[Pagina precedente]... di cataste di legna e di fascine, con una stadera da una parte. - Oggi è giorno di sgobbo, te lo accerto io, - ripigliò Coretti; - debbo fare il lavoro a pezzi e a bocconi. Stavo scrivendo le proposizioni, è venuta gente a comprare. Mi son rimesso a scrivere, eccoti il carro. Questa mattina ho già fatto due corse al mercato delle legna in piazza Venezia. Non mi sento più le gambe e ho le mani gonfie. Starei fresco se avessi il lavoro di disegno! - E intanto dava un colpo di scopa alle foglie secche e ai fuscelli che coprivano l'ammattonato.
- Ma dove lo fai il lavoro, Coretti? - gli domandai.
- Non qui di certo, - riprese; - vieni a vedere; - e mi condusse in uno stanzino dietro la bottega, che serve da cucina e da stanza da mangiare, con un tavolo in un canto, dove ci aveva i libri e i quaderni, e il lavoro incominciato. - Giusto appunto, disse, - ho lasciato la seconda risposta per aria: col cuoio si fanno le calzature, le cinghie... Ora ci aggiungo le valigie. - E presa la penna, si mise a scrivere con la sua bella calligrafia. - C'è nessuno? - s'udì gridare in quel momento dalla bottega. Era una donna che veniva a comprar fascinotti. - Eccomi, - rispose Coretti; e saltò di là , pesò i fascinotti, prese i soldi, corse in un angolo a segnar la vendita in uno scartafaccio e ritornò al suo lavoro, dicendo: - Vediamo un po' se mi riesce di finire il periodo. - E scrisse: le borse da viaggio, gli zaini per i soldati. - Ah il mio povero caffè che scappa via! - gridò all'improvviso e corse al fornello a levare la caffettiera dal fuoco. - È il caffè per la mamma, - disse; - bisognò bene che imparassi a farlo. Aspetta un po' che glie lo portiamo; così ti vedrà , le farà piacere. Son sette giorni che è a letto... Accidenti del verbo! Mi scotto sempre le dita con questa caffettiera. Che cosa ho da aggiungere dopo gli zaini per i soldati? Ci vuole qualche altra cosa e non la trovo. Vieni dalla mamma.
Aperse un uscio, entrammo in un'altra camera piccola: c'era la mamma di Coretti in un letto grande, con un fazzoletto bianco intorno al capo.
- Ecco il caffè, mamma, - disse Coretti porgendo la tazza; - questo è un mio compagno di scuola.
- Ah! bravo il signorino, - mi disse la donna; - viene a far visita ai malati, non è vero?
Intanto Coretti accomodava i guanciali dietro alle spalle di sua madre, raggiustava le coperte del letto, riattizzava il fuoco, cacciava il gatto dal cassettone. - Vi occorre altro, mamma? - domandò poi, ripigliando la tazza. - Li avete presi i due cucchiaini di siroppo? Quando non ce ne sarà più darò una scappata dallo speziale. Le legna sono scaricate. Alle quattro metterò la carne al fuoco, come avete detto, e quando passerà la donna del burro le darò quegli otto soldi. Tutto andrà bene, non vi date pensiero.
- Grazie, figliuolo, - rispose la donna; - povero figliuolo, va'! Egli pensa a tutto.
Volle che pigliassi un pezzo di zucchero, e poi Coretti mi mostrò un quadretto, il ritratto in fotografia di suo padre, vestito da soldato, con la medaglia al valore, che guadagnò nel '66, nel quadrato del principe Umberto; lo stesso viso del figliuolo, con quegli occhi vivi e quel sorriso così allegro. Tornammo nella cucina. - Ho trovato la cosa, - disse Coretti, e aggiunse sul quaderno: si fanno anche i finimenti dei cavalli. - Il resto lo farò stasera, starò levato fino a più tardi. Felice te che hai tutto il tempo per studiare e puoi ancora andare a passeggio!
E sempre gaio e lesto, rientrato in bottega, cominciò a mettere dei pezzi di legno sul cavalletto e a segarli per mezzo, e diceva: - Questa è ginnastica! Altro che la spinta delle braccia avanti. Voglio che mio padre trovi tutte queste legna segate quando torna a casa: sarà contento. Il male è che dopo aver segato faccio dei t e degli l, che paion serpenti, come dice il maestro. Che ci ho da fare? Gli dirò che ho dovuto menar le braccia. Quello che importa è che la mamma guarisca presto, questo sì. Oggi sta meglio, grazie al cielo. La grammatica la studierò domattina al canto del gallo. Oh! ecco la carretta coi ceppi! Al lavoro.
