[Pagina precedente]...cità di pensare che ella sarà di lui, ch'egli le apparterrà , che lo vedrà tutti i giorni, tutte le ore, che l'udrà parlare, che si appoggerà al braccio di lui, che gli dirà all'orecchio tutto quello che le passerà per la mente, che si chiamerà col nome di lui, che verrà il giorno in cui si cullerà sulle ginocchia i suoi figli e insegnerà loro ad amarlo, a pregare il buon Dio per lui... Pensare che tutto sarà una festa, e che questa festa non avrà mai fine! Com'è buono il Signore a concedere tanta felicità .
Ho saputo che lo sposalizio si farà domenica... Che Dio li benedica!
Domenica, 29 Marzo, mezzanotte
Marianna mia, ti scrivo dalla mia cella, di notte, temendo che il mio lumicino venga scoperto attraverso la cortina, e che mi sia tolto anche il meschino conforto di aprirti tutta l'anima mia. Che giornata è stata questa per me, Marianna! Non cesserò dunque mai di soffrire?
Son sola, tremante di freddo; tutto è silenzio, non si ode che il pendolo dell'orologio come il passo di uno spettro che passeggi pei vasti corridoi oscuri. Sono stata tutto il giorno nel coro a pregare, a piangere al cospetto di Dio. Ora son debole, stanca, non ne posso più, ma sono alquanto più calma.
È domenica!... Tu comprenderai tutto quello che c'è in questa parola... e non dico altro... È stato oggi!...
Mi hanno portato i rinfreschi della festa, sai!...
Non si rammentarono che sono malata e che mi farebbero male?
Come avrebbero potuto pensarci? Tutti sono allegri, è un giorno di giubilo... La colpa è mia che sono una povera donnicciuola infermiccia ed uggiosa. Che festa sarà stata mai quella!...
Tutta la scorsa notte non ho potuto dormire... Anch'essi non avranno dormito aspettando l'alba di questa domenica... sognando ad occhi aperti quei fiori, quegli abiti da festa, quella folla, quei visi ridenti...
Anch'io ho visto, ho sognato tutte quelle cose. Ho veduto Giuditta così bella col suo abito da sposa, col suo velo bianco, e la sua corona di fiori d'arancio!...
E lui... lui che le dava la mano, le sorrideva... andavano in chiesa, circondati d'amici, di parenti, di persone care... l'altare era tutto illuminato, l'organo suonava... Poi si sono inginocchiati ed hanno chiamato Dio a testimonio della loro felicità .
Dio ch'è misericordioso avrà fatto dimenticare a lui quella sera in cui mi prese la mano, quelle parole che mi disse, il raggio di quelle stelle, quella notte d'uragano in cui a dirmi addio, quel bussare che fece alla finestra, la tosse che mi assalì...
Anch'io l'ho dimenticato... Voglio dimenticarlo...
Tutto è finito... tutto...
Vedi che son rassegnata, Marianna, che Dio ha avuto pietà di me!... Domani mi preparerò al gran passo con gli esercizi spirituali. Non ti scriverò; non vedrò più nessuno, neanche mio padre... È l'agonia.
Quei due cuori felici avranno pensato qualche momento, in mezzo al turbine della loro felicità , a questa povera donna che si muore qui, sola, derelitta?
Vieni alla cerimonia... Sarà per domenica, 6 Aprile. È un'altra domenica, come tu vedi... soltanto quest'altra è triste!... Verrai? Ti aspetto. Addio.
Non ti pare assai malinconica?
Sabato, 5 Aprile
Ti scrivo un rigo in fretta per rammentarti che ti aspetto, che ho bisogno di te, di voi tutti; che ho bisogno di forza e di coraggio.
Mi hanno portato il velo, i fiori, la veste nuova; è una bella veste da sposa. Si fanno gli ultimi apparecchi. È per domani...
Se vedessi che movimento insolito, che frastuono, che giubilo! è una festa per tutte coteste povere recluse. Quest'immenso sepolcreto si anima soltanto allorché si spalanca per un'altra vittima.
È un bel giorno d'Aprile. Il tempo è stato cattivo sino ad oggi; ma adesso brilla un bel sole. Sono stata sul belvedere a respirare un ultimo sorso di vita.
Quante cose ho visto da lassù, Marianna! i campi, il mare, quell'immenso mucchio di palazzi, l'Etna laggiù, in fondo... Tutte queste cose sembrava che avessero un'aria triste...
