[Pagina precedente]...ore e corso in cocina, volse anch'egli pagare la rata sua per mangiarne, e i buon compagni non volsero.
SEMPRONIO Ah, ah; eh, eh; oh, oh; uh, uh!
FLAMINIO Una altra piú bella. Io ho inteso in casa del Ponzetta, che fu un Monsignore Reverendissimo, che faceva mettere un ovo e mezzo per frittata e facevalo poi porre ne le forme dove pigliano le pieghe le berette. Avvenne una mattina un caso strano, ch'un vento le portò sino a le scale de S. Pietro come porta le fronde lo autunno, e cadevono in capo a le genti a guisa di diadema.
SEMPRONIO Ah, ah, ah!
FLAMINIO Odi questa altra. Voi avevate per maestri di casa gli uomini e noi le donne. Le matri de' nostri padroni ci dà nno contumacia, assaggion vini, se c'è poca acqua, tengon le chiavi de le cantine, dà nno a conto i bocconi: tanti el dà de le feste e tanti i dà neri; e ci misurano sino a le minestre.
SEMPRONIO So che 'l mio figliolo starà in casa sua.
FLAMINIO Dipoi fatto un cortigiano, è fatto un invidioso, ambizioso, misero, ingrato, adulatore, maligno, iniusto, eretico, ipocrito, ladro, ghiotto, insolente e busardo; e se minor vizio che 'l tradimento si trovassi, direi che 'l tradimento è il minor peccato che ci sia.
SEMPRONIO Come, i ladri ancora sono in Corte?
FLAMINIO Ladri, sÃ! Il minor furto che ci si faccia è el robarsi dieci o venti anni a la vita e servitú tua, e non si attendere ad altro ch'aspettare che muoia questo o quello; e se per sorte avvenne che colui del quale hai impetrati [i] benefizii campi, tutti quei fastidi, tutte quelle febbre e dolori che ha avuto nel male quello per la morte del quale credevi esser ricco, tormentono te, sconsolato per la sanità sua. Cose crudeli a desiderare la morte a chi non ti offese mai!
SEMPRONIO Non m'aiuti Dio, se Camillo serve mai Corte.
FLAMINIO Sempronio, se tu ti consigli meco perché io dica a tuo modo è una, ma se tu vuoi ch'io dica el vero è un'altra.
SEMPRONIO Ti sono obligatissimo, Flaminio, e conosco che sei verace uomo e da ben. Io delibero non mandare il mio figliolo con niuno e ci riparleremo piú per agio. Io voglio ire a pigliare i denari del mio offizio al banco de li Strozzi.
FLAMINIO E io mi tornerò in Corte a consumarmi de dispiacere.
SCENA SESTA
Rosso e Aloigia roffiana.
ROSSO Dove vai tu con tanta furia?
ALOIGIA Mo' qua e mo' là , tribulando.
ROSSO Che ti manca? Tu governi Roma!
ALOIGIA Gli è vero; ma la disgrazia de la mia maestra mi dà questa briga.
ROSSO Che ha, male?
ALOIGIA L'averà male, e el malanno è pro meriti: si abrucia domattina. Part'egli onesto?
ROSSO Né giusto, né onesto: come diavolo abrucia? Ha ella crucifisso Cristo?
ALOIGIA Non ha fatto nulla.
ROSSO Oh, Ã rdese la gente per non fare niente? Che cose son queste ladre e ribalde? Or credi a me, che Roma ha presto a ruinare!
ALOIGIA L'ha bevuto el figliolo de la sua comare, per troppo amore.
ROSSO E non altro?
ALOIGIA Ammaliò il suo compare, per compiacere a un amico.
ROSSO Questo è una galanteria!
ALOIGIA Diede el veleno al marito de la Georgina, perché gli era un tristo.
ROSSO El Senatore non sa ricevere gli scherzi!
ALOIGIA Rosso mio, l'ha fatto un testamento da reina, e m'ha fatto erede de ciò che l'ha.
ROSSO Bon pro'! Che t'ha ella lasciato, se si può dire?
ALOIGIA Molte belle cose: lambicchi da stillare, acqua da levare lentigini e macchie di mal francioso, strettoio da ritirare poppe che pendono, mollette da pelare ciglia, un fiasco de lacrime d'amanti, un bicchiere di sangue di nottola, ossa di morti per tormenti e per tradimento, unghie de gufi, cuori d'avoltori, denti di lupi, grasso d'orso e funi d'impiccato a torto. E per il vicinato non se ragiona d'altro; dove, per sua grazia, son sempre la prima chiamata a nettare denti, a cavare la puzza del fiato e mille gintilezze.
ROSSO Riscòtila con digiuni, fagli dire le messe de San Gregoro, il paternostro de San Giuliano e qualche orazione, ché la merita.
ALOIGIA Credi tu ch'io no 'l facessi, se bisognassi? La poveretta!