Una carretta carica di ceppi si fermò davanti alla bottega. Coretti corse fuori a parlar con l'uomo poi tornò. - Ora non posso più tenerti compagnia, - mi disse; - a rivederci domani. Hai fatto bene a venirmi a trovare. Buona passeggiata! Felice te.
E strettami la mano, corse a pigliar il primo ceppo, e ricominciò a trottare fra il carro e la bottega, col viso fresco come una rosa sotto al suo berretto di pel di gatto, e vispo che metteva allegrezza a vederlo
Felice te! egli mi disse. Ah no, Coretti, no: sei tu il più felice, tu perché studi e lavori di più, perché sei più utile a tuo padre e a tua madre, perché sei più buono, cento volte più buono e più bravo di me, caro compagno mio.
Il Direttore
18, venerdì
Coretti era contento questa mattina perché è venuto ad assistere al lavoro d'esame mensile il suo maestro di seconda, Coatti, un omone con una grande capigliatura crespa, una gran barba nera, due grandi occhi scuri, e una voce da bombarda; il quale minaccia sempre i ragazzi di farli a pezzi e di portarli per il collo in Questura, e fa ogni specie di facce spaventevoli; ma non castiga mai nessuno, anzi sorride sempre dentro la barba, senza farsi scorgere. Otto sono, con Coatti, i maestri, compreso un supplente piccolo e senza barba, che pare un giovinetto. C'è un maestro di quarta, zoppo, imbacuccato in una grande cravatta di lana, sempre tutto pieno di dolori, e si prese quei dolori quando era maestro rurale, in una scuola umida dove i muri gocciolavano. Un altro maestro di quarta è vecchio e tutto bianco ed è stato maestro dei ciechi. Ce n'è uno ben vestito, con gli occhiali, e due baffetti biondi, che chiamavano l'avvocatino, perché facendo il maestro studiò da avvocato e prese la laurea, e fece anche un libro per insegnare a scriver le lettere. Invece quello che c'insegna la ginnastica è un tipo di soldato, è stato con Garibaldi, e ha sul collo la cicatrice d'una ferita di sciabola toccata alla battaglia di Milazzo. Poi c'è il Direttore, alto, calvo con gli occhiali d'oro, con la barba grigia che gli vien sul petto, tutto vestito di nero e sempre abbottonato fin sotto il mento; così buono coi ragazzi, che quando entrano tutti tremanti in Direzione, chiamati per un rimprovero, non li sgrida, ma li piglia per le mani, e dice tante ragioni, che non dovevan far così, e che bisogna che si pentano, e che promettano d'esser buoni, e parla con tanta buona maniera e con una voce così dolce che tutti escono con gli occhi rossi, più confusi che se li avesse puniti. Povero Direttore, egli è sempre il primo al suo posto, la mattina, a aspettare gli scolari e a dar retta ai parenti, e quando i maestri son già avviati verso casa, gira ancora intorno alla scuola a vedere che i ragazzi non si caccino sotto le carrozze, o non si trattengan per le strade a far querciola, o a empir gli zaini di sabbia o di sassi; e ogni volta che appare a una cantonata, così alto e nero, stormi di ragazzi scappano da tutte le parti, piantando lì il giuoco dei pennini e delle biglie, ed egli li minaccia con l'indice da lontano, con la sua aria amorevole e triste. Nessuno l'ha più visto ridere, dice mia madre, dopo che gli è morto il figliuolo ch'era volontario nell'esercito; ed egli ha sempre il suo ritratto davanti agli occhi, sul tavolino della Direzione. E se ne voleva andare dopo quella disgrazia; aveva già fatto la sua domanda di riposo al Municipio, e la teneva sempre sul tavolino, aspettando di giorno in giorno a mandarla, perché gli rincresceva di lasciare i fanciulli. Ma l'altro giorno pareva deciso, e mio padre ch'era con lui nella Direzione, gli diceva: - Che peccato che se ne vada, signor Direttore! - quando entrò un uomo a fare iscrivere un ragazzo, che passava da un'altra sezione alla nostra perché aveva cambiato di casa. A veder quel ragazzo il Direttore fece un atto di meraviglia, - lo guardò un pezzo, guardò il ritratto che tien sul tavolino e tornò a guardare il ragazzo, tirandoselo fra le ginocchia e facendogli alzare il viso. Quel ragazzo somigliava tutto al suo figliuolo morto. Il Direttore disse: - Va bene; - fece l'iscrizione, congedò padre e figlio, e restò pensieroso. - Che peccato che se ne vada! - ripeté mio padre. E allora il Direttore prese la sua domanda di riposo, la fece in due pezzi e disse: - Rimango.
