[Pagina precedente]...IA Grandissima; e non ha mai questa ventura se non un famiglio e un fattore di casa, non per altra cagione che la comodità .
ROSSO Io son pur felice averle dietro, queste femine, e mi stupisco di quei perdigiornate che a vespri, a messe, a stazzoni, al freddo, al caldo, de dà e de notte le seguitano; e se mai per disgrazia in capo a venti anni hanno la posta, poi che con mille disagi e in luoghi sporchi e pericolosi hai spettato prima quattro ore, un tussire, uno sternuto ti rovina del mondo e svergogni lei e tutto el suo parentado. Or ragioniamo d'Orlando. State cosà un pochetto da parte et io farò l'ufficio col padrone.
SCENA TERZA
Rosso, Parabolano e Aloigia.
PARABOLANO El ben venuto, Rosso carissimo!
ROSSO Questa è la balia di quella cosa, cioè, de... tu m'intendi.
PARABOLANO Voi sète quella ch'avete un angelo in governo?
ALOIGIA Servitrice di Vostra Signoria, e Laura mia si reccomanda a quella.
PARABOLANO In ginocchioni vi voglio ascoltare.
ALOIGIA Questo è piú tosto mio debito, parlando con un sà gran maestro.
ROSSO Lievati su e non usare tante spagnolerie e gagliofferie.
ALOIGIA La mia Signora vi bascia le mani e non ha altro Dio di Vostra Signoria; ma io ho vergogna parlarvi con questa gonnellaccia; perdonatemi!
PARABOLANO Questa catena vi la rifacci: pigliate!
ALOIGIA Gran mercè: pur e' non bisognava.
ROSSO Non ti diss'io che 'l fa quel conto a donare cento ducati che faccia un procuratore a robargli? (Io mento per la gola!)
ALOIGIA Io el credo!
ROSSO Egli ci dona l'anno piú veste che non vende piazza Navona. (Oh, pagà ssici il nostro salario, il miserone!) Del mangiare e del bere non ti dico, perché nel suo tinello c'è sempre carnevale. (Anzi Quaresima e siam tutti piú magri che un digiuno! )
ALOIGIA Vi sono schiava!
ROSSO E come egli è conversevole con la famiglia! Tutti gli siamo compagni! (Tanto avessi ei vita quanto fa mai un bon viso a nissuno!)
ALOIGIA Ufficio di gintilomo.
ROSSO Forse che quando accade non ci aiuta del suo favore? Sino al Papa parlerebbe per il minor de la famiglia! (Tant'avessi egli fiato, ché se ci vedessi el capestro al collo non moverÃa un passo!)
PARABOLANO Quel ch'io sono è a comodo de li miei amici, come sa qui el mio Rosso; ma ditemi, di grazia, con che faccia ascolta di me Laura?
ALOIGIA Con faccia imperiale!
PARABOLANO Che ragionamenti fa ella di me, e con che maniere?
ALOIGIA Onorevoli e con maniere di zucchero e di mèle.
PARABOLANO Che promesse fa ella a la mia servitú?
ALOIGIA Magnifiche e larghe.
PARABOLANO Credete voi che la finga?
ALOIGIA A punto!
PARABOLANO Che ne sapete?
ALOIGIA Lo so perché la sta mal di Vostra Signoria, e poi è gintildonna.
PARABOLANO Ama ella altro che me?
ALOIGIA Non, signore.
PARABOLANO Certo?
ALOIGIA Chiaro!
PARABOLANO Che fa ella ora?
ROSSO (È ita a orinare!)
ALOIGIA Maledisce el giorno, che pena un anno a irse con Dio.
PARABOLANO Ch'importa l'irsi con Dio del giorno?
ALOIGIA Gl'importa perché s'ha questa notte a trovare con voi, che gli pare mille anni.
PARABOLANO Veneranda madre mia, degnà tive ascoltarmi vinte parole in secreto.
ALOIGIA Quel che piace a la Vostra Signoria.
PARABOLANO Rèstati qui, Rosso, ch'adesso ritornaremo.
ROSSO In quel punto, ma non con quella grazia.
SCENA QUARTA
Messer Maco e Rosso.
MESS. MACO Che mi consigliate voi ch'io faccia?
ROSSO Apiccati!
MESS. MACO Il Bargello mi cerca per pigliarmi; a torto!
ROSSO. Oh, part'egli non aver cera da fargli onore?
MESS. MACO Conoscete voi messer Rapolano?.
ROSSO Messer Maco! Che abito è questo? Siete voi scappato a fatto?
MESS. MACO Maestro Andrea, che mi menava a le puttane...
SCENA QUINTA
Parabolano, Aloigia, Messer Maco e Rosso.
PARABOLANO Che di' tu, Rosso?
ROSSO Quello scioperato di Maestro Andrea ha condutto el vostro Messer Maco, come poteti vedere, in questi panni.
