[Pagina precedente]...tutti male. Ma ecco el signor; taci!
SCENA TERZA
Parabolano, Rosso e Aloigia.
PARABOLANO Che fa l'anima mia?
ALOIGIA More per Vostra Signoria, ma...
PARABOLANO Dio m'aiuti: che vuole dire questo 'ma'?
ROSSO Egli è stato un atto da tristo!
PARABOLANO Chi ha fatto questo atto?
ALOIGIA Non se vorrÃa mai far apiacere a persona.
ROSSO El vostro Valerio...
PARABOLANO Qual Valerio? Che ha fatto Valerio?
ALOIGIA E' ito a dire al fratello di Laura che Rosso e io gli roffianamo la sorella; ma fate che non siano mie parole!...
PARABOLANO Può essere?
ROSSO Io scoppio e non posso stare queto. Il piú mal uomo di Roma, ha morto una dozzina de bargelli e porta l'arme al dispetto del Governatore; e Dio voglia che voi ne andiate netto.
PARABOLANO O traditore! Adesso gli caccio nel petto questo pugnale, linguaccia frascida!
ALOIGIA Signor, non ci mentoà ti in questa cosa, per l'amor de Dio, ché ci rovinaresti!
PARABOLANO Furfante! Egli mi sta molto bene, ché l'ho tratto del fango al dispetto suo, e hollo fatto uomo de mille ducati d'entrata.
ROSSO Egli è quel ch'io dico: io m'accorsi ch'egli cercava d'assassinarvi e sòmmi stato cheto perché Vostra Signoria non dicessi ch'io fossi riportatore di frasche!
PARABOLANO Venite un poco in casa, ch'io crepo di doglia.
SCENA QUARTA
Rosso, solo.
Chi la fa l'aspetti, dice l'avverbio; e chi asino è, e cervio essere si crede, perde l'amico e dinari non ha mai. So ch'io t'ho reso pan per focaccia, e andarai a fare el duca a Tigoli se tu scoppiassi, asino rivestito! Io son bugiardo, infingardo, soiardo, frappatore, adulatore e traditore, furo e spergiuro e tabacchino, che piú importa che essere messer Angelo de Cesis, e ogni dà col favore de Aloigia menarò robbe nove denanzi e de dreto a la porta al padrone, e reggerò, favorito, a la barbaccia tua, Valerio.
SCENA QUINTA
Aloigia e Rosso.
ALOIGIA L'ho espedito in doe parole; gli ho promisso che a cinque ore venga, ché in casa mia si troverà con Laura, ma in loco scuro e solo, perché l'è tanto vergognosa che non serÃa possibile a condurvela altrimenti: e questa comodità ci dà la partita del suo marito, che va per otto dà a Velletri; ma prima che abbia conchiuso questo, ser Valerio ha avuto licenzia, e con male parole. Va' via, ch'io non [ho] tempo da perdere!
ROSSO O che strega! O pensa quel che debbe fare la sua maestra quando la discipula trova sà gran cose improviso. Ma che dite, signore?
SCENA SESTA
Parabolano e Rosso.
PARABOLANO SÃ che, Valerio m'ha usati cotal termini?
ROSSO Si non ch'io non mi diletto di riportare, vi direi de l'altri...
PARABOLANO In galea lo mando!
ROSSO Farete el debito vostro, perché non avete il maggiore inimico! Di non so che veleno che li comprò...; basta che...
PARABOLANO Certo?
ROSSO Io non parlo senza quali; e anco tra ragazzi... e le puttane e 'l gioco non li puzzano.
PARABOLANO Domattina lo dò in mano de la Corte,
ROSSO Di vostra madre, sorelle e casato parla come gli piace, e se non fussi perché le questioni non mi piacciono, dua dà sono gl'insegnavo a parlare de le cose vostre.
PARABOLANO Va, fidati poi d'un servitore, va! Oh, oh, oh, oh! Rosso, piglia le chiavi d'ogni cosa e portale vertuosamente!
ROSSO Io non son sufficiente, niente di manco fidel sarò io; de l'altre cose non ho invidia a farle a niuno, e non fo per avantarmi. Or lasciamo andare le cose coleriche, e punitelo si ha errato. Aloigia questa notte farà el debito, e io starò a denti secchi. Ma che glie direte voi, in prima giunta?
PARABOLANO E tu che li diresti?
ROSSO Parlerei con le mani! Ma gli è un peccato che la non v'abbi a vedere in viso, perché non è donna in Roma che quando passate non si consuma di vedervi, e non faccio per adularvi, ma dico la verità ; e s'io fussi donna, vorrei ch'adesso adesso mo' mo', mi facessi quella cosa. Ma se volete irvene a spasso sino a sera, la muletta è in ordine.
PARABOLANO Voglio ire a piede, e facciamo la via de qua ché non ho altro piacere che di parlare teco.
ROSSO Voi parlate con uno che v'è schiavo, signore, e fidel piú che la morte. Ma quando io penso a la vostra signora Laura, io stupisco de le sue bellezze; ella è graziosa, da ben, savia, virtuosa. Oh, Cristo, l'è da voi, certamente!