Avrei voluto vedere un'ultima volta Monte Ilice, la nostra casetta, quel bel castagneto... Non ho potuto vederli... non li vedrò più... ho un gruppo qui nel cuore!...
Dalla strada saliva sino al belvedere un frastuono, un rumore di carri, di vetture, di voci, di gente che lavora, che va e viene... Tutta quella gente ha degli affari, delle gioie, delle pene, cammina, vive... Quegli uccelli che volano lontano...
Fra me e tutta questa vita che mi circonda, domani, fra poche ore, si leverà un muro insormontabile, un abisso, una parola, un voto...
Come passerò questa notte?... Se ti avessi almeno qui con me!...
Ho paura!...
Dio mio, sorreggetemi!
Lunedì, 7 Aprile
Sorella mia! Hai udito mai i defunti parlare dalla tomba?
Son morta! La tua povera Maria è morta. M'hanno disteso sul cataletto, m'hanno coperto del drappo mortuario, hanno recitato il requiem, le campane hanno suonato... Mi pare che qualche cosa di funereo mi pesi sull'anima, e che le mie membra siano inerti. Fra me e il mondo, la natura, la vita, c'è qualche cosa di più pesante di una lapide, di più muto di una tomba.
È uno spettacolo che atterrisce! La morte fra il rigoglio della vita, fra il tumulto delle passioni, il corpo che vede morire l'anima, la materia che sopravvive allo spirito!
Apro gli occhi come trasognata; spingo lo sguardo nell'immensità , fra quel buio, quel silenzio, quella quiete inerte... Tutto è ad una immensurabile distanza. Ti vedo come in sogno, al di là dei confini della realtà ... Sei tu che sei svanita nel vuoto, oppure son io che mi sono smarrita nel nulla?
Sono ancora sbalordita. Mi pare di aggirarmi in un immenso sepolcreto, mi pare che tutto ciò sia un sogno... che non debba essere per sempre, che io debba svegliarmi. Ho assistito ad uno spettacolo solenne, ma mi pare che non sia stato per me... Mi pare che io sia stata presente come tutti gli altri ad un funerale, ad una lugubre cerimonia religiosa, ma che quando tacerà quella musica, quando non suoneranno più quelle campane, quando si spegneranno quei ceri, quando quei preti sfileranno in sagrestia, quando tutta quella gente si leverà per andarsene, debba andarmene anch'io e non abbia a restare sola, qui... dove ho paura... Ho visto tutti quei lugubri apparecchi che stringono il cuore, e si trattava di me?... ed ero io che morivo?... Tutta quella gente vestita a festa, tutti quei suoni, tutti quei lumi erano per me?... Ed io ho potuto acconsentire a morire?... Ho voluto morire?...
M'avevano abbigliata da sposa, col velo, la corona, i fiori; m'avevano detto ch'ero bella. Dio mel perdoni!... io ne fui contenta soltanto per lui che mi avrebbe veduta così!... M'affacciarono alla grata della chiesa. Tu mi vedesti; io non vidi nessuno; vidi una nube di incenso, un brulichìo, molte torce che ardevano; udii l'organo che suonava. Poi chiusero la cortina, mi spogliarono di quei begli abiti, mi tolsero il velo, i fiori, mi vestirono della tonaca senza che me ne avvedessi. Io non udivo, non vedevo nulla... lasciavo fare, ma tremavo talmente che i miei denti scricchiolavano gli uni contro gli altri. Pensavo alla bella veste da sposa di mia sorella, alla cerimonia cui ella aveva dovuto assistere senza provare lo sgomento che allora mi invadeva. La cortina fu riaperta. Tutta quella gente era ancora lì, guardava, ascoltava, con un'avida curiosità che mi agghiacciava di inesplicabile terrore. Mi sciolsero i capelli e me li sentii fin sulle mani che tenevo giunte; li raccolsero tutti in pugno... e allora si udì uno stridere d'acciario... mi parve che mi cogliesse il ribrezzo della febbre, ma era quella sensazione di fresco che provai sul collo allorché quella cosa fredda s'introdusse fra il volume delle mie chiome; del resto non aveva che un'idea confusa di quanto accadeva. Vidi mio padre che piangeva. Perché piangeva? Vidi mia madre, Giuditta, Gigi... Accanto a Giuditta c'era un'altra persona ch'era pallida pallida e mi guardava cogli occhi spalancati. In quel punto lo stridere di quella cosa agghiacciata mi parve che superasse il canto dei preti, il suono dell'organo, i singhiozzi di mio padre. I capelli mi cadevano da tutte le parti a ricci, a trecce intere... e le lagrime mi cadevano dagli occhi... Allora l'organo si fece mesto, le campane parvemi che piangessero. Mi stesero sul cataletto, mi coprirono colla coltre dei trapassati. Tutte quelle figure nere mi circondarono; mi guardavano, pallide, impassibili come spettri, salmodiando, colle torce in mano. La cortina si rinchiuse. In chiesa si udì lo scalpiccìo di tutta quella gente che se ne andava... Tutti mi abbandonavano... anche mio padre... Gli spettri mi abbracciavano, mi baciavano, avevano le labbra fredde e sorridevano senza far rumore.
