[Pagina precedente]...- non sarebbe meglio di dargli un po' d'Eccellenza.
- Fai tu: ma la frase «Signor ministro» è molto più franca e più disinvolta.
- È vero; ma i ministri, credilo a me, ci tengono all'Eccellenza: le so certe cose. Vuoi fare a modo mio? Diamogli dell'Eccellenza.
- Diamogli dell'Eccellenza - soggiunse Mario, ridendo: poi seguitò a dettare: - «Sono sensibile all'onore...».
- Quel «sensibile» mi pare un po' corto - osservò Federigo. - Se mettessimo invece «sensibilissimo?».
- Hai ragione. «Sensibilissimo» è più lungo. Dunque comincia così: «Sono sensibilissimo all'onore...».
- Onore... onore! - borbottò fra i denti Federigo. - E non credi che sarebbe meglio detto «all'alto onore?».
- Alto? in questo caso mi pare un vocabolo un po' troppo ampolloso.
- Ampolloso, no. Anzi mi pare un vocabolo comunissimo e che si adopera continuamente. Diffatti si dice «alta stima» e alta considerazione... anche quando si scrive per non dir nulla.
- Vedo, amico mio - disse Mario, annoiato - che ne sai più di me: dunque scriviti da te la tua lettera: eppoi, se credi, gliela posso portar io.
- Mi farai un vero regalo - rispose Federigo. Quindi scrisse la lettera in pochi minuti, la chiuse in una busta, e, consegnandola al conte, gli disse con un tuono di voce cupo e malinconico: - Ora ho bisogno che tu mi dia una prova di vera amicizia.
- Parla.
- Tu sai il peso, che io ho sempre dato a questi gingilli, a questi giuocattoli da fanciulli...
- Lo so! lo so... - interruppe l'altro, ridendosela sotto i baffi.
- Orbene: vorrei che questa cosa restasse un segreto fra noi due: che non la sapesse nemmeno l'aria. Che vuoi che ti dica? Sento qualche cosa qui che mi ripugna - (e si toccava lo stomaco dalla parte del cuore). - Capisco che l'uomo è un animale di abitudine, e che in questo mondo ci si avvezza a tutto: ma, ora come ora, dico la verità , sento che non saprei rassegnarmi a sentirmi chiamare cavaliere.
- Intendo benissimo la tua ripugnanza... ed eccoti la mano. Giuro solennemente di non parlarne a nessuno.
- Siamo intesi: a nessuno!
- A nessuno!
Clarenza entrò in sala: forse credeva di trovarvi Mario solo: ma visto che c'era anche Federigo, rimase piuttosto male; e voltasi con garbo dispettoso verso il marito, gli disse:
- Come? sei sempre qui?
- Sempre qui! - rispose l'altro, senza alzare il capo, e accompagnando la risposta con una specie di sospiro.
- Che cos'hai? che cosa ti è accaduto?
- Nulla, nulla.
- Ditelo voi, Mario; che cosa c'è stato? - domandò Clarenza, un poco impensierita.
- Ti ripeto, che non c'è stato nulla - gridò Federigo, arrabbiandosi. - Una delle mie solite fortune. Guarda! - e, nel dir così, si cavò di tasca il plico del Ministero, e lo passò in mano alla moglie.
Clarenza posò gli occhi sull'indirizzo: e dopo aver vista la provenienza, e dopo aver letto sulla sopraccarta «Al cavalier Federigo Fabiani» restituì la lettera al marito, esclamando con vera consolazione:
- Oh! sia ringraziato il cielo! Finalmente sarai contento!
- Contento io? io? Vai pur là , che l'hai indovinata.
- Quanto a me, lo dico francamente, sono contentissima.
- Tutte uguali le donne! - disse Federigo, ingrossando la voce. - Avete una vanità che passa qualunque misura. Per altro, Clarenza, intendiamoci bene. Ti avverto una volta per tutte. Sappi che questa cosa deve restare un segreto fra noi tre - (accennando anche a Mario). - Dunque bada bene di non lo dire a nessuno! A nessuno, e specialmente a quella ciarliera della Norina.
- Signor cavaliere, i miei rispetti - disse la Norina, saltando in sala, e inchinandosi comicamente dinanzi cognato.
- Ah! Norina! - replicò Federigo, facendo l'impermalito - questa tua indiscretezza... questa tua smania di ficcare il naso dappertutto mi comincia a seccare. Con una donna, come te, fra i piedi. è inutile che in una casa ci sieno gli usci e le porte.
- Inutile?
- Inutilissimo. Perché almeno ho sentito dir sempre che gli usci erano fatti apposta per impedire agli altri che sappiano ciò che vogliamo che non si sappia.
