[Pagina precedente]...un pezzo sulla poltrona, che era dinanzi al caminetto.
- Che cos'hai fatto?.. - domandò Clarenza, senz'ombra di curiosità , quasiché conoscesse a memoria la risposta.
- Non ne posso più... sono stanco, sfinito. Da stamani in poi non ho avuto un momento di respiro. Cara mia - continuò, passandosi e ripassandosi il fazzoletto bianco dal principio della fronte fino a quattro dita dietro la nuca, sopra una strisciata di cranio lucido e pulito, quasi fosse d'avorio - cara mia! la popolarità , non lo nego, ha le sue dolcezze e le sue grandi soddisfazioni, ma pur troppo è seminata anche di noie e di dispiaceri. Se io avessi un figliuolo, gli direi contentati della modesta oscurità , e non far come tuo padre! Quando un uomo ha fatto tanto di diventar necessario al suo paese, addio pace, addio tranquillità , addio benessere. Per lui non c'è più bene, né giorno, né notte.
- E ora di dove vieni? - domandò Clarenza.
- Esco in questo momento dal Comitato elettorale. Finalmente, se Dio vuole, abbiamo trovato il nostro candidato.
- E sarebbe?
- Il marchese Sorbelli..
- Credevo qualche cosa di meglio - fece la Norina, torcendo un po' la bocca - il marchese non è passato mai per un'aquila.
- Non sarà un'aquila - riprese Federigo - ma però è un uomo di carattere: tutto d'un pezzo. Non l'ho mai sentito dir bene di nessun Ministero!
- Parla bene? - chiese Clarenza.
- No - rispose il marito con la serietà dell'uomo che se ne intende - no: parla piuttosto male: ma legge benissimo: e questo è un gran requisito per un oratore. Voglio fargli un partito...
- Saprai che fra qualche giorno avremo qui Sua Eccellenza!... - disse Clarenza, appoggiando la voce con ironia su quest'ultime parole.
- Lo so, lo so! L'ho visto dai giornali.
- M'immagino che verrà qua per le elezioni?
- Si capisce bene. Un po' per l'elezione e un po' per albagia. Fa tanto piacere di ritornar ministri, nel paese dove siamo nati, e dove per tanti anni siamo stati uomini, come tutti gli altri.
- A proposito dei ministri - interruppe la moglie, con disinvoltura - sai chi abbiamo per ospite in questo momento?
- Chi?
- Il nipote di Sua Eccellenza.
- Mario?
- Lui in persona.
- Sapevo che Mario era qui - continuò Federigo - ma non sapevo che fosse alloggiato in casa nostra.
- Gli ho ceduto il quartiere di Carlo: ho fatto male?
- Hai fatto benissimo; sono avversario politico del ministro: ma voglio bene a quest'altro. Povero Mario!... in questi giorni ha avuto per casa una bella burrasca.
- Come lo sai?
- Ho ricevuto una lunghissima lettera dalla madre dell'Emilia.
- A quanto pare, è stata una cosa seria - disse Clarenza.
- Seria no!... - rispose Federigo - ma poteva diventar serissima. Risulta dai documenti che per ora si trattava semplicemente d'una chiassata... d'un amor platonico...
- Allora è un'inezia! - soggiunse la Norina, facendo colla bocca un certo garbo, come se volesse dire: «non c'è sugo!».
- Un'inezia? - replicò vivacemente Federigo - adagio un poco con quell'inezia!... Bisogna persuadersi, cara mia, che fra l'amor platonico e l'amare... senza Platone, c'è appena la distanza che divide il sigaro dalla cenere.
- Pare impossibile - osservò Clarenza, tenendo gli occhi incantati e fissi verso terra. - Non l'avrei mai creduto!... E la madre dell'Emilia che cosa scrive?
- Mi scrive un monte di cose... Mi scrive, che questa giuccheria avrebbe potuto benissimo restare abbuiata fra le pareti domestiche... ma quel benedetto figliuolo di Mario, credendo di tutelare il proprio onore, ne volle fare per forza una scena da teatro diurno... Mi scrive che l'Emilia è disperata, che non fa altro che piangere giorno e notte... e finisce in fondo col raccomandarsi a me perché veda di trovare il verso di rimettere d'accordo questi due sciagurati.
- Pensaci bene, prima! - disse Clarenza, appoggiando la voce su quest'avvertimento.
- A che cosa?
- Non ti caricare di legna verde. Se fossi in te me ne laverei le mani.
- No davvero: mi ci voglio provare. Se non riesco, pazienza; mi terranno conto della buona volontà . Si è veduto Valerio?
