[Pagina precedente]...RIO Perché non sète né qui né altrove, pare a me.
PARABOLANO Aiutami!
VALERIO Mai non vi aiuterò, se non me aprite il vostro secreto.
PARABOLANO Quanti amari veneni ascondeno i preziosi vasi. Entriamo in casa.
SCENA VENTITREESIMA
Maestro Andrea, solo.
Io ho voluto dare padrone a quel sanese e poi mi sono acconcio seco per pedante; questa è pur bella! Or dico io, che son dotto, dià ngli pur dentro, acciò che agosto lo trovi bello e legato. Ma, quando accadessi, non solamente a lui, ma a mio padre l'accoccarei, e parmi un gran mercè a pagare i cavagli a un che voglia mandar e' cervelli per le poste. E mi penso che non si possa fare la maggior limosina al mondo quanto fare impazzire uno, fosse che gli doni officio o beneficio, anzi non è sà tosto scappato il cervello, che subito el capo è rompito di signorie, di grandezze, di trionfi, di giardini ch'hanno i fiori a ogni luna come il rosmarino; e questi tali gongolano quando gli credi, gl'essalti e ogni loro detto gli confermi. E per Dio, ch'un simile non cambiaria il suo stato con quello che ha dato l'imperatore a Ceccotto. Ma io veggio el mio scolare pincolone fermo su la porta come un termine. A fe', che come trovo il maestro de le cerimonie lo voglio far porre sul catalogo de' pazzi, acciò che di lui si facci solenne commemorazione a laude e gloria de la reverenda e imperialissima Siena.
SCENA VENTIQUATTRESIMA
Messer Maco e Maestro Andrea.
M. ANDREA Ben sia trovata la Signoria Vostra.
MESS. MACO Buona sera e buon anno. Io credeva aver perduto voi come el mio famiglio.
M. ANDREA Gli è meglio perdermi che smarirme. Or ecco el libro; andiamo dentro ch'io vi legerò una lezioncina dolce dolce per la prima volta.
MESS. MACO Deh, maestro, fatemi questa grazia; 'nsegnatemi qualche cortigianeria ora.
M. ANDREA Voluntieri. Aprite gli occhi ben ben perché le prime e principal cose a essere buon cortigiano son queste: saper biastemare et essere eretico.
MESS. MACO Cotesto non voglio io fare perché andarei in l'inferno e mal per me.
M. ANDREA Come in l'inferno? Non sapeti voi ch'a Roma non è peccato a rompersi il collo nella Quaresima?
MESS. MACO Signor sÃ.
M. ANDREA Messer no; e sapiate che tutti quelli che vengono a Roma, subito che sono in Corte, per parere d'essere pratichi, non andarebbeno mai a Messa per tutto l'oro del mondo e poi non parlarebbono mai, che la Vergine e la Sagrata non gli fussi in bocca.
MESS. MACO Adonque io biastemerò: 'la potta da Modena!', n'è vero?
M. ANDREA Signor sÃ.
MESS. MACO Ma come se doventa eretico? Questo è il caso.
M. ANDREA Quando un vi dicessi: 'Gli struzzi son camelli', dite: 'Io no 'l credo'.
MESS. MACO Io no 'l credo.
M. ANDREA E chi vi dessi ad intendere che i preti abbino una discrezione al mondo, fativene beffe.
MESS. MACO Io me ne fo beffe.
M. ANDREA E se alcun vi dicessi ch'a Roma c'è conscienzia niuna, ridètivene.
MESS. MACO Ah, ah, ah!
M. ANDREA Insomma, se voi sentite mai dire bene de la Corte di Roma, dite a colui che non dice el vero.
MESS. MACO Non sarà meglio a dire: 'Voi mentite per la gola ?
M. ANDREA MadesÃ, serà piú facile e piú breve. Or questo basti quanto alla prima parte. Vi insignerò poi el Barco, la Botte di termine, il Coliseo, gli archi, Testaccio e mille belle cose che un cieco pagarÃa un occhio per vederle.
MESS. MACO Che cosa è il Coliseo? Ègli dolce o agro?
M. ANDREA La più dolce cosa di Roma e piú stimata da ognuno, perché è antico.
MESS. MACO Gli archi gli cognosco per cronica e gli ho veduti per lettera su la Bibbia, cosà l'anticaglie. Ma le debbono essere tutte grotte, l'anticaglie?
M. ANDREA Qual sà e qual no. E come sapete queste cose, pigliarete pratica con Magistro Pasquino. Ma vi sarà gran fatica a imparare la natura di Maestro Pasquino, il qual ha una lingua che taglia.
MESS. MACO Che arte fa egli, questo Maestro Pasquino?
M. ANDREA Poeta di porco in la ribecca
MESS. MACO Come, poeta? Io gli so tutti a mente i poeti, e anch'io son poeta!
M. ANDREA Certo?
MESS. MACO Chiaro! Ascoltate questo epigramma ch'io ho fatto in mia laude.
