[Pagina precedente]... un paragone. Vorrei poterti spiegare l'effetto che egli mi fa...
Eppure egli è cortesissimo con tutti, ed anche con me... ed io non son cattiva, ti giuro!... Io gli son grata delle sue delicate premure...
Uno degli scorsi giorni, dopo il famoso ballo, egli mi disse, in un momento in cui eravamo solo: «Io vi ringrazio, signorina». «Di che?» «Di avermi fatto il favore di ballare con me. Se sapeste com'ero felice!» E diceva questo in certo modo che io mi sentiva tutta turbata. Dio mio! come sono esagerati gli uomini nei loro complimenti!... Ma non so perché egli mi abbia detto questo sottovoce... e mi parve anche di accorgermi ch'egli abbia arrossito... e forse per questo anch'io mi feci rossa... e non seppi rispondergli nulla...
Vedi a qual delicatezza egli arriva per farmi piacere! Un'altra volta mi disse: «Come vi sta bene cotesta tonaca!». Mi ha detto questo!... La mia brutta tonaca nera!... Non saprei spiegartene la ragione... ma mi parve che ne provassi un gran piacere; arrossivo, balbettavo e non sapevo che farmi.
Tu mi dirai che son matta, e avrai ragione, perché non sono certamente le sue cortesie che possono sconvolgermi così tutta quanta.
Perché adunque allorché ascolto la sua voce mi confondo? Perché quando incontro il suo sguardo fisso su di me mi sento a un tratto una vampa al viso e come un brivido al cuore?
Senti, Marianna; io credo di aver trovato la ragione di tutto questo. In convento ci hanno abituate a farci tale idea degli uomini in generale e dei giovanotti in particolare, che non possiamo incontrarne uno senza sentirci tutte sossopra. Perché dunque Giuditta, mia sorella, che pure è più giovane di me, non prova mai il menomo imbarazzo discorrendo con lui? Perché anzi scherza con lui, e ride, e gli parla a lungo con franchezza, senza arrossire, mentre se io dovessi fare altrettanto mi parrebbe di morire?... Nullameno... Dio mel perdoni... mi pare che per questa ragione talune volte io provi per mia sorella un sentimento che somiglia all'invidia...
Oh! Dio mio! Chiamatemi a voi, nel vostro convento, fra la calma, il silenzio, il raccoglimento; calmate la mia mente, rischiarate la mia ragione!
16 Novembre
Lunedì l'incontrai nel castagneto. Per fortuna Gigi mi accompagnava. Egli aveva il suo schioppo ad armacollo e cantarellava da lontano prima che si fosse accorto di noi. Tu non sai che dolce voce egli abbia! Io lo riconobbi subito: mi sembrava che il cuore mi scappasse dal petto, e avrei voluto allontanarmi, fuggirmene, per quel solito sciocchissimo turbamento... Il suo cane, Alì, ci vide pel primo, e ci corse incontro latrando e facendoci festa. Bisognava rimaner lì, non è vero?... malgrado che mi fossi fatta di brace, malgrado che tremassi tutta... Egli si sarà accorto del mio turbamento. Si avvicinò e mi stese la mano; dovetti dargli la mia, perché qui si usa stringere la mano anche agli uomini, e non mi par bene... poiché egli dovette accorgersi che la mia povera mano tremava...
Per tornare a casa si doveva attraversare la parte più fitta del castagneto, e sul limite, ch'è assai roccioso, c'erano molti sterpi e spine. Egli volle accompagnarmi e darmi il braccio. Tremavo talmente ch'egli mi disse: «Appoggiatevi francamente, signorina; voi inciampate ad ogni passo». Ed era vero. Si fece un bel tratto di strada in silenzio, e camminando io spingevo apposta col piede le foglie secche che coprivano il suolo, per nascondergli il battito del mio cuore. Egli avrà avuto pietà del mio imbarazzo, poiché tentò rompere quel silenzio dicendomi: «Che bella giornata! che bella passeggiata abbiamo fatto!» e sospirava... Anzi Gigi si lagnò che io gli camminassi sui piedi... Poi ci mettemmo a sedere su di un muricciuolo accanto alla vigna, e lui mi si pose al fianco. Io non vedevo che il calcio del suo schioppo che disegnava sulle zolle certe bizzarre figure. Alì venne a posare la sua grossa testa sui miei ginocchi sorridendomi con quei suoi begli occhi pieni di vita; io lo accarezzavo ed esso mi ringraziava dimenando la coda. Il suo padrone mi disse: «Vedete come vi vuol bene Alì? Lo amate voi?». Non so perché quell'innocentissima domanda mi commosse tutta, e mi parve d'amare immensamente quel povero Alì... E accarezzò anch'egli il suo cane... e allora le nostre mani s'incontrarono, e sentii che la mia tremava. Il mio silenzio istesso m'imbarazza. Cercavo una rispostane non seppi balbettare che: «Come è bello il vostro cane, signore!...»
