[Pagina precedente]...ciate a dirne bene.
- La verità, sempre la verità!
- Mi fate una rabbia!...
- Ma il panegirico non è ancora finito. Armanda è istruita, di belle maniere, di un'educazione connpitissima. Parla l'inglese e il francese perfettamente. Quando sta al pianoforte, ha la grazia di Chopin, la mano di Fumagalli, il sentimento di Dohler. Canta le cose di Schubert e di Gordigiani con un garbo inarrivabile. Sa tutto Byron a memoria. Disegna, ricama, monta a cavallo... insomma vi dico che nel complesso è una di quelle care donnine che io darei volentieri per moglie a mio fratello minore - se avessi un fratello.
- E la vedete spesso?
- Quasi tutti i giorni. La sua casa è per me un piede-a-terra, un simpatico rifugio dalle noie della politica...
- E dalla seccatura della marchesa Sorbelli.
- Per carità, dite piano, che non vi senta. Ha l'orecchio disgraziatamente così squisito!
- Avete paura, eh? - disse la Norina, ridendo. - Per altro, vi compatisco: la marchesa non è una donna... è un uomo!
- Non è nemmeno un uomo... - replicò Leonetto sottovoce - è un dragone. Quando la natura le dette i baffi, sapeva quello che faceva.
- Se vi sentisse, sarebbe capace di mangiarvi!...
- Povero amico - interruppe Mario in tuono scherzoso - non ci mancherebb'altro che tu ti dovessi trovare nel brutto caso d'essere inghiottito vivo!
- Non ti nascondo - rispose l'altro - che mi dispiacerebbe moltissimo a far da Giona in corpo a quella balena.
- A proposito - disse Clarenza - prima che mi passi di mente vi avverto, signor Leonetto, che oggi siete a pranzo da noi. Accettate?
- Con tutto il piacere.
- È un regalo che faccio al signor conte Mario.
- Sempre il tipo della cortesia, quella amabilissima Clarenza - replicò il conte, inchinandosi con galanteria.
- Domani sera, poi, faremo un po' di musica. Badate, Leonetto, di non mancare, sapete bene che siete necessario, indispensabile. Vi presento il primo tenore assoluto della nostra piccola Filarmonica di famiglia - disse la moglie di Federigo, volgendosi a Mario, e indicando il giornalista.
In questo punto, si udì la voce grave e sonora.
- Eccola - disse Leonetto, ricomponendosi, come fa l'alunno quando sente l'avvicinarsi del pedagogo. - Mi raccomando! fatemi il piacere di non scherzare...
- Vi pare. State tranquillo.
- La signora marchesa Ortensia - disse Federigo, presentando in sala una matrona sui quarant'anni, vegeta, forte, colorita, come un ufficiale di cavalleria di ritorno da una manovra a cavallo in piazza d'arme.
- Accomodatevi, marchesa - disse Clarenza, accennandole una poltrona in vicinanza del caminetto.
- Mi dispiace, ma non posso trattenermi - rispose la Sorbelli. - Vi saluto e scappo subito. Ho da fare mille bricciche: e prima di tornare a casa, voglio anche passare dalla mia amica la marchesa di Santa Teodora. Mi struggo di sapere con precisione le vere cause di questo piccolo scandalo.
- Di quale scandalo? - domandò la Norina.
- Come! non sapete nulla?
- Nulla.
- Allora, ve lo dirò io. È andato all'aria il matrimonio, già combinato, fra Rodolfo e la figlia del console americano.
- Proprio? - chiese la Norina, con interesse sempre crescente.
- Ve la do per sicura.
- E la ragione?..
- Non la conosco bene, ma suppergiù, me la figuro. Quel ragazzo di Rodolfo deve avere qualche amoretto clandestino... qualche'impegno... qualche passioncella misteriosa...
- Dico la verità, me l'aspettavo..
- Che cosa?
- Che questo matrimonio non dovesse andare a finir bene. Abbiamo alle volte certi presentimenti curiosi!... - osservò la Norina, dissimulando a stento una vivissima compiacenza.
- Del resto marchesa - disse Federigo, facendosi in mezzo - in compenso di un matrimonio andato a monte, sono lieto di notificarvene uno, combinato appena un'ora fa! - e il marito di Clarenza accennò la Norina e Valerio.
- Scusa, veh, Federigo - soggiunse subito la giovane cognata, quasi fosse rimasta offesa - mi pare che tu abbia corso un po' troppo. Vorrei sapere come si fa a chiamarlo un matrimonio di già combinato?
