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Sono stata malata, amica mia, molto malata, ecco perché non ti ho più scritto. Ci furono dei giorni in cui tutti piangevano, ed io ringraziavo Iddio che mi dava la pace dello sfinimento. Ho visto tutti quei volti pallidi intorno al mio letto, tutte quelle lagrime che si dissimulavano con un sorriso ancora più doloroso... ed i miei occhi vedevano come in sogno e guardavano tranquillamente... ho visto tutti i miei cari, tutti... lui solo no!... gli avranno proibito di venire; eppure, colla squisita sensibilità degli infermi, io sentivo ch'egli era lì, dietro quella finestra, a piangere, a pregare... ed i miei occhi stanchi della vita si affissavano su quei vetri da dove un raggio di sole invernale veniva a posarsi sul mio letto. Non saprei esprimerti quello che provavo dentro di me; mi sentivo più calma, più leggera, in un'atmosfera di pace e di serenità ; pensavo sempre a lui, ma con tale tranquilla dolcezza che mi pareva essere fra gli angeli, ed uno di questi che si chiamava Nino mi avesse preso per mano, mi chiamasse per nome, e guardassimo entrambi le stelle come in quella notte.
Fa freddo, piove, sai com'è triste il rumore di quella pioggia che batte sui vetri della finestra! Gli uccelletti vengono tremando a cercar rifugio sotto la gronda; il vento sibila nel castagneto; all'infuori di quel rumore, ch'è malinconico, tutto è silenzio. Stamattina mi son levata da letto per la prima volta, barcollante, rifinita di forze. Se vedessi come ti scrivo!... appoggiata ad un monte di guanciali, arrestandomi ogni momento per riprender lena, per asciugare il sudore della mia fronte... eppure fa freddo, vedi! La testa mi pesa, la mano mi trema, il pensiero è confuso, vacillante. Mi hanno detto che sei venuta a trovarmi... Non me ne rammento, Marianna mia! sarà stato in uno di quei giorni che non avevo coscienza di quello che si faceva vicino a me. Questo piccolo stanzino ove ho tanto sofferto, quel lettuccio, quel crocifisso, quei mobili mi pare che sieno diventati parte di me. Ho passato tante lunghe ore nella malinconica inerzia della convalescenza fantasticando non so che, a guardare tutti gli oggetti della mia cameretta; ché la forma dei mobili, e la fisionomia, direi, delle pareti mi son care. Ora i medici dicono che sto meglio, Dio sia lodato! Poiché bisogna sempre lodarlo in quello che Egli fa, il buon Dio!... Mio padre, Giuditta, Gigi, tu e Annetta ne sarete tutti contenti... e lui! anche lui...
Com'è dolce ritornare alla vita dopo essere stati sul punto di abbandonarla! Non fosse altro che per vedere tutti quei volti ridenti, per ricevere tutte quelle carezze, per sentirsi amati, per guardare il cielo, per sentire il vento, la pioggia, il pigolare degli uccelletti che hanno freddo. Tutto sembra nuovo e bello; sembra che la mente stanca si risvegli, e a misura che il pensiero corre ad una cosa cara si prova una grata sorpresa di trovarla più viva. Si ama tutto, si benedice Iddio! Tutti mi prendono la mano che è scarna e pallida, la stringono, la baciano... lui solo no! lui solo!...
Mi sono alzata vacillante, appoggiandomi ai mobili, ed ho aperto la finestra. Mio Dio! com'è incantevole tutto quello che veggo, malgrado che faccia freddo, e il suolo sia coperto di neve e gli alberi non abbiano foglie, e il cielo sia nero! Ho veduto laggiù quella casetta, dopo tanto tempo! quella vite quel davanzale, quella porta... il gelsomino non c'è più, la vite è sfrondata, le porte sono chiuse, tutto ha un'aria di tristezza, eppure mi è parso il paradiso... Mi è sembrato veder socchiudere la finestra... Mio Dio!... ho gli occhi così deboli!... Ho veduto un'ombra nel vano delle imposte... Lui!... lui! è lui! mi ha veduta!... mi attendeva! Oh! Dio! Dio! è lui, Marianna! non lo vedi? è lui!