- Valerio? Che deve venir qui? - domandò Norina
- Così mi ha promesso! Ho da consegnargli queste carte... - e Federigo si levò di tasca un involto di fogli e andò a posarli sulla mensola del caminetto: poi, voltandosi verso la giovine cognata, che lo guardava fisso, seguitò sorridendo:
- Sai, Norina, che or ora, tornando a casa, m'è venuta per il capo una curiosa idea?..
- Un'idea? Sentiamola.
- Se io tentassi...
- Male! male... - interruppe l'altra.
- Lasciami finire, che Iddio ti benedica; se io tentassi - si capisce bene a tutto mio rischio e pericolo - di...riattivare le buone relazioni, come diciamo noi altri uomini politici.
- Tempo perso, Federigo! Te l'ho detto mille volte; e oggi te lo ripeto: non mi voglio rimaritare.
- Ne sei sicura?
- Sicurissima.
- Norina! tu fai uno sproposito.
- Pazienza! Maritandomi, ne farei due: uno per conto mio, e un altro per conto di quell'infelice...
- Ma la ragione di questa tua ostinazione?.. - domandò Federigo, quasi riscaldandosi.
- Te la dirò io - soggiunse Clarenza, collocandosi fra il marito e la sorella.
- Sentiamo un poco la celebre indovinatrice! - gridò con bizzosa ironia la Norina. - Peccato che tu non faccia anche i lunari e che tu non venda i numeri per il lotto!...
Clarenza, ridendo della bizza della sorella, si piegò verso l'orecchio di Federigo, sussurrandogli abbastanza forte, per essere intesa:
- Tutto fiato buttato via: la tua signora cognatina ha sempre qualche speranza!...
- Speranza di che?.. Ah! ora capisco! - disse Federigo, in atto di rammentarsi qualche cosa - ma, se non sbaglio, quella oramai è una speranza fallita.
- Un momento - interruppe la Norina, facendosi seria: - dichiaro che io non ho nessuna speranza: ma casomai l'avessi, non vedo perché si dovrebbe chiamare una speranza fallita.
- Dunque non sai nulla?..
- C'è forse qualche cosa di nuovo?
- Mi dispiace doverti dire che il marchesino di Santa Teodora, fino da ieri, è officialmente fidanzato della figlia del console americano.
- Lo sai di certo?
- Di certissimo. Me l'ha detto un'ora fa, alla Borsa, il segretario stesso del Consolato.
Ci furono due minuti di profondissimo silenzio. Poi la Norina, alzando il capo, domandò:
- È bella la sposa?
- Bella no - replicò Federigo - ma un modello di virtù e di dote. Cinquantamila franchi di rendita.
La Clarenza che, vedendo la sorella mortificata e confusa non poteva dissimulare un risolino di consolazione, diffuso per tutta la faccia, disse interrompendo:.
- Io vado a prendere la chiave del quartierino di Carlo. Voglio vedere da me stessa se ogni cosa è all'ordine.
E uscì dalla sala.
Rimasti soli - la Norina e Federigo - quest'ultimo domandò alla sua giovane cognata, che era rimasta quasi interdetta:.
- A che cosa pensi?
- Penso a quella povera disgraziata.
- A chi?
- Alla figlia del console... Secondo me non poteva capitar peggio. Il marchese di Santa Teodora passa per un giovane di spirito, ma in fondo non è altro che un imbecille. Figurati se io lo conosco bene!...
- Sono tutte cose, che io l'ho dette prima di te. Eppure... scommetto che l'avresti preferito a Valerio...
- Domando scusa: fra carattere e carattere non c'è confronto. Valerio è un uomo: e quell'altro è un ragazzo.
- Questo si chiama ragionare! Ah! Norina! Peccato che tu non abbia intenzione di rimaritarti!...
- Chi l'ha detto?
- Io no.
- Nemmen'io.
- Si vede, che non avrò capito bene! - disse Federigo, con accento di falsa mortificazione.
- O forse sono io, che mi sarò spiegata male. Insomma, ho voluto dire che io non intendo di rimaritarmi fino a tanto che non trovo una persona che mi vada a genio.
- Dico la verità : vorrei un po' sapere perché quel povero Valerio ti è tanto antipatico?
- Ho non ho mai detto che mi sia antipatico... dico soltanto, che non mi piace. È troppo serio, troppo sostenuto...
- Ma un'eccellente persona.
- Non c'è che dire: ma suscettibile, permaloso, delicato peggio d'una donna!...