M. ANDREA Dite.
MESS.MACO
Si deus est animas prima cupientibus artem
Silvestrem tenui noli gaudere malorum
Hanc tua Penelope nimium ne crede colori
Titire tu patule numerum sine viribus uxor,
M ANDREA O che stile! Misericordia!
MESS. MACO
Mortem repentina pleno semel orbe cohissent
Tres sumus in bello, vaccinia nigra leguntur
O formose puer, musam meditaris avena
Dic mihi Dameta recumbens sub tegmine fagi.
M. ANDREA O che vena da pazzo!
MESS. MACO Son io dotto, maestro?
M. ANDREA Piú che l'usura, che insegna a leggere ai pegni. Or be', io son ricco se voi me date de queste musiche. Le farò stampare da Ludovico Vicintino e da Lautizio da Perugia, e eccomi un re. Ma da che avete perduto el paggio, bisogna trovarne un altro perché voglio che voi v'inamorate.
MESS. MACO Io son inamorato d'una signora e son ricco, e ciò che voi vorrete farò.
M. ANDREA Poiché sète ricco torrete casa, farete veste, comprarete cavalcature, faremo banchetti a vigne, in maschera. Ite pur, magnifico messer mio. Ah, ah, ah, ah!
ATTO SECONDO DE LA CORTIGIANA
SCENA PRIMA
Rosso e il Cappa.
ROSSO Chi non è stato a la taverna non sa che paradiso si sia. O taverna gintile, forse che fai una reputazione al mondo? Anzi obedisci ognuno da signor e che inchini t'è fatto intorno! Per mia fe', Cappa, che s'io avesse mai figlioli, farÃa imparare i costumi e le virtú ne le taverne.
CAPPA Tu hai ingegno!
ROSSO Oh che musica galante fanno gli spiedoni quando son pien di tordi, salcicce o capponi! Oh, che odore ha la vitella mongana, barbacano o ambracano dentrovi!
CAPPA Sta bene! Se le taverne fussino a canto a' profumieri, a ognuno putirÃa il zibetto.
ROSSO C'è qualche bue che fa dolce amore e 'l fare quella novella. Dolce è un buon pasto che se piglia senza sospiri o gelosia. Sai tu se quel Cesare che loda tanto il nostro padrone, avessi trionfato per mezzo una taverna ben in ordine d'ogni cosa? Per mia fe' che gli archi de marmo gli venivono a noia e' suoi soldati ci sarÃano passati più voluntieri.
CAPPA Io el credo.
ROSSO Oh che magnificenzia, oh che allegrezza è vedere fumare gli arosti e' pesci d'ogni sorte! Oh che bel vedere fanno le tavole apparecchiate! Io per me, s'io fussi stato quel papa che fece Belvedere, arÃa spesi i miei danari in una ostaria ch'almeno una volta il mese facessi un bel vedere d'altro che de logge o camere depinte.
CAPPA Rosso, queste lamprede son bocconi d'angeli; io, per me, ne ho invidia a chi esce da stregiare uno cavallo e fassi grande. Ma quando io veggio Brandino e 'l Moro de' Nobili che s'empiono il corpo di queste cose sante e divine, io crepo e vienmi l'anima ai denti per lo affanno.
ROSSO Sà che le son buone e conosciute! Ma se quel pescatore mi trova me le farà smaltire.
CAPPA A sua posta! Io non combattei mai a' mie die; ma per una di queste lamprede mi farÃa amazzare cento volte il dÃ. Ma Valerio mi domanda. A rivederci!
SCENA SECONDA
Messer Maco, Maestro Andrea e Grillo, famiglio di Messer Maco.
M ANDREA Molto ben vi sta questa vesta; da paladino!
MESS. MACO Voi mi fate ridere, mi fate!
M. ANDREA Voi avete ben tenuto a mente quello ch'io vi ho insignato, n'è vero?
MESS. MACO So fare tutto el mondo!
M. ANDREA Fate el duca.
MESS. MACO CosÃ..., cosÃ..., a questo modo; ohimè ch'io son caduto!
M. ANDREA Rizzatevi, castrone!
MESS. MACO Fatemi doi occhi al mantello, a la vesta, ch'io per me non so fare il duca al buio.
M. ANDREA SÃ, sÃ; ma come se risponde ai signori?
MESS. MACO 'Bacio le mani'.
M. ANDREA A le signore?
MESS. MACO 'Questo cuore è il mio!'
M. ANDREA Ai bon compagni?
MESS. MACO 'SÃ, a fe'.'
M. ANDREA Ai prelati?
MESS. MACO 'Giuro a Dio'.
M. ANDREA Buono, savio. E al servitor come si comanda?
MESS. MACO 'Porta qua la mula, mena qua la vesta, che t'amazzarò!...'
GRILLO Maestro Andrea, fatemi dare buona licenzia, ch'io non voglio stare con questi bestialacci.
