[Pagina precedente]...e colle spalle voltate al muro.
- Prima di tutto, che cosa fai costassù per aria? -
- Nulla... - soggiunse l'altra, che non trovava le parole per rispondere. - voleva vedere da vicino questa Niobe.
- Brava! E per vederla meglio hai abbassato il lume.
- Che cosa dicevi della Bettina?...
- Dicevo che scommetterei che sei stata tu che me l'hai mandata in camera.
- Ebbene, sono stata io..., io in persona: e per questo?.. - disse Clarenza, scendendo dal canapè e andando a rialzare il lume.
- Allora vorrei sapere perché quell'imbecille si mette a far la diplomatica, la furba, la misteriosa...
- Non capisco.
- Figurati, che è venuta a picchiarmi nell'uscio. Che cosa vuoi?, le domando. Niente, mi risponde, voleva sapere se stava bene. Allora ho mangiato la foglia, e ho detto subito: qui c'è sotto qualche cosa...
- E, com'è naturale, sei corsa subito in punta di piedi... per vedere... per bracare... Chi lo sa che cosa ti sarai immaginato!
- Che cosa vuoi tu che m'immaginassi? Nonostante - seguitò la Norina, con un risolino impertinentissimo - mi ha fatto davvero una gran consolazione di vedere che tu ami la pittura, e che per goderla meglio, sei anche capace di montare sulle sedie e sui canapè, come fanno i ragazzi.
- Ah! se io fossi una gran signora - replicò Clarenza, facendo finta di non capire l'ironia maliziosetta di quelle parole. - Ah! se io fossi una gran signora, tappezzerei tutte le mie stanze di quadri.
- Io no: le tappezzerei di stoffa e di raso. È più pulito, e costa meno. I quadri mi piacevano da ragazza. Ti rammenti di quel Mosè sul Sinai, che nostro padre teneva nello studio? Anch'io, tutte le mattine, prima che lo studio si aprisse, avevo preso il vizio di montare sopra una seggiola per vedere il Mosè più da vicino. Ma sai perchè? perché dietro la cornice del quadro ci trovavo per il solito qualche lettera dimenticata.
- Adagio un poco cogli scherzi, Norina - disse Clarenza, facendosi seria, - ti prego a credere che dietro la Niobe non c'era nessuna lettera.
- Lo credo bene, e quand'anche ci fosse stata, tu avresti avuto abbastanza giudizio per non lasciarla lì col pericolo che andasse nelle mani degli altri!
Le due sorelle si guardarono in faccia: e dopo essersi squadrate ben bene da capo ai piedi, finirono tutte e due col dare in una grandissima risata.
- A proposito dei propositi. E Valerio ha risposto? - domandò Clarenza, per mutar discorso.
- Volevo vedere anche questa che non rispondesse.
Alle otto precise sarà qui, per accompagnarci al teatro.
- Povero Valerio: è il più buon diavolo di questo mondo.
- Fa il suo dovere, e nulla più.
- E tu non hai ancora deciso nulla?..
- Per ora no. Non ho nessuna fretta di rimaritarmi.
- Dimmi: spereresti per caso che il matrimonio di quella persona - (e Clarenza accompagnò la parola con un curioso balenìo degli occhi) - andasse a monte una seconda volta?...
- Io non ho bisogno di confessarmi. Dico soltanto che i casi sono più delle leggi... e che finché c'è fiato c'è speranza. Lo vedesti l'altra sera? Era in un palco quasi di faccia al nostro, con tutti i suoi futuri parenti... Non mi levò mai i cannocchiali d'addosso. E anche stasera la famiglia del console c'è di certo in teatro: il martedì e il giovedì non manca mai.
- E tu lo inviti per farti accompagnare?.. Ah? permettimi che te lo dica; è una cosa che non sta bene e ti fa grandissimo torto. Perché lusingarlo? Perché metterlo in mezzo? perché fargli fare, a sua insaputa una meschina figura? O non sarebbe meglio parlargli francamente e rendergli la sua libertà?..
- Sei curiosa! Sono forse io che lo tengo?
- Parliamoci francamente; tu non gli vuoi bene.
- Non è vero neanche codesto. Per voler bene, gli voglio bene...
- Sì, sì; ma non è di quel bene, come mi intendo
- Hai ragione: è un altro bene... per esempio, sul genere di quello che tu vuoi a Federigo.
- Norina! - disse Clarenza, facendo il cipiglio - Intendiamoci una volta per tutte; su questo non accetto scherzi.
- Calmati, Clarenza, calmati.