Egli non disse più nulla e sospirò. Perché sospirava? Sarà anch'egli infelice, poverino! Infatti da qualche giorno m'è parso più malinconico... ed in quel momento che egli sospirava provavo per lui una gran tenerezza, e non più il solito sgomento, bensì un sentimento tanto amichevole che avrei desiderato essere un uomo come lui, un suo amico, un fratello, per gettargli le braccia al collo e chiedergli che cosa lo affliggesse così, per confortarlo o per dividere almeno con lui le sue pene.
Oh! sì! son peccatacci grossi!... e chi sa quanto dovrò soffrire nel farne la confessione! Poi ne ho sulla coscienza un altro più grosso ancora... una viva curiosità ... di conoscere che cosa lo rattristasse in quel modo... Noi altre donne siamo tanto curiose!... Ma capisci benissimo che non osai domandarglielo.
D'allora non lo vidi più che la sera, insieme ai suoi. Non ardisco più uscir sola. Agucchio, agucchio alla mia finestrella, e tutti i giorni allorché odo la sua voce o il fischio con cui chiama il suo cane, laggiù nel bosco, allorché mi sembra vedere un'ombra passare rapidamente fra i gruppi lontani degli alberi, il cuore mi batte come quando eravamo rimasti in silenzio, l'una accanto all'altro, colle mani posate sulla testa di quel bel cane.
Tutte le volte che l'incontro provo lo stesso turbamento, ed è perciò che evito d'incontrarlo. Ma accade delle volte che non posso sfuggirlo, capisci!... che devo dissimulare il mio soffrir e restar lì. Quand'egli mi guarda, il cuore mi balza nel petto, e vorrei morire per nascondere il mio rossore... Mi pare che tutti gli occhi sieno fissi su di me a domandarmi perché arrossisco... ed io, Dio mio!... non saprei dirlo... non lo so! Pure appena posso approfittare del primo pretesto vado a rifugiarmi nella mia cameretta, a nascondere fra i guanciali il viso infuocato, e piangere... non so... ma mi pare che il pianto mi faccia bene e mi alleggerisca di un gran peso!
Frattanto ieri l'altro, mentre mi asciugavo gli occhi, vidi un'ombra alla finestra. Era lui! che appoggiava i gomiti al davanzale e si teneva il volto fra le mani... Ti lascio immaginare come rimanessi! Anche lui era assai turbato. Volle sorridere e mi parve che piangesse, tanto quel sorriso era triste. Poscia balbettò: «Perché ci fuggite, signorina?». Avrei desiderato che il suolo si fosse aperto ad inghiottirmi. Per fortuna sopraggiunse mia sorella. mi fu d'uopo uno sforzo miracoloso per calmarmi o piuttosto per imporre al mio viso di mentire, e andai a raggiungere la comitiva che si sollazzava sulla spianata. Giuditta era accanto a lui, gli parlava, rideva, era tranquilla, non tremava... lei!
Oh! il convento! il convento! Ecco quello che mi abbisogna, che è fatto per me. Al di fuori non c'è che turbamento e sofferenze.
Vedi... mi crederanno cattiva lui pel primo! Dio che mi legge in cuore sa che io non sono tale, che io non ci ho colpa se la mia timidità , le mie abitudini tanto diverse dalle loro mi fanno sembrar cattiva! Ma chi mi crederà ?... Ieri mentre tutti rientravano in casa, perché il fresco della sera era divenuto frizzante, egli mi si accostò, triste, pallido, mi prese la mano, tremavo talmente che non seppi ritirarla, ero sbalordita... egli mi disse colla sua voce più dolce: «Che vi ho mai fatto, signorina? Perché mi fuggite?...».
Mio Dio! Mio Dio! Avrei voluto buttarmi ai suoi piedi, domandargli perdono, dirgli che s'ingannava, che non era colpa mia... Non so che cosa dissi, non so che cosa balbettai. Sopraggiunse Annetta, mi buttai fra le sue braccia, e mi sfogai in pianto.
