[Pagina precedente]...no 'l vuol niuno per amico né per parente. Milano lo renunzia per minchione, Mantoa per babione, Venezia per coglione, e sin a Matelica. Ma, per tagliare le lite, la causa è messa in ruota, e per grazia de li auditori arà fin presto, come le altre cose. Sà che per oggi il faremo da Siena, domani chi 'l vuole se 'l pigli.
Et anche piaceravi, credo, vedere inamorato Parabolano da Napoli, uno altro Accursio, in Corte piú per i capricci della fortuna che per sua meriti, il qual tormentandosi per Laura, moglie di messer Luzio Romano, e non volendo questo amor scoprire, un suo famiglio ribaldo sentì che 'l padrone di lei si lamentava sognando e, avendo per tal mezzo questo secreto, gli fa credere che Laura di lui sia inamorata e per via de una ruffiana conclude il parentado, e il magnifico, goffo al possibile, si ritrova con una fornaia piú sucida che la manigoldarÃa. E mentre che saranno in essere queste cose, e che vederete rappresentare qualche particella dei costumi cortigiani di donne et òmini, e che vederete doe comedie in una medesima scena nascere e morire, non vi spaventate, perché monna Comedia Cortigiana, per essere ella piú contrafatta che la Chimera, piú spiacevole che 'l fastidio, piú costumata che l'onestà , piú suave che l'armonia, piú gioconda che la letizia, piú iraconda che la còlera, piú faceta che la buffonarÃa, è, nel dir il vero, molto piú temeraria che la prosompzione. E se piú di sei volte messer Maco o altri uscissi in scena, non vi corrucciate, perché Roma è libera e le catene che tengono i molini sul fiume non terrebbono questi pazzi stregoni..., volsi dire 'istrioni'. Cosà abbiate pazienzia si alcun parla fuor di comedia, perché se vive a una altra foggia qui che [a] Atene non si faceva; dipoi colui che ha fatto la novella è omo di suo capo, né lo riformarÃa il Vescovo di Chieti.
ISTR. PROL. E 'nfine tu sei omo che ti governi con le bigonce - disse messer Zanozzo Pandolfini - e per mia fe' che sei un buon maestro da fare argomenti et è stato molto solutivo. Or tiriamoci da parte e ascoltiamo come messer Maco si porta a diventare cortigiano!
Eccolo: ah, ah, ah! Oh, che pecora, ah, ah, eh, oh!
ATTO PRIMO DE LA CORTIGIANA
SCENA PRIMA
Messer Maco, padrone, el Sanese suo famiglio.
MESS. MACO Per certo che Roma è capus mundi e se io non ce veniva...
SANESE Il pan muffava.
MESS. MACO Cacava io dico, ché mai l'arei creduto che la fussi bella a millanta miglia come è bella Siena.
SANESE O non ve dicevo io che Roma era un poco piú bella e piú grande che Siena, e voi diciavate: non! E a Siena c'è lo Studio, c'è' Dottori, fonte Branda, fonte Beccia, la piazza, la guardia, si fa la caccia del toro, e' carri, con ceri e pimpinelli e mille gentilezze per mezzo agosto: a Siena ci si fanno e' marzapani, e' bericuocoli a centinaia, e ci vuol ben l'imperadore e tutto il mondo, fòr che i fiorentini.
MESS. MACO Tu mi dicevi el vero, mi dicevi! A Siena non ci sono sà ben vestiti gli òmini a cavallo, con il famiglio. Oh, che magnificenzia!
SANESE State cheto, uno picchio favella.
MESS. MACO Papagallo volesti dire, che ti venga il grosso.
SANESE Io dico picchio e non papagallo.
MESS. MACO E io dico papagallo, e non picchio.
SANESE Padrone, voi siate una bestia, perdonatime, ché gli è un de quelli che vostro avolo comperò tre lire e mandòlo a Corsignano, e non fu esso, cosà disse il Morgante.
MESS. MACO Il Morgante, Sanese, ci voleva male, e io n'ho monstro all'orefice ottonaio una penna, e dice ch'ella è di papagallo, e ben fine.
SANESE Padrone, voi non cognoscete li ucelli.
MESS. MACO Al tuo dispetto li cognosco.
SANESE Non vi adirate!
MESS. MACO Mi voglio adirare, mi voglio, e voglio essere obedito, stimato e creduto.
SANESE Io vi estimo piú ch'un ducato, v'obedisco da servitore e credo come a messer Maco.
MESS. MACO Io ti perdono, e basta.
SCENA SECONDA
Maestro Andrea, Messer Maco, Sanese.
M. ANDREA Cercate voi padrone?
MESS. MACO Messer sÃ.
SANESE Ha nome messer Maco de Coe...
M. ANDREA A proposito! Io vi domando se voi volete stare a padrone.
SANESE La notte di Beffana fece ventidue anni.