SCENA SETTIMA
Valerio e Flaminio.
VALERIO L'amor del mio padron è tutto tornato in mio danno; egli m'ha dato licenzia non altrimenti che s'io gl'avessi ucciso suo padre. È possibile che i signori dÃano cosà facile credenza a le pessime persone? Per Dio che son inciampato in quello che sempre ho avuto paura. Egli è vero ch'i' ho da vivere da commodo gintilomo e non mi sarÃa discaro senz'altra servitú de riposarmi; pur, el mi duole partirme con disgrazia del padrone, perché se crederà che sia causato per i miei tristi portamenti. Sà che, Flaminio, ci son guai per tutti.
FLAMINIO 'Il mal mi preme e mi spaventa il peggio', disse el Petrarca. Io speravo qualche bene per el mezzo tuo, e ora mi cadi ne le mani in peggiore sorte di me. Egli si sol dire che in compagnia el mal si fa minore; ma ti giuro, Valerio, che per tuo amore a me è cresciuto.
VALERIO Io voglio stare a vedere se questa fosse frenesia d'amore, ché son certo che l'è inamorato e dubito che questo non sia tutto invento di quel ribaldo del Rosso, che da poco in qua è sempre in secreto seco. Ma cosà gira el mondo!
FLAMINIO Non correre a furia e usa là quel senno ch'hai sempre dimonstro, perché adesso ne va l'avanzo de tutto l'onore e l'utile del servigio tuo di cotanti anni.
VALERIO Vatte con Dio, ché tosto ti saperò dire dove nasce la cosa.
SCENA OTTAVA
Togna, moglie de Ercolano fornaro, e Aloigia.
ALOIGIA Tic, toc, toc, tic.
TOGNA Chi è?
ALOIGIA È Aloigia, figlia.
TOGNA Io scendo; aspettate!
ALOIGIA Ben trovata, figlia cara.
TOGNA Che volete voi, nonna?
ALOIGIA Stanotte, a quattro ore, verrai a casa mia, ch'io voglio pigliare un poco di sicurtà di te, con tuo utile.
TOGNA Ahimè cattivella, ché 'l mio marito è intrato in cosà fatta gelosia ch'io non so dove mi sia; pure...
ALOIGIA Che 'pure'? O che ohimei? Fa' a mio senno e lascia ire le fanciullerie.
TOGNA In capo de la fin non posso mancarvi, e ci verrò s'io dovessi morire, ché merita ogni male, el briacone.
ALOIGIA Te ringrazio; ma vien vestita da uomo, perché se fanno de matti scherzi la notte per Roma, e potresti dare in un trentuno, verbigrazia. O pensa ch'io ti metto in favore a mezza gamba!
TOGNA Gran mercè, basta, ch'io verrò e Ercolano mio... anima sua, manica sua!
SCENA NONA
Ercolano fornaro, Togna sua moglie e Aloigia.
ERCOLANO Che chiacchiere son le vostre?
ALOIGIA De l'anima.
ERCOLANO Che conscienzia!
TOGNA Tu 'l dovresti avere di grazia!
ERCOLANO Taci, troia!
TOGNA Non se può favellare con le bone donne!
ERCOLANO S'io piglio una pala...
ALOIGIA Bon omo, l'Antonia mi domandava quando era la stazzon a San Lorenzo extra muros.
ERCOLANO Coteste pratiche non m'hanno odore; sà che andative con Dio e fati ch'io non vi truovi piú qui. E tu va' su in casa, ch'al corpo ch'io non dico...
TOGNA In tua malora!
SCENA DECIMA
Ercolano, solo.
Chi ha capre ha corna! Questa manigolda de la mia donna non è di peso, Io mi sono accorto che la va la notte alle sue consolazione, e non mi acceca tanto il vino ch'io non vegga ch'io son da Corneto; e questa Aloigia m'ha cavato di dubbio. Io voglio fare el briaco al naturale come torno a casa, e chiariròmi s'io son pur da Cervia!
SCENA UNDICESIMA
Ercolano e Togna.
ERCOLANO Vien giú, sfaccendata! A chi dico io, Togna?
TOGNA Che te piace?
ERCOLANO Non m'aspettare a cena.
TOGNA Non fu mai piú!
ERCOLANO Tu odi mo'?
TOGNA Meglio faresti a stare a casa, ch'andare dietro a le zambracche e a le taverne.
ERCOLANO Non mi rompere el capo; fa' che 'l letto si facci adesso, che possa riposarmi com'io vengo.
TOGNA Sempre mi tocca a mangiare con la gatta! Il diavol non volse che tu t'imbattessi a una che t'avessi fatto quel che tu meriti; ma io so' troppo bona.
ERCOLANO Non mi stare a civettare su per le finestre.
TOGNA I lupi mi mangeranno.
ERCOLANO Basta, tu hai inteso, io vado.
