[Pagina precedente]...to il medesimo tetto... Il fiore, per ora, ha resistito a tutte le tentazioni: ma se la sua virtù lo abbandonasse? Venite subito qua, conclude l'autore della lettera; la vostra presenza metterà giudizio alla farfalla: e così salverete l'onore del fiore e la tranquillità di quel buon uomo del giardiniere... Anzi mi ricordo benissimo, che, invece di giardiniere, c'è scritto gardinere, senza l'i.
- Gardinere? - ripeté la Norina impermalita. - Mi pare impossibile!
- Cioè?
- Voglio dire - soggiunse, ripigliandosi in tempo - mi pare impossibile che il signor Folletto non sappia che c'è bisogno dell'i per scrivere giardiniere. Sono i primi principii della lingua italiana, che sappiamo tutti a memoria come l'Avemmaria.
- Sia favola o storia? - domandò l'Emilia, senza perder d'occhio la fisonomia delle due sorelle. - che cosa ne dici, Clarenza?..
- Per me è tutta una favola - rispose la moglie di Federigo, studiandosi di dissimulare l'agitazione che aveva addosso. - Ma, bada! potrebbe anche darsi che ci fosse un po' di storia.
- Nessuna di voi si è accorta mai di nulla?..
- Di nulla! proprio di nulla! - replicarono all'unisono le due sorelle.
- La credo una favola anch'io! - continuò a dire la contessa. - Più ci penso, e più mi pare impossibile che Mario potesse esser capace... specialmente ora... in questo momento...
- Per codesto, cara mia, io credo gli uomini capaci di qualunque cosa... fuori che d'una buona azione! - disse Clarenza con l'accento della bizza mal repressa.
- Con tutti i vostri discorsi, mi fate far la mezzanotte in casa! - soggiunse la Norina, contentissima di poter interrompere una conversazione, che minacciava di diventar pericolosa. - Io vado al teatro. Vuoi venire anche tu? - domandò all'Emilia.
- In quest'arnese da viaggio?
- Stai benissimo.
- Ebbene, verrò al teatro anch'io. Così la serata passerà più presto.
- Addio a poi, Clarenza! - disse la Norina, mettendosi la mantiglia sulle spalle.
- Come! tu rimani in casa? - chiese la contessa con un accento di curiosità singolarissima.
- Sì rimango in casa. Non mi sento benissimo.
- Ti senti male? Oh povera Clarenza! In questo caso, non vado al teatro neanch'io! Voglio restare a farti un po' di compagnia.
- Ti prego, Emilia, non far complimenti con me!
- Ti dico che non vado!
- Bada, ti annoierai. Debbo avvertirti che quando mi prende questo maledettissimo dolor di capo, ho bisogno di dormire almeno un par d'ore.
- Dormi pure. Dormirò anch'io! Ne ho tanto bisogno. Figurati che mi sono alzata alle otto!...
- Fai come credi!...
- Eppoi... te ne voglio dire un'altra: qui, nel cuore, ho un presentimento curioso! Lo so da me che è una scioccheria, una cosa senza senso comune... ma pure mi son messa in capo che Mario... debba tornare a casa da un momento all'altro.
- Se ti dico che è partito!...
- Avrà detto di partire... ma poi è così sfatato!... Chi ti dice a te che non abbia fatto tardi?
- Dov'è, dov'è questa signora Emilia? - gridò Federigo, entrando in sala e andando a stringere la mano alla contessa.
- Come avete saputo del mio arrivo?..
- Quella buona donna della Bettina! Appena sono entrato in casa, la Bettina mi ha detto: sa, cavaliere, chi è arrivato?
- Cavaliere!... - domandò l'Emilia in atto di rallegrarsi.
- Per carità , contessa, chiamatemi Federigo, come mi avete chiamato finora! o ci guastiamo. Peccato del resto che siate arrivata un po' tardi.
- Tardi?.. e perché? io spero, invece, di essere arrivata in tempo... almeno non voglio perder quest'illusione! - soggiunse l'altra con quel fare sbadato della persona che parla a caso: e nello stesso tempo lanciò alla Clarenza un'occhiata rapidissima, che parve uno di quei baleni di luce, prodotti da un piccolo specchio agitato sotto uno spiraglio di sole.
- Un'ora più presto - continuò Federigo - e avreste trovato Mario in casa. Ormai per questa sera ci vuol pazienza.
- E quando ha detto di tornare?..
- Forse, domani, col treno di mezzogiorno.