MESS. MACO Io fo per giambo, Grillo, e imparo a essere cortigiano, né ti farò male.
M. ANDREA Ora andiamo, ché impararete Borgo Vecchio, Corte Savella, Torre di Nona, Ponte Sisto e Dietro Banchi.
MESS. MACO Porta la barba, Borgo vecchio?
M. ANDREA Ah, ah, ah!
MESS. MACO Torre de Nona suona anche vespero?
M. ANDREA E compieta, con i tratti de corda! Poi andaremo a Santo Pietro; vederete la Pina, la Nave, Campo Santo e la Guglia,
MESS. MACO In Campo Santo possiamici ire con le scarpe?
M. ANDREA [Io] sÃ, voi altri no.
MESS. MACO Andiam, ch'io voglio mangiare quella pina, e costi ciò che la vuole.
SCENA TERZA
Rosso, solo.
Il mio padrone gaglioffo non crede ch'io sappia perch'egli sta fantastico, ancora ch'io abbia fatto vista non sapere la sua rabbia. Questa notte, andando io a procission per casa, come è mio costume, senti' ch'egli sognando era a le mani con madonna Laura, moglie de messer Luzio, e la chiamava per nome, la maneggiava come se fosse stato vero. Io ho questo secreto, il qual non ho scoperto a persona, e col mezzo de Aloigia specciala, la qual dirò che sia sua baiala, piglierò verso di far credere al signor mio ciò ch'io voglio. Io vado adesso a trovarla, e so ch'e'la corromperÃa la castità . Farà ogni cosa per amor mio.
SCENA QUARTA
Parabolano, solo.
Questo vivere è peggio che morte. Quando io era in minor grado, tutto il giorno il stimulo del salire mi molestava e ora che quasi mi potrei chiamare contento sono assalito da sà pessima febre che niuna medicina mi può sanare, salvo che una che non si compera per oro né per grandezza, perché Amor la vende di sua mano e per prezzo ne vuole sangue, lagrime e morte de' suoi sugetti. Oh Amor, che non puoi tu fare! Molto è maggior la tua possanza che quella della fortuna: ella comanda a gli òmini, e tu gli òmini e gli Dei sforzi. Ella volubile e instabile... E con queste armi feminili e con questo dolermi non acquisterò io chi piú che la vita desÃo; e voglio ire in camera e forse ch'Amore m'insegnerà a sciormi come insegnò [a] legarmi. E potria ancora per me stesso di questi tormenti uscire per industria [di] petra, di ferro, laccio e veneno.
SCENA QUINTA
Flaminio e Sempronio, vecchio.
SEMPRONIO Donque, tu mi consigli di metter Camillo mio figliolo al servizio de la Corte?
FLAMINIO SÃ, se già il tuo figliolo odiassi da inimico.
SEMPRONIO Molto è intristita la Corte al tempo di voi altri cortigiani. Io mi ricordo che quando io stetti con Monsignore Reverendissimo che non era altro paradiso, e tutti eravamo ricchi, favoriti e fratelli.
FLAMINIO Voi vecchi ve ne andate dietro a le regole del tempo antico e noi siamo nel moderno, in nome del centopaia! Al tempo tuo a un servitore di papa Janni era dato letto, camera, legne, candele, cavalcatura, pagato la lavandara, il barbieri, il salario del garzon, e 'l vestito doe volte l'anno; e adesso un povero cortigiano a pena è accettato, [ha] a comprarsi l'acqua e il fuoco, e quando pure pure t'è fatto carezze, te si concede un mezzo famiglio. Or pensa come è possibile ch'un mezzo uomo basti a un intero! Quanto c'è di buono è che se tu t'ammali, ancor che fussi in lor servitú, ti si provede d'un spedale, e con mille prieghi.
SEMPRONIO O che fanno egli de tante entrate?
FLAMINIO A le puttane e ragazzi, o veramente moiono senza cavarsi mai la fame, e poi lasciano quindici o venti milia scudi a tali che non trarÃano una coreggia per l'anima loro.
SEMPRONIO Gran pazzia, però.
FLAMINIO Almen trattassero ben la famiglia! Sai tu come fanno i ribaldoni?
S EMPRONIO Non io.
FLAMINIO Gli hanno imparato a mangiar soli in camera e dicano che 'l fanno perché doi pasti il giorno gli amazza e che la sera fanno colazione leggieri leggieri: e i miseroni lo fanno perché non si trattenghino i poveri virtuosi a la tavola loro.
SEMPRONIO Gran vergogna, per certo, e gran meccanecarÃa.
FLAMINIO Non fu bella quella del Molfetta che, avendo speso el suo spenditore doi baiocchi piú che 'l solito in una laccia, non la volse? Onde certi della famiglia, e cosà lo spenditore, messono tanto per uno e comperòrla e cotta per mangiarla insieme, el bon vescovo, sentito l'od...
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