Marianna mia, cerca un conforto per me, aiutami!... Anche tu mi abbandoni! Son sola, sono triste, sono infelice!... Prega Iddio che mi faccia presto ritornare alla mia tranquilla e modesta esistenza, e che nel silenzio di quei corridoi si estingua il soffio tempestoso che viene dal mondo a turbare la sbigottita anima mia.
Ti ho scritto cogli occhi velati di lagrime; non so nemmeno quello che ho scritto. Perdonami ed amami, ché ho molto bisogno di essere amata.
17 Novembre
L'altra sera, dopo ch'egli mi disse quelle parole, allorché entrai nella stanza dove stavano radunati i miei parenti coi signori Valentini ero così turbata che tutti se ne avvidero. Mia matrigna fece una scena; mi rimproverò che io sono una ragazza male educata, capricciosa, che mi abbandono a degli impeti di gioia e degli accessi di malinconia ingiustificabili. Mio padre tentò difendermi sostenendo ch'io fossi indisposta.
Tutti gli altri tacevano. Quel supplizio durò quasi mezz'ora. Allorché potei chiudermi nel mio stanzino io ringraziai il Signore e lo pregai fervidamente di chiamarmi a sé.
Passai una cattivissima notte senza nemmeno chiudere occhio. Ho interrogato il mio cuore, ed ho paura.
Marianna mia, se non temessi di far peccato e di addolorare mio padre, Giuditta, mio fratello, te... e tutti quelli che mi vogliono bene... io vorrei morire di coléra.
Addio.
20 Novembre
Marianna! Marianna!... io lo amo! io lo amo! Pietà ! pietà di me! Non mi disprezzare! son molto infelice! perdonami!
Mio Dio! perché questo castigo così duro? Ecco che bestemmio! Oh, mio Dio!... quanto ho pianto! Oh! Dio mio... vi ha una donna più sciagurata di me?...
L'amo! È un'orribile parola! è un peccato! è un delitto! ma è inutile dissimularlo a me stessa. Il peccato è più forte. Ho tentato di sfuggirgli, esso mi ha abbrancato, mi tiene in ginocchio sul petto, mi calpesta la faccia nel fango. Tutto il mio essere è pieno di quell'uomo: la mia testa, il mio cuore, il mio sangue. L'ho dinnanzi agli occhi in questo momento che ti scrivo, nei sogni, nella preghiera.
Non posso pensare ad alto; mi pare che ad ogni istante il suo nome mi venga sulle labbra, che ogni parola che profferisco si trasformi nel nome di lui; allorché lo ascolto son felice; quando mi guarda tremo; vorrei stargli vicina ad ogni momento e lo fuggo; vorrei morire per lui. Tutto ciò che sento per quell'uomo è nuovo, è strano, è spaventoso... è più ardente dell'amore che porto a mio padre; è più forte di quello che porto a mio padre; è più forte di quello che porto al mio Dio!... Questo è quello al mondo chiamano amore... l'ho conosciuto; lo veggo... È orribile! è orribile!... È il castigo di Dio, la perdizione, la bestemmia! Marianna, io son perduta! Marianna, prega per me!...
Ieri egli era andato a Catania per certi affari della sua famiglia. Avrebbe dovuto essere di ritorno prima di sera coll'omnibus di Trecastagne, e alle nove ancora non si vedeva. Figurati lo sgomento della sua famiglia e di tutti! Le notizie che corrono sono tristissime; non ci era chi non pensasse a qualche disgrazia. La madre ed Annetta piangevano; il signor Valentini era agitatissimo, ed andava ogni momento al ciglione che sovrasta la vigna da dove si può vedere un bel tratto del viottolo che mena al villaggio, poiché suo figlio avrebbe dovuto lasciar l'omnibus alla solita fermata e venirsene a piedi sin qui. L'oscurità era fitta; nel viottolo non si vedeva a dieci passi. Si erano spediti due messi per cercare di sapere la causa di quel ritardo e per annunciare più presto il suo ritorno. Il povero padre lo chiamava di tratto in tratto ad alta voce, come se avesse sperato di udirlo a rispondere da lontano. Tutti tendevano l'orecchio, ti puoi bene immaginare con quale ansia; si attendeva un minuti, dieci, la voce moriva lontan lontano nella valle, e succedeva il silenzio. Suonarono le nove e mezzo, le dieci! i piagnistei erano generali. Il signor Valentini era andato ad incontrarlo, solo, al buio, come un pazzo, per domandarne a tutti i viandanti, deciso a non fermarsi...
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