PARABOLANO Voi sèti Messer Maco?
MESS. MACO Io sono, io sono!
PARABOLANO Accompagna tu, Rosso, qui la mia madre dolcissima, e voi Messer Maco verrete meco in casa, ché mai non so' per perdonare questa a quel tristo, a quel poltrone di Maestro Andrea.
MESS. MACO Non gli fate male, ch'ei si giamba meco, el mio Maestro.
SCENA SESTA
Rosso e Aloigia.
ROSSO Che t'ha ei detto?
ALOIGIA Che sta a l'olio santo. Ma a dirti il vero, io ho scopati tutti i bordelli d'Italia, e al mio tempo non sarÃa stata atta a scalzarmi Lorenzina né Beatrice. Avevo la martora e 'l zibellino. Il zibellino, il papagallo, la scimia e ogni cosa, intendi?
ROSSO E io son stato garzone d'oste, frate, gabellieri, messo, spia, sbirro, boia, malandrino, vetturale, mugnaio, ceretano, in galea e furfante: la mia parte de la catena, e poi concludi a posta tua.
ALOIGIA Io non l'ho detto a malizia, ma quello ch'io vo' dire in mio linguaggio è questo: che de quante ne feci, mai non ebbi cosa che me mettessi a maggiore pensiero che questa, et ho pur qualche anno al culo; e che sia vero, di signora io son tornata a tenere camare locande, a lavare panni e a la cucina e a vendere le candele.
ROSSO Sappi, Aloigia, che ti debbe essere caro ch'io t'abbi messo cotal partito a le mani, perché sarà forse l'ultimo, ché le donne si cominciano a usare poco in Corte, bench'io credo che lo faccino perché [non] potendo toglier moglie togliano marito e cavansi le voglie assai meglio e non dà contro a le leggi.
ALOIGIA A la croce de Dio che ci son di male bestie in la Corte, e vole tu vedere insino a' vescovi, che portano la mitria e non se ne vergognono?
ROSSO Savia sentenzia. Per Dio che 'l tuo confessore doverÃa porti in la predica!
ALOIGIA Tu di' ben; ma io non cerco mondanità , et ho imparato da la mia maestra che vuole prima andare su l'asino che nel bel carro, e manco vole la mitria con le belle dipinture perché non se dicessi pe 'l vicinato ch'ella el facessi per vanagloria. Ma io, parlando, ho trovato la via di contentare Parabolano e salvare noi che lo crucifigiamo.
ROSSO O dimmi come?
ALOIGIA La moglie d'Erculano fornaro è una bonissima robba, e tuttavia ordinarò ch'ella si trovi col signore stanotte, in casa mia. I signori han quel gusto ch'una febbre e sempre se pigliano al peggio, come noi femine; e non è per accorgersi mai de cosà fatta burla.
ROSSO Un bacio! Sta salda, Corona de le Corone de le Reine. Ohimè ch'io mi vedevo a mal partito se tu non ci provedevi! Or son io arcichiaro che 'l mio padrone goffo andrà nel bel di Roma, e noi a salvum me fac. Or noi ci siamo intesi; a rivederci!
SCENA SETTIMA
Flaminio e Valerio.
VALERIO Tu sei entrato in gran farnetico da mezz'ora in qua; ma se tu me crederai, attenderai a servire.
FLAMINIO In effetto io son deliberato mutare padrone, perché disse lo spagnolo che gli è meglio perdere che mas perdere. Oimè, quando io penso che quindici anni l'ho servito né mai mangiò né cavalcò ch'io mancassi in servirlo, e non ho niente, e' mi vien voglia d'annegarmi, e non son però tanto ignorante che fossi gettato via il farmi qualche bene.
VALERIO Questo lo causa la Fortuna, la qual s'ha piacere non solamente di fare ch'un signore indugi a fare bene a un servitore, ma di fare un grandissimo Re di Francia prigion senza proposito niuno.
FLAMINIO Per certo che se i signori volessero, romperebbono questa mala sorte di chi li serve, come fece a questi giorni il nepote d'Ancona, Arcivescovo di Ravenna, che per non esser reuscito un benefizio, che al virtuoso messer Ubaldino aveva dato, tolse mille scudi a interesse e donògnene; e cosà restò guasta la Fortuna.
VALERIO Non se ne trova degli Arcivescovi di Ravenna, si non uno, sai?
FLAMINIO E però voglio irmi con Dio, ch'almeno averò un padrone che mi guarderà in volto una volta el mese e che forse, quand'io gli parlerò, mi risponderà non ch'io sia pazzo e di mia testa, e non m'impegnerò la cappa [e] il saio per cavarme la fame. Odi questa, Valerio: ieri vacò un beneficio che valeva cinquanta scudi. Gli diedi el primo aviso e non volse dirne per me una parola, ma l'ha fatto dare al figliolo de la Sibilla ruffiana.