- Eppure - continuò Federigo, accostandosi e insistendo con un certo interesse - eppure, vedi, quantunque tu l'abbia trattato piuttosto male, sono convintissimo che basterebbe una tua mezza parola, perché... si potessero ripigliare le trattative, come diciamo noi altri uomini politici.
- Con un superbiosaccio di quella fatta?... Mi pare un po' difficile.
- A buon conto, Valerio è stato innamorato morto di te... e l'amore, quando è stato di quello buono, è come le malattie di petto, ha la convalescenza lunga. Aggiungi poi che Valerio ha per me della gratitudine... della deferenza... Insomma, per farla finita, io scommetto che avrei accomodato ogni cosa.
- Bada, Federigo. Io, invece, ho una gran paura che ti saresti fatto canzonare.
- Sei contenta che mi ci provi?
- Padrone! Provati pure.
- Ma se, per caso, arrivo a convertirlo, spero che non mi farai fare la figura del Pulcinella.
- Diavol mai! Non son mica una bambina!
In questo mentre, Francesco si presentò sulla porta ed annunziò: - Il signor Valerio.
- A tempo! - disse Federigo.
- Io scappo! - soggiunse l'altra, sottovoce.
- Sarà una vittoria, o un fiasco? Che cosa ti dice il cuore?
- Come c'entra il cuore in queste ragazzate?.. - replicò vivacemente la Norina, e sparì.
Valerio entrò in sala. Era un giovine fra i trenta e i trentacinque anni: di statura mezzana: né bello, né brutto. Parlava adagio, rideva poco, camminava sempre dello stesso passo, e vestiva da un anno all'altro di nero. Queste quattro grandi qualità gli avevano procurato la reputazione di negoziante onesto, il posto di consigliere municipale e il grado di capitano nella guardia cittadina.
- Ecco, Valerio, il nostro piccolo contratto bell'e firmato - disse Federigo, porgendogli il quaderno che aveva posato, un quarto d'ora prima, sul caminetto.
- Andava bene? - domandò l'altro.
- Egregiamente.
- Ora, signor Federigo, non mi resta altro che ringraziarvi del vero favore che mi avete fatto.
- Di quale?
- Di avere acconsentito a rimanere per una piccolissima parte interessato nella mia casa commerciale.
- Si capisce bene, che è un segreto fra noi due. Io non voglio comparire in nulla, né impicciarmi di nulla.
- A me, mi basta di sapere che siete mio socio. Ecco la gran parola, la quale, se non foss'altro, mi pare che debba portarmi la buona fortuna.
- Oggi non siamo che soci di commercio! - soggiunse Federigo, pigliando a braccetto l'amico. - E dire che avremmo potuto essere qualche cosa di più!... fors'anche parenti!...
- La colpa non è stata mia.
- Non ci confondiamo. c'è stata un po' di colpa da tutte e due le parti. Ma nulla di serio: il gran nulla. Tant'è vero che io ho creduto sempre - e lo credo anch'oggi - che con un po' di buona volontà si potrebbe ristabilire l'entente cordiale, come diciamo noi altri uomini politici.
- Impossibile! Assolutamente impossibile!...
- E perché?
- Facciamoci a parlar chiari, signor Federigo. Io non sono più un ragazzo. Sono un uomo. La mia dignità personale non mi permette di far simili figure. No, no: quando abbiamo presa una risoluzione - bisogna che sia quella. Caso diverso, che cosa dovrebbe dire il mondo di me?
- Benedetto questo mondo! Lasciatelo dire: eppoi finirà col seccarsi la gola.
- Non posso!
- Ma perché?..
- Perché?.. Ci sono certe cose che si sentono, e che non si possono ridire colle parole. Questi pentimenti, questi ritornelli sono perdonabili nelle persone leggere, negli uomini di poca conseguenza. Quanto a me, vi confesso il vero, mi parrebbe di diventar ridicolo; mi parrebbe di far la parte di Don Fulgenzio negl'Innammorati di Goldoni.
- Che ostinato!
- Avete ragione: mille ragioni. Disgraziatamente il mio carattere è di quelli che si spezzano, ma non si piegano. Piuttosto soffro: mi rodo dentro di me; ma una debolezza, una ragazzata, mai!
- Mi dispiace. Proprio mi dispiace!
- Dispiace anche a me: ma, ve lo ripeto, la colpa non è mia: la colpa è tutta della signora Norina...
- E con qual diritto il signor Valerio si permette di giudicare le mie azioni? - domandò la Norina, entrando i...
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