- È proprio partito?
- L'ho accompagnato io fino alla stazione: o per dir meglio, li ho accompagnati tutti e due, lui e il ministro.
- E avete aspettato che il treno partisse?
- No!
- Allora, ho sempre una speranza!
- Avrei aspettato volentieri, ma quel benedetto uomo di Mario ha cominciato a dire che l'aria era rinfrescata, e che io avrei fatto bene a venir subito a casa a mutarmi di vestito.
- È così pieno d'attenzioni mio marito, alle volte!
- A proposito di attenzioni, sapete che il vostro Mario mi ha fatto stasera una di quelle birichinate, che me ne ricorderò per tutta la vita!
- Che cosa vi ha fatto?
- Sentite, e giudicate voi se non passa quasi il limite dello scherzo. Appena uscito di casa, un'ora fa, siamo andati alla Locanda Maggiore, dove era albergato il ministro. Premetto che io gli aveva dichiarato anticipatamente che in nessun modo volevo esser presentato a Sua Eccellenza. Avevo le mie ragioni per serbare questo contegno e basta. È tutta una questione di principii, e coi principii non si scherza! Giunti che siamo alla locanda dico a Mario. «Vai pur tu, e fai tutto il tuo comodo: io ti aspetto qui fuori, passeggiando e pigliando una boccata d'aria.». Dopo pochi minuti, che ero lì sulla porta dell'albergo, eccoti che scende le scale un giovine, pulitamente vestito, il quale, presentandosi a me e titubando, mi dice: «Scusi: è il cavaliere Fabiani?». «Per ubbidirla» rispondo io. «Cavaliere! il signor ministro la prega di salire un momento da lui». «Grazie... non posso davvero... eppoi in questo abito». «Io la prego, cavaliere, da parte di Sua Eccellenza». «Un'altra volta... stasera è impossibile». Insomma, cavaliere di qui, cavaliere di là , cavaliere di sotto, cavaliere di sopra, ho dovuto arrendermi, e ho finito col rassegnarmi a salire le scale della Locanda Maggiore. Quelle scale saranno sempre il più gran rimorso della mia vita!
- Se indugiamo dell'altro - disse la Norina, alzando la voce - vedo bene che arriveremo a commedia finita.
- Io son pronto - replicò Valerio, infilandosi i guanti.
- E voi, Leonetto, ci accompagnate? - domandò la sorella di Clarenza.
- Sarei venuto volentierissimo anch'io: ma per l'appunto sono impegnato. Bisogna che fra un quarto d'ora mi trovi al municipio.
- Qualche matrimonio forse? - domandò Federigo.
- Precisamente - rispose il giornalista. - Sono testimonio alle nozze del marchesino di Santa Teodora con miss Edwige Clarence, la figlia del console americano.
- Stasera?.. proprio stasera? - chiese la Norina con una vivacità appassionata, che non seppe dissimulare.
- Fra una mezz'ora - replicò Leonetto.
- Sia ringraziato il cielo! - sclamò la furba vedovella, mutando istantaneamente di fisonomia, e diventando tutta tranquilla e sorridente. - Sia ringraziato il cielo! e ora ditemi un poco, signor Valerio, vi pare che le vostre paure fossero ragionate?
- Compatitemi, cara mia, sapete bene che chi ama, teme.
Intanto nelle stanze d'ingresso si udì una voce d'uomo, e un rumore di passi.
- Possibile! - gridò Federigo - ma se non sbaglio, questa è tutta la voce di Mario.
- Finalmente!... - disse il conte precipitandosi in sala, e correndo ad abbracciare sua moglie: - Questa è stata proprio una combinazione fortunata!... Pareva proprio che il cuore me lo dicesse!...
- E io che, a quest'ora, ti credevo già arrivato a San Giusto!...
- Debbo ringraziare il caso: il caso, stasera, è stato il mio angelo tutelare: figurati che mio zio ed io eravamo già entrati in vagone: la macchina soffiava: il treno stava per partire: quand'io mi accorgo, a un tratto, di aver dimenticata la sacca da viaggio nel caffè della stazione. Salto in terra, e corro verso il caffè... la sacca era sparita. «Chi ha preso la mia sacca?». «L'ho consegnata ad una guardia» risponde il caffettiere. «E dove me l'avrà portata?». «Forse nella stanza del capostazione». E via di corsa nell'ufficio del capostazione. L'ufficio era chiuso. Busso, chiamo, bestemmio... finalmente... la porta si apre... prendo la sacca... e torno in cerca del vagone... ma in quel momento la macchina fischia, il treno si muove... e io...