ROSSO Per piangere non la riarai tu!
ALOIGIA Come che quando mi ricordo che sino a gli sbirri gli facevano di beretta, mi scoppia el cuore; e non è però un mese che all'ostaria del Pavone e' la bevette forse di sei ragioni vini, sempre al boccale, senza una reputazione al mondo. Non fu mai la meglior compagna, né mai fu donna vecchia di sà gran pasto e di cosà poca fatica.
ROSSO Però la morte la vuole per sé.
ALOIGIA Al beccaio, al pizzicagnolo, al mercato, a la fiera, al fiume, al forno, a la stufa, al barbiero, a la gabella, a la taverna, con sbirri, cuochi, messi, preti, frati e fra' soldati, sempre sempre toccava a favellare a lei, e era una Salamona tenuta.
ROSSO Abrucia, impicca, e non ci campa piú né un uomo né una donna da bene!
ALOIGIA Come una draga e una paladina andava a cavare gli occhi agl'impiccati, per cimiteri, de notte, a cavare l'unghie a' morti per fare certe medecine per el mal del fianco. Si trasformava in gatta, in topo, in cane e andava sopra acqua e sopra vento a la noce de Benevento.
ROSSO Come ha ella nome?
ALOIGIA Madonna Maggiorina, con reverenzia parlando. Non ti segnare, ché gli è ciò che tu odi.
ROSSO A questo modo si fa ragione a Roma? Oh, oh, oh, oh, la mi rincresce pure.
ALOIGIA Però tu sei uomo diritto, perciò te rincresce!
ROSSO Se fussi mezzo agosto, la farÃa chiedere da' rioni, per mezzo di Rienzo Capovacina, di Lielo caporione de Parione.
ALOIGIA Se avessino, con la mitria, spuntati gl'orecchi e 'l naso ci si poteva stare, ch'anch'io quando era giovene l'ho provato, e poi [è] un pizzico di mosca; dipoi bisogna provare qualche cosa di qua, per non ire, di là , a casa calda.
ROSSO È vero, e' preti dal bon vino ebbero pazienzia, loro che furono squartati.
ALOIGIA Quella fu altra ribaldaria e forse che non erano fratelli giurati de la mia maestra?
ROSSO Or lasciamo ire le cose coleriche e ragioniamo de le alegre perché morremo anche noi, e Dio el sa se meglio o peggio. Aloigia, noi siamo felici: el mio padrone è inamorato di Laura di messer Luzio.
ALOIGIA È mio fratello di latte.
ROSSO Ricchi siamo! Egli non l'ha mai scoperto a persona, e sognando hoglielo da lui sentito. Io vorrei...
ALOIGIA Taci e lascia fare a me: tu vòi che gli diamo ad intendere che la stia mal di lui.
ROSSO Entriamo in casa, ché tu vali piú che un destro a chi ha preso le pillole.
SCENA SETTIMA
Messer Maco e Maestro Andrea.
MESS. MACO L'è donque de legno quella pina de bronzo?
M, ANDREA Sere sÃ.
MESS. MACO Quella nave dove son quei santi che affogano di chi è?
M, ANDREA Di musaico.
MESS. MACO Oh, fatemi insegnare la musica da lei, poi che l'importa a farsi cortigiano; bench'io so la mano e: gama-ut, a-re, be-mi, mi, fa, sol, fare
M, ANDREA Voi avete un gran principio, ma sarà buono andare a riposare.
MESS. MACO Io ho la gran sete, Dio me la perdoni.
M. ANDREA Ecco la casa; entrate, signore.
MESS. MACO Entrate voi, ché siate maestro.
M. ANDREA Procedete voi, messere.
MESS. MACO Non bene conveniunt; con vostra licenzia.
SCENA OTTAVA
Parabolano e Valerio.
PARABOLANO Parlarò, tacerò? Nel parlare è el suo sdegno e nel tacere è la mia morte, perch'io scrivendoli quanto l'amo, si sdegnerà essere amata da sà basso uomo. S'io sto queto, el celare tanta passione mi condurrà a estremo fine...; ma consigliami tu, Amore.
VALERIO Signore, per usare ufficio de bon servitore e non de presuntuoso, cerco di sapere el vostro male e procacciarvi rimedio con la propria vita.
PARABOLANO L'averti io sempre cognosciuto tale t'ha fatto diventare meco quello che tu sei: ma questo mio novo accidente non ti curare sapere.
VALERIO Qui manca d'assai la grandezza vostra e vi è poco onore che un vil desÃo signoreggi di cosà mala maniera la prudenzia vostra, e ancora che 'l nascondere il dolore vostro proceda d'amore, ben lo cognosco io al poco mangiare e niente dormire e al volto depinto de le vostre passioni: ma se gli è amore, mà ncav'egli animo de ottenere qual si voglia donna? Voi sete ricco, bello, nobile, liberale, accorto, dolce del parlare, che son mezzi fideli a ottenere Venere, non solamente questa che cosà vi trafigge.