- C'è poco da calmarsi. Un altro discorso simile, e ci guastiamo per sempre; o fuori di casa tu, o fuori io.
- Vieni qua da me e sii buonina - replicò l'altra, passando affettuosamente il braccio intorno alla sorella. - Perché ci dobbiamo guastare? Perché s'ha da far la commedia, quando siamo a quattr'occhi? Pensaci un poco sopra e rispondimi; credi tu che per due donne come noi, colle idee e col carattere che abbiamo e con l'educazione che ci hanno dato in casa, credi tu davvero che Federigo e Valerio fossero gli uomini più adatti per essere i nostri mariti?
- Non ti occupare di me; parla piuttosto per conto tuo.
- Ebbene, parlerò per conto mio e ti confesserò francamente che può darsi benissimo che io finisca collo sposare Valerio: ma, Valerio non è il mio ideale.
- Dicevi lo stesso del tuo povero Ernesto. Me lo ricordo come se fosse ora.
- Ernesto era un angiolo: ma bisogna convenire che aveva un gran difetto: un difetto insoffribile. Impiegato fin da ragazzo ai telegrafi, gli si era attaccato il vizio del proprio impiego. Parlava pochissimo, e quando diceva qualche cosa pareva di sentire un dispaccio telegrafico. Mi rammento sempre di quella famosa sera di quando mi fece la sua prima dichiarazione. «Signora Norina» mi disse «io vi amo; sono onesto: telegrafista; risoluto accasarmi. Desidero conoscere vostre intenzioni». Che burla! mi aspettavo sempre che dicesse «risposta pagata!».
- Povero Ernesto! Come morì giovane!...
- Pur troppo! ma era tanto infelice! Del resto, sì: se io fossi padrona di scegliere, non mi vergogno a dirlo, sceglierei sempre per marito un uomo del genere del marchese di Santa Teodora. Un po' scapato, un po' leggero, un po' rompicollo!... ma tanto simpatico. Non ti pare che abbia molta somiglianza coll'Artagnan dei Tre Moschettieri?
- Gua'; tutti i gusti son gusti!... - disse Clarenza, stringendosi nelle spalle.
- E questo - soggiunse l'altra - sia detto per conto mio; ora poi per conto tuo ti dirò...
- Non voglio saper nulla!...
- Federigo, non c'è che dire, è la più brava persona...
- Basta.
- Ma per te, per il tuo carattere ci sarebbe voluto...
- Basta, ti dico.
- Ci sarebbe voluto un uomo del genere...
- Basta! basta! basta. Mi sono spiegata, sì o no?
- Eh! quanto chiasso. Non aver paura, non ti dico altro! - e andandosene, borbottò fra i denti «Son venuta qui con un mezzo dubbio, e me ne vado con una mezza certezza. Meno male che ho pensato a rimediarci per tempo!...».
- Che la Norina si sia accorta di qualche cosa? - domandò a se stessa la Clarenza, quando rimase sola. - Non ci mancherebbe altro... Ho addosso una smania... una inquietudine, che mi fa battere il cuore e le tempie! Ma perché non piglio una buona risoluzione per tempo? Tant'è: oramai ne son convinta... lui è più forte di me... quel diavolo tentatore esercita sul mio spirito una malìa irresistibile. Non sono più padrona di dirgli una parola o di guardarlo in faccia, senza sentirmi il viso che mi prende fuoco. Quando è in casa, non vedo il momento che vada fuori... Quando è fuori sono agitata, pensierosa, di malumore... fino a tanto che non è tornato a casa...Infame d'un uomo!... eppoi ha il coraggio di lagnarsi di Giorgio, perché tradì l'ospitalità dell'amico! E lui non farebbe anche peggio?.. Ma... ma c'è un caso, signorino bello; io non sono l'Emilia! oh! si persuada pure che io non sono l'Emilia. Animo, animo. Qui ci vuole una gran risoluzione: una risoluzione eroica, e senza mettere tempo in mezzo. Intanto cominceremo dal bruciare questa lettera, senza leggerla. Ho fatto male a leggere le altre... ma questa deve andare sul fuoco.
E a Clarenza si voltò risolutamente verso il caminetto, e fece l'atto di gettar la lettera: ma poi si trattenne, pensando:
- E se sentissero l'odore del foglio bruciato? La Norina è così sospettosa! Dio, che cosa penserebbe. È meglio strapparla, sì: è meglio strapparla... Ecco fatto: così non ci si pensa più!
E la lettera, divisa in due pezzi, rimase fra le dita della Clarenza.