Tutto ciò significava che io morivo! E com'è bastato questo solo ad addormentare tutti gli affetti che mi bollivano in seno? a soffocarli? Quella cerimonia, quei lumi, quel cataletto, quelle forbici come hanno avuto il potere di lasciarmi il petto vuoto, i sensi inerti? come hanno potuto farmi discendere viva nella tomba, farmi rinunziare a tutti i beni di Dio, l'aria, la luce, la libertà , l'amore?...
Ancora il peccato!... ancora!... dopo morta!... Ma anch'esso morrà . Qui dove c'era il cuore, adesso non c'è più nulla. Sono gli ultimi aneliti di vita, è la lotta dell'anima che non vuol morire. Penso, gemo, mi agito, soffro, ma sarà per poco. Ho passato tutta la notte senza poter chiudere occhio, senza sognare, senza poter pensare. Che ne hanno fatto di me? che cosa? Ecco quello che domando a me stessa con terrore. Tutta la notte, là , al disopra di quella cortina, c'è sempre quel volto... il volto di colui... mi ha guardato, muto, pallido, cogli occhi spalancati, mentre le forbici stridevano incessantemente fra i miei capelli. Non ho più la forza di piangere: il nulla mi ha invaso.
No! non è vero! quello strano mistero che si è compiuto non mi ha avvicinato a Dio... mi ha lanciato nel buio, nel vuoto; mi ha annichilito. Non so che cosa ci sia più dentro di me... È un silenzio che mi spaventa.
15 Maggio
Ti scrivo dal letto. Sono assai malata. Se tu mi vedessi, cara Marianna, come la febbre ha divorato le mie carni! Allorché guardo le mie povere mani pallide e tremanti mi pare di vedervi il sangue circolare nelle vene, tanto sono scarne. Ho un ardore, un bruciore qui, nel petto!...
Oggi mi sento alquanto meglio ed ho la forza di scriverti. Vorrei ciarlare con te e pensare a quei bei giorni ch'erano pieni di vita e di allegria; ma tutto quello che mi circonda è sì triste, che il mio cuore non ha la forza di sorridere neanche chiudendo gli occhi e sognando il passato. Ho sofferto assai, ma il Signore non mi ha abbandonato. Mi hanno trasportato all'infermeria, e questo è stato un gran dolore. Almeno nella mia celletta ci avevo tante memorie che sebbene dolorose tuttavia mi erano care; ma qui mi sembra che tutto sia lugubre, che ogni inferma vi abbia lasciato lo spettro delle sue sofferenze. Chi sa quante monache son morte qui?... forse in questo stesso mio letto!... E quando, nelle lunghe notti insonni in cui la febbre più mi travaglia, io faccio coteste riflessioni, provo un ribrezzo invincibile, e veggo i fantasmi avvolti nel velo nero strisciare lievemente sulle pareti facendo vacillare il debole lume della lampada dal corridoio... ed ho paura, e nascondo il capo sotto i lenzuoli. Piango da mane a sera ricordandomi di quel caro stanzino di Monte Ilice, le cui pareti mi conoscevano e mi sorridevano, accanto ai miei parenti, con quel bel sole, quell'aria, quei volti amati... E quando il mio cuore ha maggior bisogno di affetto e di conforto, non si vede attorno che i visi delle infermiere, rese impassibili dall'abitudine di veder soffrire. Anche il raggio che attraversa la finestra è pallido, scolorito, malaticcio. La primavera è passata ridendo sulla terra senza mandare un solo dei suoi colori festosi su quest'
angolo derelitto di pene e di miserie.
Ieri una farfalletta tutta bianca venne svolazzando a posarsi fin sui vetri della finestra. Tu, benedetta dal Signore, che vedi il sole, che respiri l'aria libera a pieni polm...
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