VALERIO I signori vogliono fare a modo loro, essaltare chi li piace e roinare chi li piace. Qui bisogna votarsi a la buona Fortuna e pigliare el meglio che l'omo può, ch'insomma un che sempre serve non ha mai nulla, e [un che] un dà serve il primo giorno è ricco. Né bisogna però disperarse, perché 'l guadagno de la mercanzia cortigiana sta in un punto non aspettato.
FLAMINIO SÃ, ma questo punto non si forma mai per un disgraziato; e forse che quando andai a stare seco le promesse non fur larghe? Per certo che chi avventa e lancia le parole bisogna poi ch'ei faccia volare i fatti. Ma io muterò padrone.
VALERIO Dove voi tu ire, adesso, ch'è in disordine tutto il mondo? Se vai a Milano, el Duca sta come Dio vole; a Ferrara, quel principe attende ad altro ch'a fare bella corte; a Napoli non ci son piú li Re; a Urbino el signor è anche fastidioso, in disagio per i passati danni. E credi a me, che quando pate la Corte di Roma, patono gli altri ancora
FLAMINIO Anderò a Mantoa, dove la eccellenzia del Marchese Federico non nega el pane a niuno et ivi mi tratterrò tanto che Nostro Signore acconci le cose del mondo, non sol d'Italia; e poi ritornerò, ch'io son certissimo che Sua Santità rileverà la virtú come fece Leon suo fratello,
VALERIO Riparlimi di qui a poco e farai a modo mio, ché te ne trovarai bene. Loda il padrone, e quando egli è in camera, con donna o ragazzo, di' che dice l'ufficio, ch'insomma loro vogliono che s'adorino le bone e le triste opere che loro fanno. Tu sei sciolto de la lingua e vivi a la libera, e in questa maniera non piace né incresce se non il vero.
FLAMINIO Chi fa mal ha bene, Valerio! Pur ti ritroverò e farò quello che meglio mi potrà succedere, benché l'invidia che è sempre visibile per le sale, camere e scale de la Corte, da me non è mai stata veduta. Or pensa s'io son misero; ma l'ho caro, perché non sarò mai causa de la dannazione de l'anima de niuno cortigiano.
VALERIO E gli altri hannola vista in te, l'invidia, ché pur dici che 'l padrone fa bene a chi no 'l merita.
FLAMINIO Io non dico questo per invidia, ma per offendere il poco iudizio suo.
VALERIO A Dio!
SCENA OTTAVA
Parabolano e Rosso.
PARABOLANO È pur dolce cosa amare et essere amato!
ROSSO Dolce cosa è il mangiare e 'l bere.
PARABOLANO Dolce sarà la mia Laura!
ROSSO Per chi la vuole! Io per me fo piú stima d'un boccale di greco che non farÃa d'Angela greca, e vorrei prima una pernice che Beatrice; e se per esser ghiotto se gissi in Paradiso, io sarei a quest'ora in capo di tavola.
PARABOLANO Si tu assaggiassi l'ambrosia che stillano l'amorose bocche, ti parrÃa altra dolcezza trovare che nel greco e ne le starne.
ROSSO N'ho gustato un migliaro e de Lorenzina, Madrama non vuole, e de l'altre favorite e non ci trovai mai altro altro che farfalloni che farÃano stomacare un brigantino.
PARABOLANO Tu simigli le grue a le pernice; abbia rispetto a le gentildonne.
ROSSO Perché, non pisciano come le villane?
PARABOLANO È pazzia, la mia, a parlar teco.
ROSSO Pazzia è la mia a respondervi. E diteme un poco, padrone. Non è piú dolce che l'ambrogie che voi dite, quel mèle che sgocciola da le lingue che sanno dire bene e male? Qui te colgo!
PARABOLANO Ah, ah, ah!
ROSSO Oh, quei sonettini di Maestro Pasquino mi amazzorno e meritarÃano, disse el barbierario, ch'ogni matina se ne leggessi un fra la PÃstola e 'l Vangelo; e al cul de mio... che farÃano arrossire la vergogna!
PARABOLANO Tu sei molto pratico con i poeti.
ROSSO Io fui servitore di messer Antonio Lelio, e so mille galanterie a mente.
PARABOLANO Deh, ragioniamo d'Aloigia; andiam dentro.
SCENA NONA
Messer Maco e Maestro Andrea.
MESS. MACO Maestro Andrea, di dove se viene al mondo?
M. ANDREA Per una fenestra larga larga.
MESS. MACO E che ci si vien a fare in questo mondo?
M. ANDREA Per vivere.
MESS. MACO Come se vive, poi?
M. ANDREA Per mangiare e per bere.
MESS. MACO Io viverò sempre, perch'io mangio come un lupo e bevo come un cavallo. Ma come l'omo ha visso, che s'ha da fare?
M. ANDREA A morire sul buco, come i ragnateli; ma torniamo a Gian Manenti.
MESS. MACO Che fu...
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