- È un'idea anche codesta - soggiunse la Norina, ridendo. - Non tutti si pensa allo stesso modo. Io, per esempio, ho creduto sempre che gli usci fossero fatti unicamente per poter stare a sentire ciò che dicono gli altri. È un'opinione come la tua, e va rispettata.
- Non ne discorriamo più per oggi. Ti avverto di serbare il segreto: e non ne facciamo parola con nessuno! con nessuno. A proposito: ma che il marchese Sorbelli sia sempre giù ad aspettarmi? Sentiamo un poco.
E Federigo suonò il campanello.
- Ha suonato lei, signor Federigo?. - disse la Bettina, entrando in sala.
- Brava, Bettina! Così mi piace: chiamami sempre Federigo.
- O come vuol che lo chiami?
- Guai a te, se una volta, una volta sola, ti scappa detto cavaliere.
- Come! come! - gridò la vecchia cameriera, tutta allegra - che è stato fatto cavaliere, lei? l'ho caro davvero! era tanto, povero padrone, che se ne struggeva!...
- Mi struggevo, un corno! Non discorrer tanto, e guarda piuttosto a quel che ti dico: ti ripeto dunque che io mi chiamo Federigo, che voglio esser chiamato Federigo, e in casa mia non ci debbono essere né cavalieri, né commendatori. Dillo subito anche a Francesco e al cuoco.
- Non dubiti, signor cavaliere.
- Basta così. Volevo ora domandarti una cosa; il marchese è partito?
- Sarà quasi una mezz'ora - disse la Bettina. - Soffiava come un istrice. Se sapesse quante cosacce ha detto!...
- Contro me?
- Contro lei!
- Bravo signor marchese: faremo i conti a suo tempo. Lo aspetto, all'urna, non dubiti, lo aspetto all'urna! Curiosi questi nobilucci di vecchia data. Perché hanno un po' di titolo, trovato fra i ragnateli di casa, gli par d'essere Dio sa che!... Quant'a me, per esempio, non baratterei la mia modestissima croce di cavaliere con tutti i loro stemmi gentilizi: dico bene?..
- Santamente! - soggiunse Mario; - dimmi una cosa: e ora, verso qual parte sei indirizzato?
- Che si domanda? - rispose Federigo, guardando l'orologio. - È la mia ora: io, secondo il mio solito (un'abitudine oramai di dieci anni), vado in casa Appiani a far la mia partita a scacchi.
- Non puoi lasciarla per una sera? - chiese il conte.
- Impossibile: son sicuro che questa notte non potrei dormire.
- Non ti dissimulo, che mi dispiace.
- Ti dispiace? e perché?
- Perché il ministro avrebbe desiderato di vederti.
- Me?.. - domandò Federigo, a cui la troppa e improvvisa contentezza fece mandar fuori una nota di falsetto.
- Te in persona. E aggiungi che io gli avevo promesso di accompagnarti stasera da lui!
- Hai fatto male... cioè, non dico che tu abbia fatto male... ma, insomma, che cosa vuole il signor ministro da me?
- Non lo so!
- Il conte non lo sa - interruppe Clarenza - ma è facile supporlo. Il ministro sa che tu sei un brav'uomo, un uomo onesto, una persona moltissimo influente... ed è naturale che desideri di conoscerti personalmente e di stringerti la mano.
- Troppo buono, il signor ministro: ma non ci vado! - disse Federigo, atteggiandosi a uomo inflessibile e resoluto.
- Pazienza! - replicò Mario, facendo l'atto di non voler più insistere.
- Ti prego, peraltro, di fargli le mie scuse.
- Non c'è bisogno di scuse. Hai le tue buone ragioni per non volerci venire, e basta così!
- E perché non ci vai? - domandò Clarenza, alla quale dispiaceva questa strana cocciutaggine del marito.
- Oh! bella! non ci vado, perché non mi conviene. È una questione di fierezza di carattere e di sentimento della propria dignità , e le donne non possono intendere certe cose.
- Io ti comprendo benissimo! - disse Mario, soffiandosi il naso, per tappare una risata insolentissima.
- E tu, quando ritorni da tuo zio?
- Ci ritorno subito: appena che esco di qui. Intanto gli porterò la tua lettera e gli farò le tue scuse.
- Se mi aspetti due minuti, possiamo fare un pezzo di strada insieme.
- Ho fretta.
- Due minuti soli.
- Ti prego dunque di far presto.
- Il tempo che ci vuole, per cambiarmi questo soprabito, che comincia a essere un po' troppo grave per la stagione.
E Federigo uscì dalla sala.