M. ANDREA Lassa parlare a lui, manigoldo.
MESS. MACO Lasciami favellare, tu sei un tristo e parli inanzi a me.
M. ANDREA Che sete voi venuti a fare a Roma?
SANESE Per vedere il Verbum caro e il Giubileo.
MESS. MACO Tu ti menti per la gola, ch'io ci son venuto per acconciarmi per papa con qualche imperadore o re di Francia.
SANESE Voi volesti dire per cardinale con qualche papa.
MESS. MACO Tu dici il vero, il mio Sanese!
M. ANDREA Voi non potete essere cardinale si prima non diventate cortigiano: io son maestro di farli, e per amor del paese son per farvi ogni apiacere.
MESS. MACO Ago vobis gratis.
SANESE Non vi dico io che gli è dottore?
M. ANDREA E anche lo esser dotto vi farà onore, massime con li bergamaschi; ma dove alloggiate voi?
MESS. MACO A Roma.
M. ANDREA Sta molto ben; in qual loco, dico io?
SANESE Per una via lunga lunga...
M. ANDREA Tu fai onore a[l] tuo padrone.
MESS. MACO Spettate, ch'io l'ho in su la punta della lingua il suo nome: Botto..., Scotto..., Arlotto..., Scarabotto..., il Biliotto..., Ceccotto; Ceccotto, ah, colui che ci ha alloggiati; uno omo molto savio e favorito de l'imperatore.
M. ANDREA Per Dio, ch'io ho caro d'avervi cognosciuto, e per amor vostro adesso vado per il libro che insegna fare e' cortigiani; e con questo libro si fece uomo, essendo bestia, el Cardinale de Baccano e Monsignore della Storta e l'Arcivescovo delle Tre Capanne.
MESS. MACO Andate, di grazia!
M. ANDREA Adesso adesso ritorno, e trovaròvi in casa Ceccotto.
SANESE Come aveti voi nome?
M. ANDREA Andrea, al piacere della Signoria Vostra.
MESS. MACO De chi?
M. ANDREA Senatus PopulusQue Romanus! Io vado.
SCENA TERZA
Messer Maco e Sanese.
MESS. MACO Bonum est nomen Magister Andreas.
SANESE Or cosà gitevi digrossando con le profezie.
MESS. MACO Che dici tu?
SANESE Dite: la Signoria Vostra. Non sentisti voi Maestro Andrea che disse: la Signoria Vostra?
MESS. MACO Mi raccomando alla Signoria Vostra.
SANESE Bene; mandate su la veste!
MESS. MACO CosÃ, la Signoria Vostra?
SANESE Messer sÃ; acconciate la beretta cosÃ, andate largo di qua, di là ; ben, benissimo.
MESS. MACO Farò io onore al paese?
SANESE Diavolo, eh!
SCENA QUARTA
Furfante che vende le Istorie.
Alle belle Istorie! La pace tra il Cristianissimo e l'Imperatore! La presa del re! La riforma de la Corte, composta per il Vescovo di Chieti! I Capricci de fra Mariano in ottava rima! Egloghe del Trasinio! La vita dell'abbate de Gaeta! Alle belle Istorie; alle belle Istorie! La Caretta; Il Cortigiano falito! Istorie, Istorie!
SCENA QUINTA
Messer Maco, Sanese.
MESS. MACO Corre, Sanese, e compera la legenda e l'orazione ch'insegna a diventare cortigiano. Corre, corre!
SANESE Olà ! Olà ! Vendemi el libro per fare cortigiano messere!
SCENA SESTA
Messer Maco, solo.
Come è bella quella donna che sta lassú in quella fenestra, sul tappeto, vestita di seta: per certo che la debbe essere moglie di qualche re di Milano o duca di Francia. A la fe', ch'io mi sento inamorare. Oh, che bella via, forse che ci si vede un sasso?
SCENA SETTIMA
Sanese, solo.
Doi baiocchi, o balocchi che i quattrini abbin nome a Roma, m'ha costo questa leggenda; e bon per il mio padrone ch'è mezzo dottore, ché mai mai mai intenderebbe il favellare di questa terra; ma s'io sapessi leggere bene, mi farei, con questa orazione, cortigiano inanzi al mio Messer Maco de Coe, da Siena: "O Mà drama non vuole o Lorenzina...; le s...t...a...r... starne, e... ne... starne..." Starne, dice che non può dire né gallo né gallina, ma starne dice! "E vado mendicando uno s...p...e...; spe... d...a; d...a... speda, spedale..." Non può dire palazzo, e infin'è questo 'spedale' senza compitarlo, e dice cosÃ:
Le starne odiava e or bramo una radice
E vado mendicando uno spedale.
Cazzica! A Roma si mangia le radice e poi si va a l'ospitale! Egli era pur meglio a stare per senese a Siena che per cortigiano a Roma!