- E non lo è forse? - chiese Valerio, a cui tremava quasi la voce.
- Domando scusa - replicò Norina tranquillamente: - è un matrimonio, che probabilmente si combinerà, ma che per ora non è combinato. Vi prego, marchesa, a notare questa piccola differenza. Ne convenite, Valerio?
- Convengo di tutto! - rispose l'altro; poi borbottò fra i denti: - Convengo anche che sono il primo imbecille dell'universo.
- E voi, signor Leonetto? - domandò Clarenza, tanto per divagare la conversazione. - Quando ci farete mangiare i confetti di nozze?
- Io marito? - replicò il giornalista, arricciandosi i baffi e dando in una gran risata. - Io marito? Credo che la cosa sarà un po' difficile. Per vostra regola, in questo mondo vi sono due istituzioni, che mi hanno fatto sempre paura: il matrimonio e il sistema cellulare! Tutte le volte che io penso ai poveri mariti mi vien fatto naturalmente di spargere una furtiva lacrima sulla loro sorte infelicissima. E dire che in America si è fatta una guerra ciclopica per l'abolizione della schiavitù dei neri, condannati alla coltivazione delle canne da zucchero e del cotone, mentre poi sul vecchio continente abbiamo anche oggi tanti milioni di schiavi bianchi, destinati a coltivare la moglie, una coltivazione, credetelo a me, non meno faticosa di quella delle canne da zucchero e del cotone.
Tutti risero per complimento.
- Le vostre solite esagerazioni - disse la Norina.
- Non sono esagerazioni; è una professione di fede schietta e leale. Io ho amato sempre la mia libertà, la mia indipendenza completa.
- Questo è verissimo - affermò la marchesa Ortensia.
- È una gran bella cosa - continuò Leonetto, infiammandosi sempre più - quella di sentirsi liberi, come la rondine nell'aria: padroni di sé, della propria volontà, senza dipendere da nessuno, senza nessuno che ci possa comandare!...
- Dunque, Leonetto, venite o restate? - domandò la marchesa, interrompendolo. - Io me ne vado.
- Se non avete bisogno di me, mi tratterrei per un cert'affare!... - rispose il giornalista con un po' d'esitazione.
- Fate pure! - replicò la Sorbelli, alzandosi e dandogli un'occhiataccia...
Leonetto, che capì l'antifona soggiunse subito:
- Cioè, marchesa, se mi permettete, vi accompagnerò fino dalla vostra cugina.
- Per me, ve lo ripeto, fate pure il vostro comodo - replicò l'altra con un tuono di voce ugualissimo e tranquillo. - Io sono affatto indifferente.
- Allora, Leonetto - disse Clarenza, - rammentatevi che alle cinque precise andiamo a tavola.
- Sarò puntuale, come il fato.
- Siete a pranzo qui, Leonetto? - domandò la marchesa, con flemma studiata, e guardando negli occhi il giornalista.
- Ho avuto il gentile invito pochi momenti fa... - rispose l'altro, dandosi l'aria della persona franca e disinvolta.
- Ma oggi non potete! - insisté la Sorbelli colla stessa flemma e col solito tuono di voce.
- Non posso?.. - e Leonetto, imbarazzato, soffiava sulla felpa del cappello, per dissimulare la propria confusione.
- Di certo, che non potete!... seppure non siete disposto a pranzare in due case, nello stesso giorno. Pensateci un po' meglio e forse vi ricorderete che mio marito, fino da due giorni fa, vi ha invitato per oggi a casa sua...
Leonetto stava per rispondere che non ne sapeva nulla: ma un'occhiata della marchesa bastò per richiamarlo al proprio dovere. Difatti balbettò, imbrogliandosi...
- Sì, è vero!... cioè, sarà benissimo: ma si vede che me l'ero dimenticato... Che volete che ci faccia? Sono così astratto, che i pranzi mi passano dalla mente, da un momento all'altro.
- Pazienza! - soggiunse la moglie di Federigo, che aveva capito ogni cosa. - Io non voglio privare la marchesa di un commensale così gradito. Sarà per un'altra volta. Fatemi peraltro il favore di non dimenticarvi la chiassata di domani sera. Vi aspettiamo immancabilmente, per cantare insieme il nostro famoso duetto dell'Italiana in Algeri.
- Non dubitate, eccovi la mano.