26 Dicembre
Finalmente il medico mi ha permesso [di] affacciarmi alla porta in sul mezzogiorno, quando il tempo sarà bello. Dicono che ho bisogno di tanti riguardi perché la mia salute è delicata. Anche mia madre, poverina!, era di salute delicata, ed è morta giovane. Ieri fu il Natale, quella bella festa di Natale che al convento ci passare una notte di canti e allegrezze, e la commovente messa di mezzanotte... ti rammenti? I signori Valentini son venuti tutte le sere della Novena a giuocare insieme ai miei parenti. Li ho uditi parlare e ridere nella stanza da pranzo, ove era acceso un buon fuoco, cogli usci ben chiusi, e il vento che mugolava al di fuori, e qualche volta anche la grandine che scrosciava sui tetti. Come devono esser stati felici lì in crocchio, ben caldi, ben riparati, mentre al di fuori faceva freddo e pioveva!
Oggi abbiamo solennizzato la festa con un buon pranzo, ma senza i signori Valentini... per colpa mia, l'ho capito, per non farmi incontrare con lui. E la festa è stata senza allegria in confronto del bel pranzo del giorno onomastico di mio padre, te ne rammenti?
La mattina splendeva un bel sole. Sono uscita un momento dinanzi alla porta; mi sopraccaricarono di scialli e di mantelli, e il babbo mi sorreggeva. Come tutto era lieto e mi sorrideva! il cielo splendente di un azzurro purissimo, il sole che indorava la neve di cui l'Etna era tutto coperto, e il mare ceruleo, i campanili di quei villaggi che biancheggiavano fra gli alberi, quei campi in cui il verde dell'erba contrastava col bianco della neve, quel bosco che taceva perché non c'era vento e non aveva più foglie da lasciar cadere, quella spianata ove abbiamo tanto ballato e giocherellato, quelle galline che razzolavano sulla paglia, quella capannuccia che fumava della neve che squagliava al sole, gli uccelletti che cinguettavano sul tetto, Vigilante disteso sulla soglia che si scaldava al sole, la castalda che sciorinava i panni bagnati sui rami del castagno spogli di fronde, e canterellava volgendo uno sguardo di ineffabile contentezza materna ai suoi due bimbi che si trastullavano sulla porta.
Dio sia benedetto! Dio sia lodato della gioia, della felicità che accorda all'uccello che canta, alla foglia che nasce, al rettile che si scalda, al sole che brilla, alla madre che si tiene al seno il [suo] bimbo, alla povera anima mia che esulta e lo ringrazia.
Come viene presto la notte d'inverno! avrei voluto star fuori lungamente a riempire di quell'arietta frizzante il mio povero petto affaticato, e strascinarmi alla meglio, appoggiata al braccio di mio padre, sino al limite di quel bel castagneto ove ho passato tante ore felici! Avrei voluto assidermi su quel muricciolo che il musco ha tappezzato di verde. Faceva freddo, il sole mi diceva addio, laggiù nella vallata si levava una fitta nebbia, gli uccelli non cantavano più. Come è mesto il silenzio del tramonto in inverno! Mio padre vole ch'io rientrassi in casa, e che mi mettessi a letto mentre la più bella luna del mondo faceva scintillare i vetri della finestra. Avrei desiderato che almeno mi lasciassero quel bel lume di luna, ma chiusero anche le imposte. Son malata, capisci? fa freddo... bisogna pure!...
La sera si aspettavano i signori Valentini a cena. Che bella sera è mai quella del Natale! Anche qui, in questa solitudine, tutto ha un'aria di festa: il contadino che arriva canterellando dalla pianura per fare il Natale colla sua famigliuola, il fuoco che crepita sotto una buona caldaia, le villanelle che ballano al suono della cornamusa. Ho visto in cucina i preparativi della cena, la legna sul braciere, le candele e le carte da giuoco preparate sulla tavola; sul tavolino presso la finestra un piatto di confetture ed alcune bottiglie di rosolio. È tutto il lieto apparecchio di una veglia di Natale da passarsi in famiglia. Ho contato le seggiole disposte attorno alla tavola, erano otto... la mia non c'era più... Ho visto però il posto dove soleva assidermi e la seggiola ch'egli occupava presso di me quando guardava le mie carte.