- Ditemi, Mario, e vostro zio si trattiene molto? - domandò Clarenza, tanto per dir qualche cosa, e per dissimular la sua stizza per la Norina, che si ostinava a non volersene andare.
- Mio zio parte stasera col treno delle otto e mezzo per San Giusto.
- Senti!
- E, probabilmente, io gli terrò compagnia.
- Partite anche voi?.. - chiese Clarenza, strascicando la voce con un po' di canzonatura.
- Non è punto difficile.
- E quando sarete di ritorno?
- Chi lo sa. Non lo so nemmeno io. Dipende tutto da una risposta, che aspetto... - disse, guardando negli occhi la graziosa moglie di Federigo, quindi soggiunse subito, per non dar tempo alla Norina di fantasticare:
- E queste due belle signore vanno poi stasera al teatro?
- Sì - rispose la Norina. - Aspettiamo giusto il signor Valerio, il quale ha promesso di accompagnarci.
- C'è una bella commedia?
- Non lo so davvero: io vado al teatro, per andare al teatro.
- E io vado al teatro per non restare in casa - soggiunse Clarenza, accentando leggermente le ultime parole.
- Scommetto che avete un po' di paura a restar sola in casa? - domandò il conte, sorridendo con intenzione.
- L'avete indovinata! Ho paura della noia. Tre ore di solitudine sono troppo lunghe. Che ora avete, Mario?
- Le otto vicine.
- Se indugiate un altro poco, perderete il treno, e non potrete più accompagnare vostro zio.
- Aspetto quel benedetto uomo di Federigo... Oh! Ma c'è tutto il tempo necessario: il treno dovrebbe passare alle otto e mezzo, e ritarda sempre nove o dieci minuti...Scusate, signora Clarenza: e perché ridete?
- Rido a vedervi dire le bugie con tanta serietà .
- Cioè?
- Per vostra regola, voi stasera non partite!
- Vi giuro che parto. L'ho promesso a mio zio. E perché, scusatemi, dovrei dirvi una cosa per un'altra?..
- O San Giusto! - continuò a dire Clarenza, ridendo sguaiatamente di un riso forzato. - Guarda, per l'appunto!... E che cosa andate a fare a San Giusto?..
- Ho là qualche piccolo affaretto.
- Non è vero.
- Scusate Clarenza: ma perché mi date una mentita?
- Io non vi do nessuna mentita: vi dico semplicemente che non è vero! - replicò Clarenza, che, senza avvedersene, era diventata seria e quasi dispettosa.
- Il signor Leonetto! - disse il giornalista, affacciandosi in sala, e annunziando se medesimo.
- Oh! che miracolo è questo? - domandò la Norina, facendogli segno di venire innanzi.
- Scusatemi, mie belle signore, se vi disturbo: Federigo è uscito?
- Federigo sarà qui fra minuti - rispose Clarenza.
- Ho bisogno di vederlo per una certa cosa... d'urgenza... Intanto profitterò dell'occasione per stringergli la mano e per dargli il mi-rallegro.
- Come l'avete saputo?
- La Bettina mi ha detto tutto. Anzi, se vi contentate, vorrei fargli una specie di sorpresa... Vorrei annunziare la sua nomina nel giornale di domani.
E nel dir così trasse di tasca una matita e un pezzetto di carta; e, dopo avere scritto pochi versi, si voltò alla padrona di casa, dicendole:
- Scusate, signora Clarenza: vi dispiacerebbe di mandare il vostro Francesco alla stamperia del giornale con questo piccolo avviso? -
- Figuratevi!...
E Clarenza chiamò la Bettina, e le dié il biglietto, con ordine premuroso di farlo portar subito da Francesco alla stamperia del «Giornale della Provincia».
- Son pronto! - disse Federigo, entrando in sala, tutto vestito, in abito nero, cravatta bianca, guanti perlati e paletot chiaro sul braccio.
- Bene! bene! - gridò Mario ridendo - dunque ti sei pentito? vieni anche tu dal ministro?
- E perché?..
- Me lo figuro! ti vedo in abito di visita officiale!...
- Officiale?.. tutt'altro che officiale! Mi son cambiato vestito, perché con quell'altro scoppiavo dal caldo.
- Dunque, vieni o non vieni?
- Impossibile, credilo, impossibile! Chiedimi piuttosto un bicchier del mio sangue, e non ti dico di no... ma dal ministro...
- Ebbene, non se ne parli più: dunque io posso andarmene?
- Se mi aspetti, si fa la strada insieme e ti accompagno fin là .
- Fino a dove?
- Fino alla Locanda Maggiore. Per me, è tutta st...
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