Ma dove è ito messer? - O messer Maco? Maco, messer? Padrone? - Ohimè ch'e' ladri me 'l furarano. O ladri, io vi farò impiccare dal senatore. O òmini con la beretta da uomo, dove è il mio messere, dico?
A punto; niuno mi risponde. Sarà meglio farlo bandire e andare de qua.
SCENA OTTAVA
Messer Maco, solo.
Io ho bello che perduto il famiglio e io a pena mi son ritrovato, e sarà meglio ch'io impari a caminare e poi uscire fuora. Ma questa è la porta? No, questa altra..., anzi pur questa! Ma come farò io senza il Sanese?
SCENA NONA
Il Cappa, il Rosso, famigli di Parabolano.
ROSSO Il nostro padrone è il piú magnifico gaglioffo, el piú venerabile manigoldo e 'l maggior sciagurato che sia al mondo, e non è però tre anni che egli trottava alla staffa sà ben come noi facciamo seco.
CAPPA Io l'ho visto camariero d'una mula, e or non si degna toccar l'oro macinato con guanti, e si Domenedio lo servissi no 'l contentarebbe mai. E' fa una galantaria con servitori: e' piglia famigli a provarsi un mese l'un l'altro. In capo al mese il povero uomo s'ingegna servire el meglio che sa per rimanere seco et egli gli dice: "Tu non fai per me, perch'io ho bisogno d'un piú da straziare: se io ti posso fare piacer niuno, parla, ma tu non sei per me".
ROSSO Io so ciò che vuoi dire; a punto egli, con queste ribaldarie, è molto ben servito e non paga salario.
CAPPA È pur gran compassion quella d'un suo camariero che mette piú tempo in spogliarlo o vestirlo che non fa un giubileo con l'altro, e crepo di stizza quando il furfante si fa portare la carta da forbirsi il culo in un piatto d'argento, e prima si fa fare la credenza al servitore, ch'ei sia amazzato!
ROSSO E a la Messa il paggio tiene e' sua paternostri, e quando n'ha detto uno, il paggio manda giú un paternostro e fa la reverenzia a la spagnola; cosà nel torre l'acqua santa il sopra detto ragazzo si bacia prima il dito; poi lo intinge ne l'acqua benedetta e al padron la presenta; il goffo ribaldo gli porge el dito e con gran cerimonia si fa el segno de la croce in fronte.
CAPPA O Cristo, io ne disgrazio il priore di Capua.
ROSSO Il grattar de' piedi e pettinare di barba, e 'l lavarsi le mani, e 'l montare a cavallo non [usa] senza il maestro delle cerimonie.
CAPPA Vogliamo noi, una notte, dargli d'una accetta sul capo, al boia?
ROSSO Non già che no 'l meritassi, pur staremo a vedere qualche dà s'egli muta con noi verso; quando che no, qualche cosa serà .
SCENA DECIMA
Flaminio scudiero e Valerio camariero.
VALERIO Hai sentito, per tua fe'?
FLAMINIO Ah, briachi, gaglioffi, ladroni, traditori! A questa foggia si parla del padrone, ah?
SCENA UNDICESIMA
Rosso e Valerio.
ROSSO Valerio, io t'ho pur fatto saltare! Ben sapevo io, e il Cappa, che tu e Flaminio ci stavate a scoltare, e per burla sparlavamo insieme del nostro padrone; ma chi non sa ch'egli è un uom da ben e una gentil creatura?
VALERIO Anche hai ardire d'aprir bocca, disonor del vituperio? E tu, Cappa, se non ch'io non voglio fare tanto danno a le forche, adesso adesso ti cavarÃa il cuore. Brutti ghiottoni, andate al bordello, ché per Dio, per Dio me vien voglia de...
ROSSO Tempera la còlera, di grazia!
SCENA DODICESIMA
Flaminio e Valerio.
FLAMINIO Per mia fe', che questi signori non meritano altri servitori che de la sorte del Rosso e il Cappa, e quasi piú giova de essere un simile che virtuoso. Quante volte m'ha ditto el padrone che 'l Rosso ha buona creanza e che gli è fedele e costumato!
VALERIO S'è un bugiardo, inbriaco, maldicente, ghiotto, ladro e simulatore! É ben creato el Rosso, e divino, o che cosa? E perciò le signorie de' Signori dicono avere buona creanza colui che sa trinciare un fagiano, fare bene un letto o una reverenzia mentre che è dato loro bere; e piuttosto uno di questi Rossi doventa grande in Corte, che quanti interpetri ebbero mai le littere greche e latine. E piú superbo è un tale che per portare imbasciate è grato al padrone che non è umile la pazienzia! Oh, oh, oh, oh!
FLAMINIO Gli è forse un'ora ch'io senti' ch'un altro pad...
[Pagina successiva]