I soldati
22, martedì
Il suo figliuolo era volontario nell'esercito quando morì: per questo il Direttore va sempre sul corso a veder passare i soldati, quando usciamo dalla scuola. Ieri passava un reggimento di fanteria, e cinquanta ragazzi si misero a saltellare intorno alla banda musicale, cantando e battendo il tempo colle righe sugli zaini e sulle cartelle. Noi stavamo in un gruppo, sul marciapiede a guardare: Garrone, strizzato nei suoi vestiti troppo stretti, che addentava un gran pezzo di pane; Votini, quello ben vestito, che si leva sempre i peluzzi dai panni; Precossi, il figliuolo del fabbro, con la giacchetta di suo padre, e il calabrese, e il muratorino, e Crossi con la sua testa rossa, e Franti con la sua faccia tosta, e anche Robetti, il figliuolo del capitano d'artiglieria, quello che salvò un bambino dall'omnibus, e che ora cammina con le stampelle. Franti fece una risata in faccia a un soldato che zoppicava. Ma subito si sentì la mano d'un uomo sulla spalla: si voltò: era il Direttore. - Bada, - gli disse il Direttore; - schernire un soldato quand'è nelle file, che non può né vendicarsi né rispondere, è come insultare un uomo legato: è una viltà . - Franti scomparve. I soldati passavano a quattro a quattro, sudati e coperti di polvere, e i fucili scintillavano al sole. Il Direttore disse: - Voi dovete voler bene ai soldati, ragazzi. Sono i nostri difensori, quelli che andrebbero a farsi uccidere per noi, se domani un esercito straniero minacciasse il nostro paese. Sono ragazzi anch'essi, hanno pochi anni più di voi; e anch'essi vanno a scuola; e ci sono poveri e signori, fra loro, come fra voi, e vengono da tutte le parti d'Italia. Vedete, si posson quasi riconoscere al viso: passano dei Siciliani, dei Sardi, dei Napoletani, dei Lombardi. Questo poi è un reggimento vecchio, di quelli che hanno combattuto nel 1848. I soldati non son più quelli, ma la bandiera è sempre la stessa. Quanti erano già morti per il nostro paese intorno a quella bandiera venti anni prima che voi nasceste! - Eccola qui, - disse Garrone. E infatti si vedeva poco lontano la bandiera, che veniva innanzi, al di sopra delle teste dei soldati. - Fate una cosa, figliuoli, - disse il Direttore, - fate il vostro saluto di scolari, con la mano alla fronte, quando passano i tre colori. - La bandiera, portata da un ufficiale, ci passò davanti, tutta lacera e stinta, con le medaglie appese all'asta. Noi mettemmo la mano alla fronte, tutt'insieme. L'ufficiale ci guardò, sorridendo, e ci restituì il saluto con la mano. - Bravi, ragazzi, - disse uno dietro di noi. Ci voltammo a guardare: era un vecchio che aveva all'occhiello del vestito il nastrino azzurro della campagna di Crimea: un ufficiale pensionato. - Bravi, - disse, - avete fatto una cosa bella. - Intanto la banda del reggimento svoltava in fondo al corso, circondata da una turba di ragazzi, e cento grida allegre accompagnavan gli squilli delle trombe come un canto di guerra. - Bravi, - ripeté il vecchio ufficiale, guardandoci; - chi rispetta la bandiera da piccolo la saprà difender da grande.
Il protettore di Nelli
23, mercoledì
Anche Nelli, ieri, guardava i soldati, povero gobbino, ma con un'aria così, come se pensasse: - Io non potrò esser mai un soldato! - Egli è buono, studia; ma è così magrino e smorto, e respira a fatica. Porta sempre un lungo grembiale di tela nera lucida. Sua madre è una signora piccola a bionda, vestita di nero, e vien sempre a prenderlo al finis, perché non esca nella confusione, con gli altri; e lo accarezza. I primi giorni, perché ha quella disgrazia d'esser gobbo, molti ragazzi lo beffavano e gli picchiavan su...
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