[Pagina precedente]...a certi segni particolari, che la bambina, fatta grande, avrebbe avuto degli occhi bellissimi e una quantità di capelli straordinaria - come suo padre!
Da quel giorno in poi, Leonetto e la marchesa Ortensia ritornarono buonissimi amici, come prima; e quel galantuomo del marchese, riacquistata un po' di tranquillità in casa, e detto addio alla politica (il paese non era ancora maturo per lui), si dedicò interamente allo studio del filugello, proponendosi di sciogliere il problema, se durante la malattia del seme, si potesse ottenere dal baco da seta almeno del cotone di primissima qualità !
Quanto alla Clarenza e all'Emilia, la commedia durò per quasi un anno: si scrivevano di tanto in tanto; si baciavano per lettera - ma, in sostanza, fra di loro non si potevano soffrire.
Venne finalmente un bel giorno, in cui la moglie di Federigo cessò improvvisamente ogni relazione e ogni corrispondenza amichevole colla contessa - e la ragione, a quanto pare, fu questa.
La Clarenza era venuta a sapere che Giorgio - quel Giorgio delle bagnature e dell'amor platonico coll'Emilia - per un seguito di combinazioni (tutte combinazioni, l'una meno combinazione dell'altra) aveva nuovamente riattaccato il cappello in casa di Mario.
Questo fatto, la stomacò (sono sue parole testuali); tant'è vero che parlandone a quattr'occhi con suo marito, era solita dire facendo colla bocca un atto di disgusto ineffabile: - Non mi fa meraviglia dell'Emilia, l'Emilia oramai è... quel che è! Chi davvero mi sorprende, è Mario!... E io che lo credevo un uomo d'onore!... Che roba!... che roba!...
Accadde in questo tempo che, una sera, Mario, arrivando da Genova, andò tutto pallido e trasfigurato a bussare alla casa dell'amico Fabiani.
Cos'è, cosa non è, alla fine Federigo poté capire che il conte, avendo giuocato pazzamente alla Borsa, si trovava dinanzi a un pauroso dilemma (pauroso, s'intende bene, in modo molto relativo!) vale a dire, o pagare - o far la figura del giuocatore onorato... che non paga i suoi debiti di giuoco!...
Federigo, che per date e fatto di Mario, si era trovato nominato cavaliere - poi sindaco - e che, per l'assistenza del medesimo santo, si sentiva già in odore di grand'ufficiale o di commendatore, proclamò il gran principio, che «l'amico all'occorrenza, deve sacrificarsi per l'amico», e il giorno dopo, col portafoglio pieno di fogli di Banca, partì per Genova, dicendo al conte: «Aspettami qui; al mio ritorno, ti dirò tutto, e aggiusteremo ogni cosa fra noi due!».
La consolazione di Mario, in quel momento, fu tanta e tale, che non potendo resistere a un impulso del cuore, gettò le braccia intorno al collo dell'amico, e lo baciò ripetutamente, bagnandogli le gote con qualche lacrima di profonda e incancellabile riconoscenza.
Federigo credeva di trattenersi a Genova un giorno o due, tutt'al più; invece si trattenne quattro. Quando ritornò a casa, la prima cosa che disse a Mario fu questa:
- Tutto è accomodato!. - ed era allegrissimo e soddisfatto, come se si fosse trattato di cosa sua.
Il conte, forzato da circostanze imperiose, dové partire la sera stessa.
Nell'atto di congedarsi e di uscir fuori dalla porta di casa, la Clarenza gli sussurrò, con un certo accento di voce e con una certa guardata d'occhi, che davano molto da pensare: - Appena arrivato, rammentati di scrivermi subito!...
Federigo, che per prudenza doveva essere un poco più distante, e che invece, per una inavvertenza imperdonabile, si trovava molto vicino, intese quelle parole, o almeno gli parve d'intenderle; - il fatto sta che, ripensandoci su, non poté chiudere un occhio in tutta la notte!
Meno male che la sera dopo andò a letto alle dieci, e si svegliò la mattina seguente a mezzogiorno preciso!