- Scusate se metto bocca nei vostri discorsi - osservò la marchesa, stentando la parola, e volgendosi al giornalista, - ma mi pare che domani sera non sarete libero che tardissimo. Rammentatevi che avete preso l'impegno di accompagnarmi al ballo degli Asili infantili.
- Io?..
- Voi, voi! - ripeté l'altra, dandogli una occhiata d'intelligenza, che tradotta in lingua parlata, avrebbe dovuto dire: imbecille, rispondete a tono.
- Non mi pareva...
- Povero Leonetto! Si vede proprio che la politica vi ha fatto perdere affatto la bussola. Quasi quasi comincio a pentirmi di avervi procurata la direzione della «Gazzetta della Provincia».
- Sarà... come voi dite... - rispose Leonetto, stringendosi nelle spalle -...ma vi giuro sull'onor mio che non ne sapevo nulla... cioè, che me l'ero affatto dimenticato!...
- Dunque? - domandò Clarenza, annoiata di tutta quella commedia.
- Sono dispiacentissimo - rispose il giornalista, che per la vergogna era diventato quasi rosso, - ma domani sera non posso... La marchesa mi assicura che le ho promesso di accompagnarla... al ballo degli Asili infantili...e la colpa è tutta mia, se me lo sono dimenticato...
- Signore e signori! - disse la Sorbelli, congedandosi, quindi uscì dalla sala, accompagnata da Federigo e da Leonetto.
Mentre il giornalista stese la mano alla Norina, in atto di dire addio, questa gli bisbigliò, sorridente - È una gran fortuna, amico mio, quella di essere liberi e indipendenti, come siete voi! almeno, non siamo mai padroni di far nulla a modo nostro.
PARTE SECONDA
È passato un mese, dal giorno in cui Mario venne accolto in casa di Federigo.
- Stasera si è fatto notte più presto del solito. Che ore sono? - domandò Clarenza alla Bettina che aveva acceso un gran lume a moderatore, in mezzo alla tavola.
- Le cinque suonate ora - rispose la vecchia.
- La Norina dov'è?
- Credo, in camera sua.
- Ne sei sicura?
- Mi par di sì.
- Senti, Bettina, fammi un piacere - soggiunse la giovine padrona, abbassando la voce e con tuono carezzevole. - Vai di là, e con qualche scusa accertati se la Norina è proprio in camera.
Appena Clarenza fu sola, cominciò fra sé e sé questo monologo:
- Quand'è uscito di casa, or ora, mi ha fatto il solito segno... dunque dietro la cornice ci dev'essere una lettera - (e dicendo così, voltò gli occhi verso un quadretto, chiuso in una cornice e attaccato nella parete di mezzo) -...Già, di queste lettere non ne voglio più... è tanto tempo che lo dico... Questa è l'ultima di certo. Tutte le volte che devo montare sul canapè per frugare dietro a quella maladettissima cornice, m'entra la febbre addosso... Se non foss'altro, la paura! Con un frugolo per casa come la Norina, c'è da essere scoperti, senza neanche avvedersene! Almeno si levasse presto di fra i piedi, quella benedetta figliuola!...
- È in camera - disse la Bettina, sottovoce, rientrando nella stanza in punta di piedi.
- Mi basta così... voglio farle una celia. Puoi andartene.
E la Bettina uscì.
- Eppure, neppur'ora mi par d'essere sicura per bene - diceva Clarenza, guardando di qua e di là con so spetto, - un poco, sarà paura della Norina: ma un poco bisogna dire che è anche la coscienza... il rimorso di sapere che faccio una cosa... che non è bella. Dico la verità, io mi credeva più forte... Se credessi alle streghe, dubiterei che mi avessero stregata! Meno male che si tratta di ragazzate, di cose senza conseguenza... Eppoi non lo faccio per me... lo faccio per un altro, per dare a suo tempo una bella lezione a quel donnaiolo di Mario.
Intanto Clarenza, dopo aver dato un'ultima occhiata a tutti gli usci, che mettevano in sala, aveva abbassato il lume fino al punto di lasciare un fiochissimo barlume, ed era salita sul canapè.
Colla rapidità del baleno, ficcò una mano dietro al quadro, e prese un foglio che vi era nascosto: ma, quando fu per discendere, si spalancò improvvisamente la porta di faccia.
- Scommetto che sei stata tu, che mi hai mandata la Bettina in camera?.. - gridò la Norina, con una voce squillante, che pareva un campanello.
- To'?.. - rispose la sorella, rimasta zitta sul canapè ...
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