PARABOLANO Se l'impiastri de le savie parole guaressino le piaghe mie, tu m'aresti a quest'ora sanatomi.
VALERIO Deh, signore mio, retrovate e recognoscete voi stesso e rilevativi di sà stranio umore e non vogliate diventare favola de la Corte e de' vostri emuli. Donque voleti ch'a Napoli si sappia questa sciocchezza, che vi mena a la vergogna e morte vostra? Sentendo tal cosa, che alegrezza ne averanno li vostri, che gloria la patria, che consolazione li amici e che utile e' poveri servitori?
PARABOLANO Vatti a spasso, ché mi faresti forse uscire del manico, con tante ciance.
SCENA NONA
Parabolano, solo.
Conosco che Valerio mi dice el vero, come giovene prudentissimo, ma el soverchio amore mi diffida d'ogni salute. Pur ogni cosa si vede avere fine. Oggi non somiglia a ieri, sempre non sono le nevi e i ghiacci; si placa el cielo e gli Dei. Serà meglio ch'io intenda il consiglio di Valerio. Eccolo su la porta. Valerio?
SCENA DECIMA
Parabolano e Valerio.
PARABOLANO Valerio, s'io, come tu dici, fussi inamorato, che remedio mi daresti tu?
VALERIO Trovare una ruffiana e scrivere una lettera.
PARABOLANO E se la non la volessi?
VALERIO Di questo state sicuro, ché mai né lettere né denari sono refiutati da le donne.
PARABOLANO E che vorresti ch'io gli dicessi?
VALERIO Quello ch'amor vi dettarà .
PARABOLANO S'ella l'avesse per male?
VALERIO Io vi ricordo che le donne sono di piú molle carne e de piú tenere ossa di noi.
PARABOLANO Quando manderesti tu questa lettera?
VALERIO Spettarei la opportunità del tempo.
PARABOLANO Scempio, io t'ho pur fatto parlare: io ho altro caldo che d'amore.
VALERIO Padrone, ma per voi non si pigliava San Leo, poi che non vi basta l'animo d'ottenere una donna.
PARABOLANO Né per questo scema una dramma del mio tormento. Or entriamo in casa, ché l'essere solo piú mi contenta che con altrui ragionare.
SCENA UNDICESIMA
Maestro Andrea, solo.
Mentre che messer Moccicone beeva s'è inamorato di Camilla Pisana per averla vista da le fenestre de la camera. Questa è quella volta che Cupido doventa una pecora. Egli canta improviso e compone i piú ladri versi e le piú ribalde parole che se udissero mai. E per non parere busardo come gl'astrologhi del diluvio, vi voglio leggere una pÃstola ch'egli manda alla Signora.
(Lettera de messer Maco a la Camilla Pisana)
'Salve Regina misericordie. Perché i vostri occhi marmorei e inorpellata bocca e serpentini capelli e fronte corallina e labra di broccato m'hanno cavato di me stesso, e son venuto a Roma e faròmi cortigiano, favente Deo, per amore vostro, perché sete piú morvida che le ricotte, piú fresca del ghiaccio, piú polita che la mandragola, piú dolce che la quintadecima, e piú bella che la fata Morgana e la Diana stella. Sà che spettate il luogo e trovate el tempo dove io possa dirvi millanta parole, le quale seranno secrete come un bando, et fiat voluntas tua.
Maco che sta per voi a pollo pesto
vi vorÃa far quel fatto presto presto.
SCENA DODICESIMA
Messer Maco e Maestro Andrea.
MESS. MACO Portate questo strambottino ancora!
M. ANDREA Di grazia! Ma lo voglio prima leggere, perché voi siate malizioso e chi sa che voi non mi volessi fare dare cento bastonate.
MESS. MACO No no, maestro, ché vi voglio bene!
M. ANDREA Io el so, certo, pure... (Strambottino di messer Maco, letto da Maestro Andrea)
O stelluzza d'amore, o Angel d'orto
Faccia di legno e viso d'oriente
Io sto pur mal di voi, la nave in porto,
È sà piú bella che tutto el ponente.
Le tue belezze veneron di Francia
Come che Giuda che si strangoloe,
Per amor tuo mi fo cortigiano io
Non aspetto già mai con tal desÃo.
O che versi sentenziosi, tersi, limati, dotti, novi, arguti, divini, correnti, dolci e pien di sugo! Ma c'è un latino falso!
MESS. MACO Qual'è, la nave in porto?
M. ANDREA Signor si.
MESS. MACO Ell'è una licenzia poetica! Ora andate, via, presto a la diva!
SCENA TREDICESIMA
Maestro Andrea, solo.
Ora sà ch'e' poeti andaranno a la stufa! El bisogna f...
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