- Mi dispiace di non aver guardato la data. Voleva almeno sapere se la lettera era scritta d'oggi o d'ieri. Guardiamo se fosse possibile di raccapezzare il giorno.
E così dicendo, riunì alla meglio insieme i due pezzi lacerati della lettera.
Mentre Clarenza cercava cogli occhi la data, le venne fatto di posar gli occhi su queste parole:
- «Adorata Clarenza!».
- «Adorata»!... sfacciato che non è altro. È la prima volta che si prende con me una simile confidenza. E quaggiù che cosa dice?
- «Sono stanco di vedermi trattato con tanta crudeltà».
- Se è stanco, tanto meglio: sono stanca anch'io, e così ci troviamo perfettamente d'accordo. Ma la data? È un'ora che cerco la data e non mi riesce di trovarla. Vediamo un poco -. E Clarenza seguitò a scorrere coll'occhio la lettera, e, con visibile agitazione, lesse fra i denti:
- «Sono stanco di vedermi trattato con tanta crudeltà. Vi ho supplicato mille volte per ottenere da voi dieci minuti... dieci minuti soli di libertà, per un colloquio intimo...».
- Cucù! - fece Clarenza, interrompendosi - io non sono mica l'Emilia! Caro signor conte, per questa volta avete sbagliato - poi continuò a leggere.
- «Clarenza! se è vero che non sapete il modo di procurarvi questi dieci minuti di libertà, permettetemi che ve lo suggerisca io. Stasera avete fissato di andare al teatro. Non potreste lasciarvi andare vostra sorella e trovare una scusa per rimanere in casa? dubitereste forse di me? Io credo di meritarmi la vostra fiducia, ed è appunto un atto di fiducia quello che vi domando. Se voi me lo negate, io non son degno di rimanere un'ora di più in questa casa, e faccio giuro a Dio (che vede il candore della mia intenzione) di andarmene questa sera medesima».
- Dio volesse - disse Clarenza, gettando i pezzi della lettera nel fuoco. - Almeno così sarò fuori d'ogni pericolo! Così potrò riacquistare la pace e la tranquillità, che ho perduta. Ma se ne anderà davvero? Dovrò starmene alla sua promessa, al suo giuramento? No, no: a scanso di pentimenti, è meglio che ci provveda da me e subito.
E suonò il campanello.
- Dov'è il padrone?
- È nel suo studio col marchese Sorbelli - rispose la Bettina.
- Che cosa fanno?
- Urlano e strillano come due calandre.
- Ebbene: quando avranno finito d'urlare, dirai a Federigo che passi da me: ho bisogno assolutamente di vederlo: hai capito?..
- Buona notte, Clarenza - disse Federigo, entrando in sala col cappello in capo e il paletot infilato addosso, in atto di uscir di casa.
- Giusto te! Dove scappi con tanta fretta?
- C'è giù, in carrozza, il marchese Sorbelli, che mi aspetta. Ho promesso di presentarlo stasera al nostro piccolo Comitato elettorale. E tu e la Norina che cosa fate? Andate dunque al teatro?
- Credo di sì: Valerio almeno ha promesso di venirci a prendere.
- Oh! se ha promesso non vi manca di certo.
- Volevo dirti una cosa.
- Dopo il teatro, se non ti dispiace. Oramai c'è il marchese che mi aspetta, e non voglio fare aspettare. È una cosa d'urgenza.
- Ti sbrigo in due parole. È indispensabile, assolutamente indispensabile che Mario domani se ne vada di casa nostra.
- Clarenza! ci sarebbe forse qualche cosa? - domandò Federigo, turbandosi e guardando in viso sua moglie.
- Il signor marchese lo attende - disse la Bettina, affacciandosi sull'uscio di sala.
- Vengo subito. Clarenza raccontami tutto francamente.
- E perché ti allarmi così.
- Ma dunque che cosa è stato?
- Nulla, nulla, il gran nulla.
- Voglio saper tutto.
- E io ti dirò tutto. In questa casa ci sono due donne...che non sono né vecchie né brutte... Il paese è pettegolo: e io non voglio ciarle intorno casa.
- Dimmi... forse la Norina?..
- Io ti ripeto che non voglio ciarle: e Mario, al più tardi domattina deve uscire di casa nostra.
- Bisognerà dirglielo con buona maniera.
- Con buonissima.
- O non potresti dirglielo tu? - domandò Federigo a sua moglie.
- Io no!
- Ma chi è che ha messo Mario in casa nostra?
- Io.
- E tu, allora, licenzialo.
- Nossignore: è una parte che tocca a te.
- Ma perché tocca a me?
- Oh! bella!... parla... perché tu s...
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