TOGNA Col malanno! Ma a fare, a fare vaglia! Chi due bocche bacia, una conven che li puta. Tu col vino io con l'amore, e le porterai se crepassi, geloso imbriaco!
SCENA DODICESIMA
Parabolano e Rosso.
PARABOLANO Chi sa che la luna e che 'l sole non siano inamorati di lei?
ROSSO PorÃa molto ben essere, perché la luna e il sole hanno la lussuria in sommo.
PARABOLANO Io temo che la casa che l'alberga, [i] vestimenti che l'ornano e il letto che l'alloggia e l'acqua che la lava e i fiori che la odora non possedono l'amor suo.
ROSSO Voi sète molto pauroso! Oh, domin fallo che Cupido pigli per capegli l'aria e la terra!
PARABOLANO Dio voglia ch'io menta. Or torniamo in casa nostra.
SCENA TREDICESIMA
Grillo, solo.
Ah, ah, ah!... Risa, di grazia, lasciatemi favellare! Ah ah, ah!... Io ve ne prego! Messer Maco, ah, ah!... messer Maco è stato in le forme et ha vomitato l'anima. E l'han raso, vestito di novo, profumato, e fatto mille ciance; e ce dice cose cose che farÃa rallegrare la maninconia, e vuol tutta Roma per sé e le signore e le signorÃe. E quella bestiaccia di Maestro Andrea li fa credere cose che farÃano bugiardo il Vangelio; e messere parla per 'mi' e per 'sÃ' come un bergamasco e usa vocaboli che non l'intenderebbe l'interprete. Ma s'io vi volessi contare di punto quel che dice, bisognarÃa avere la memoria d'un ricordo! Basta, ché mi manda per marzapani, e vuol di quelli di Siena; ma io voglio andare a fare cosa che piú m'importa e aspetterà , el corbo! Mi era scordato; maestro Andrea ha uno specchio concavo che mostra li òmini al contrario, e come escono de la stufa vogliono che si specchi dentro, che lo farà disperare. Ma stati voi a vedere, ch'io per me l'ho dietro!
SCENA QUATTORDICESIMA
Rosso, solo.
Maledetto sia, presso ch'io non l'ho detto! O può far Cristo ch'appena possa bere un tratto, che mi bisogna trottare per Aloigia e son fatto solicitatore in la causa di quello ammorbato di Cupido! Basta che non mi prometta il magistrato di casa, ché vorrei inanzi essere nihil che magistro di casa. Forse che son ben voluti? Ne cognosco uno che presta denari a usura al suo padrone e son di quei medesimi ch'al padrone ha robbati; e sappiate che la robba che loro dà nno a le puttane sono i bocconi che furano a le nostre fami. E si non fusse per amore del maggiordomo di Clemente, che fa fallire la regola, al cul de Dio ch'io cantarei di soprano! Ma dove sarà ita questa fantasma d'Aloigia?
SCENA QUINDICESIMA
Romanello Giudeo e Rosso.
ROMANELLO Ferri vecchi, ferri vecchi!
ROSSO Sarà meglio ch'io ne facci una a questo giudeo, come al pescatore.
ROMANELLO Ferri vecchi, ferri vecchi!
ROSSO Vien qua, giudeo! Che vòi tu di questo saio?
ROMANELLO Pròvetelo, e se ti starà bene sarem d'accordo.
ROSSO Metti su, ch'io voglio una volta uscire di cenci.
ROMANELLO Depinto! E' pare fatto a tuo dosso.
ROSSO Al prezzo?
ROMANELLO Dieci ducati.
ROSSO Cava giú.
ROMANELLO Che vòi darmi tu?
ROSSO Otto scudi, e toglierò questa cappa per un mio frate de Araceli.
ROMANELLO Io son contento, se tu comperi la cappa per tuo fratello; e perché tu vegga se l'ha del panno assai, me la voglio provare.
ROSSO Non mi dispiace vedere come la torna bene indosso.
ROMANELLO Aiutami: da' qua el cordone e lo scapulare; che te ne pare?
ROSSO La mi piace: l'è di panno fine e quasi nuova.
ROMANELLO Novissima, e fu del cardinale Araceli in minoribus,
ROSSO Volta in dietro per vedere come la fa de le crespe a iosa.
ROMANELLO Eccomi!
SCENA SEDICESIMA
Rosso che fugge col saio e il giudeo dietrogli, da frate.
ROMANELLO Al ladro! al ladro! tenetelo, pigliatelo! Al ladro! al ladro!
SCENA DICIASSETTESIMA
Sbirri, Rosso, Romanello.
SBIRRO State saldo, a la Corte! Che cosa è?
ROSSO Questo frate è uscito d'una taverna e corremi dietro come un pazzo, e io, per non fare questione con sacerdoti, piú tosto ho voluto fuggire.
ROMANELLO Signor capitano, costui m'ha giuntato! Io son Romanello giudeo che...
SBIRRO Ah, sacrilego ribaldo! Tu vai con le cappe sagrate ...
[Pagina successiva]