- E tu, com'è naturale, corri subito a casa, sapendo che qui ti aspettava... tua moglie...
- Non lo sapevo, di certo, ma ti giuro che me l'ero figurato - replicò Mario con quella naturalezza che acquista l'uomo quando ha imparato a dire la bugia collo stesso candore della verità .
- E ora che cosa facciamo? - domandò Federigo, consigliandosi colla conversazione sul modo migliore di passare il rimanente della serata.
- Propongo una cosa - disse Clarenza: - andiamo tutti al teatro.
- Io non ci vengo davvero - rispose la Norina con aria svogliata. - Oramai è tardi!
- C'era forse qualche commedia nuova? - domandò l'Emilia.
- Nuova? Non lo so. Ho visto sui giornali che stasera recitavano i Ragazzi grandi.
- Allora ho capito - disse Leonetto, sorridendo - è una commedia vecchissima, ma diverte sempre.
Il giorno dopo, il conte Mario e sua moglie, dovevano partire, giusta il loro fissato, per un lungo viaggio (un viaggio almeno di un anno, così dicevano i patti della riconciliazione) attraverso ai principali paesi della Germania.
Ma la contessa, per buona fortuna, fece osservare che era di venerdì: e le persone prudenti debbono scansare di mettersi in viaggio, nel giorno più funesto di tutta la settimana!
Concordi su questo punto, i due coniugi, invece di prendere il volo per Vienna, stimarono ben fatto di tornare per qualche giorno in famiglia - e la sera stessa partirono alla volta di Genova.
Il cerimoniale degli addii fu cordialissimo - e qualche volta commoventissimo.
La Clarenza, colto un frattempo, disse piano al conte, ridendo tutta contenta: - Povero Mario?... vi ho dato una bella lezione!...
- A me?
- Voglio sperare che non ve ne sarete avuto a male.
- E potrete credere, Clarenza, che sarei stato capace?.. Ah! no, mille volte! la mia adorazione per voi aveva un limite sacro, inviolabile... l'amicizia per Federigo!
E Clarenza e il conte, in quel momento, parlavano in buona fede e credevano tutti e due di dire la verità .
Valerio com'era facile a prevedersi, finì collo sposare la Norina... per più motivi, e specialmente per far vedere che era un uomo di carattere serio, e non già un ragazzo - mentre la Norina, dal canto suo, si compiaceva di raccontare alle amiche intime (e tutte le amiche diventano amiche intime per una donna che ha bisogno di far sapere un segreto), si compiaceva, dunque, a raccontare che se avesse voluto, avrebbe potuto sposare il marchesino di Santa Teodora; ma che, invece, per dar retta al cuore, si era sacrificata (sic) e aveva fatto un matrimonio d'inclinazione.
Leonetto, il giornalista, innamorato fino agli occhi di Armanda - forse appunto perché dapprincipio ne aveva detto moltissimo male - l'avrebbe sposata anche subito - ma non osava farlo, per paura della marchesa Ortensia.
Per buona sorte la Provvidenza (si vede proprio che c'è una provvidenza anche per quelli che pigliano moglie), si recò a visitare la marchesa, sotto la forma di una bronchite acuta: e il giornalista, profittando della favorevole occasione, condusse dinanzi al sindaco quella fanciulla adorata, che il cielo manifestamente aveva creata apposta per lui.
Quando la notizia si divulgò per il paese, la Sorbelli, ch'era già in via di guarigione, dissimulò con disinvoltura il proprio risentimento. Il marchese, invece, andò su tutte le furie. Il pover'uomo non sapeva capacitarsi, come mai un amico suo di casa, come Leonetto, avesse potuto meditare e concludere un matrimonio, senza dirne prima una mezza parola almeno alla marchesa - alla marchesa che aveva fatto tanto per lui!
Dopo nove mesi, Armanda dié alla luce una bambina - alla quale Leonetto volle per forza che fosse imposto al fonte battesimale il nome di Ortensia.
La cosa dispiacque vivamente alla giovine madre: ma fece piacere alla Sorbelli, la quale, appena riseppe quest'episodio intimo di famiglia, dismesse il suo contegno fin'allora freddo e riservatissimo, e andò a far visita alla puerpera, parlandole per mezz'ora dei grandi pensieri della maternità e prognosticando d...
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