Ho pensato a tutte coteste cose stando in letto tutta sola, in quel piccolo camerino ch'è oscuro, silenzioso, ed ha un aspetto melanconico. Avrei voluto addormentarmi, avrei voluto non udire quei discorsi, quelle voci, quell'allegria vicino a me... Ho passato la notte agitatissima senza poter chiudere occhio. Credo che abbia ancora la febbre. Son così debole! Ho trattenuto il respiro tutta la notte per ascoltare le parole di lui, per indovinare dal suono della sua voce se egli fosse tristo o allegro. L'ho udito tre volte; una volta disse «grazie», un'altra volta «tocca a me», l'ultima «signorina». Se tu potessi immaginarti tutto quello che c'è in coteste parole! se potessi esprimerlo!
Hanno giuocato sino alla mezzanotte. Io li ho udito da qui. Poi si son messi a tavola... Ora sono stanca, la testa mi vacilla... Ti ho scritto per tenermi desta... per fare qualche cosa anch'io...
Parliamo di te piuttosto... e tu hai fatto buon Natale? sei contenta? sei felice?
Voglio stordirmi; voglio far forza a me stessa questi ultimi giorni; voglio vincere questa prova durissima. Dio ch'è misericordioso mi aiuterà ! Scrivimi, scrivimi. Fra breve forse ci rivedremo, e allora quante cose avrò a dirti!
30 Dicembre
Oh! Marianna! Marianna mia! quanto ho pianto! quanto ho sofferto! I signori Valentini partiranno domani! intendi? Non c'è più coléra! non c'è più nulla!... partiranno!...
Non lo vedrò più!... L'ho saputo a caso, pochi momenti or sono. Non hanno almeno avuto la pietà di dirmelo!...
M'è sembrato di morire, ho rimproverato Dio che mi fece guarire! Ho pianto tutta la notte. Il petto mi duole assai. Qualche volta ho singhiozzato così forte che Giuditta mi avrà udito.
Sono una sfacciata! non ho più ritegno; non ho che un solo pensiero; sono uscita come una pazza a chiedere informazioni alla castalda. È per domani! Egli è venuto a dire addio alla mia famiglia, e non me l'hanno fatto vedere almeno per l'ultima volta!... e non lo vedrò più... e non l'ho saputo che a notte fatta, quand'era buio... quando non potevo più scorgere e salutare quella casetta dove egli passerà l'ultima notte!...
Che gente è quella, Dio mio?... che gente senza cuore, senza pietà e senza lagrime!...
Che notte! che notte orribile! Com'è angusto questo stanzino, come son cupi questi luoghi! Tutta la notte la pioggia ha scrosciato sui vetri, il vento ha fatto scuotere le imposte, il tuono pareva che ci rovinasse addosso col tetto della casa, e i lampi penetravano fin dentro coi loro sinistri bagliori... Avevo paura e non osavo segnarmi... sono una maledetta, una scomunicata, poiché anche in quel momento non pensavo che a lui... e più di una volta ho pregato Iddio ed ho sperato che quell'uragano durasse, non saprei dire io stessa quanto, purché egli non partisse, purché rimanesse sempre vicino a me... questo solo!... non vederlo, non parlargli, ma saperlo laggiù, in fondo a quella valle, sotto quel tetto, dietro quella finestra, inviargli un saluto la mattina, baciare cogli occhi quella soglia, quella terra, quell'aria... È troppo poi questo? Dio mio! se mi contento di questo!...
Ma egli non ha dunque pensato che io muoio per lui? che io son debole, inferma? Non ha pianto, non ha sofferto anche lui? Perché non è venuto un momento, un sol momento, da lungi soltanto per farsi vedere un'ultima volta, per dirmi addio?
Perché non mi ha fatto udire la sua voce? perché non è passato pel bosco? perché non ha tirato una fucilata in aria? perché non ha fatto abbaiare il suo cane che mi domandava se gli volessi bene, e sulla testa del quale avea posato la mano accanto alla mia?
Mio Dio! Mio Dio!...
Ti scrivo dal letto, su di un grosso libro che mi tengo sulle ginocchia. Qualche volta ho dei brividi di freddo, delle vertigini; ma se non ti scrivessi non potrei star qui rinchiusa, mi parrebbe di divenir pazza. Non ho più lagrime e l'angoscia mi divora come un cane rabbioso. Provo una smania, una febbre, un delirio! Cotesta pioggia che cade, cotesto vento che sibila, cotesti tuoni, cotesti lampi sono insoffribili; questo tetto mi schiaccia, queste pareti mi soffocano. Vorrei aprire la finestra, vorrei sentirmi battere sulla fronte questa pioggia ghiacciata, vorrei bevermi questo vento freddo;...
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