermi sfogare... e gli occhi mi abbruciano... Il cielo è nuvoloso, i campi son desolati, il mormorio del bosco mi fa paura; gli uccelli non cantano più... soltanto qualche volta, laggiù l'assiuolo piange... Me ne sto delle ore intiere colle mani incrociate sulle ginocchia a guardare attraverso i vetri della finestra quei grossi nuvoloni bigi che corrono verso il ponente, e le cime di quegli alberi che si agitano lentamente e scuotono le loro foglie morte. È l'inverno della natura che sopraggiunge, com'è sopraggiunto l'inverno dell'anima! Il mio Carino è fuggito, poverino! l'ho trascurato tanto! ed è andato a recare altrove la sua allegria e il suo vispo cinguettare, perché l'atmosfera in cui vivo è malinconica assai. Vigilante solo viene di tanto in tanto a cercarmi, mi domanda un sorriso, vuole le mie carezza, si avanza pian pianino, come esitante, domandandomi coi suoi begli occhi se è indiscreto, poi si arresta indeciso, e dimena la coda, e si lecca il muso, tutte cose che vogliono dire: «Perdonami la mia insistenza;» e viene a posarmi la testa sui ginocchi per dirmi che mi vuol bene ancora, e allorché si allontana è triste, ma dimena ancora la coda e si ferma sull'uscio per dirmi addio.
Tutto il giorno odo nelle altre stanze la voce dei signori Valentini che sono a discorrere insieme ai miei. Due o tre volte ho udito una voce che mi ha penetrato nel cuore... la sua!
Lui! lui! sempre lui! sempre cotesta spina fitta nel cuore, questa tentazione nella mente, questa febbre nel sangue! lui sempre fisso dinanzi agli occhi, lì, presso quella finestra, col volto fra le mani!... Il suono di quella voce sempre nelle orecchie, le mani sempre umide di quel pianto!... Dio mio! Dio mio!
Ho udito qualche volta un passo dietro la mia finestra, e il cuore m'è sembrato scapparmi dal petto. Provo delle vertigini, degli smarrimenti, dei deliri. Non posso più piangere, non posso più dormire, non posso pregare!... Oh! Marianna mia!...
Che penserà egli di me non vedendomi più? Saprà che mi è stato proibito?... mi maledirà forse?... sarà in collera?... mi dimenticherà ?... Vedi quanto son caduta al basso! Prego Iddio di farmelo dimenticare e mi pare d'impazzire al solo pensiero che egli possa dimenticarsi di me! Qualche volta, all'alba, quando sono ben sicura che nessuno potrebbe sorprendermi, apro pian pianino la finestra per vedere laggiù in fondo alla valle, la casa dove egli abita, dove egli dorme forse a quell'ora, per vedere il suo tetto, la sua finestra, quel vaso di gelsomini,quella vite che ombreggia la sua porta... Poi cerco d'indovinare il punto del davanzale dove egli appoggerà i gomiti allorché aprirà la finestra, la zolla dove egli poserà la prima pedata, la traccia che seguirà nell'aria il suo primo sguardo che cercherà la mia finestra... perché il cuore mi dice che il suo sguardo sarà per la mia finestra, e che egli saprà che io sono stata qui a vederlo dormire, a pensare a lui. Sempre a lui! nei sogni, prima d'addormentarmi, al primo svegliarmi, nella preghiera! Oh! Marianna! prega per questa povera peccatrice che è più debole del suo peccato; mandami l'abitino della Madonna del Carmine che fu benedetto a Roma; mandami il tuo libriccino di preghiere. Voglio pensare a Dio; voglio pregare la Madonna che mi protegga, che mi nasconda sotto il suo manto misericordioso agli occhi del mondo, a me stessa, alla mia vergogna, alla mia colpa, al castigo di Dio!...
20 Dice...
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