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- Evviva! - gridarono molte voci. - Evviva! - gridò Coretti, dopo gli altri.
Il re lo guardò in viso e arrestò un momento lo sguardo sulle tre medaglie.
Allora Coretti perdé la testa e urlò: - Quarto battaglione del quarantanove!
Il re, che s'era già voltato da un'altra parte, si rivoltò verso di noi, e fissando Coretti negli occhi, stese la mano fuor della carrozza.
Coretti fece un salto avanti e gliela strinse. La carrozza passò, la folla irruppe e ci divise, perdemmo di vista Coretti padre. Ma fu un momento. Subito lo ritrovammo, ansante, con gli occhi umidi, che chiamava per nome il figliuolo, tenendo la mano in alto. Il figliuolo si slanciò verso di lui, ed egli gridò: - Qua, piccino, che ho ancora calda la mano! - e gli passò la mano intorno al viso, dicendo: - Questa è una carezza del re.
E rimase lì come trasognato, con gli occhi fissi sulla carrozza lontana, sorridendo, con la pipa tra le mani, in mezzo a un gruppo di curiosi che lo guardavano. - È uno del quadrato del '49, - dicevano. - È un soldato che conosce il re. - È il re che l'ha riconosciuto. - È lui che gli ha teso la mano. - Ha dato una supplica al re, - disse uno più forte.
- No, - rispose Coretti, voltandosi bruscamente; - non gli ho dato nessuna supplica, io. Un'altra cosa gli darei, se me la domandasse...
Tutti lo guardarono.
Ed egli disse semplicemente: - Il mio sangue.
L'asilo infantile
4, martedì
Mia madre, come m'aveva promesso, mi condusse ieri dopo colazione all'asilo infantile di Corso Valdocco, per raccomandare alla direttrice una sorella piccola di Precossi. Io non avevo mai visto un asilo. Quanto mi divertirono! Duecento c'erano tra bimbi e bimbe, così piccoli, che i nostri della prima inferiore sono uomini appetto a quelli. Arrivammo appunto che entravano in fila nel refettorio, dove erano due tavole lunghissime con tante buche rotonde, e in ogni buca una scodella nera, piena di riso e fagioli, e un cucchiaio di stagno accanto. Entrando alcuni piantavano un melo, e restavan lì sul pavimento, fin che accorrevan le maestre a tirarli su. Molti si fermavano davanti a una scodella, credendo che fosse quello il loro posto, e ingollavano subito una cucchiaiata, quando arrivava una maestra e diceva: - Avanti! - e quelli avanti tre o quattro passi e giù un'altra cucchiaiata, e avanti ancora, fin che arrivavano al proprio posto, dopo aver beccato a scrocco una mezza minestrina. Finalmente, a furia di spingere, di gridare: - Sbrigatevi! Sbrigatevi! - li misero in ordine tutti, e cominciarono la preghiera. Ma tutti quelli delle file di dentro, i quali per pregare dovevan voltar la schiena alla scodella, torcevano il capo indietro per tenerla d'occhio, che nessuno ci pescasse, e poi pregavano così, con le mani giunte e con gli occhi al cielo, ma col cuore alla pappa. Poi si misero a mangiare. Ah che ameno spettacolo! Uno mangiava con due cucchiai, l'altro s'ingozzava con le mani, molti levavano i fagioli un per uno e se li ficcavano in tasca; altri invece li rinvoltavano stretti nel grembiulino e ci picchiavan su, per far la pasta. Ce n'erano anche che non mangiavano per veder volar le mosche, e alcuni tossivano e spandevano una pioggia di riso tutto intorno. Un pollaio, pareva. Ma era grazioso. Facevano una bella figura le due file delle bambine, tutte coi capelli legati sul cocuzzolo con tanti nastrini rossi, verdi, azzurri. Una maestra domandò a una fila di otto bambine: - Dove nasce il riso? Tutte otto spalancaron la bocca piena di minestra, e risposero tutte insieme cantando: - Na-sce nel-l'ac-qua, - Poi la maestra comandò: - Le mani in alto! - E allora fu bello vedere scattar su tutti quei braccini, che mesi fa erano ancor nelle fascie, e agitarsi tutte quelle mani piccole, che parevan tante farfalle bianche e rosate.
Poi andarono alla ricreazione; ma prima presero tutti i loro panierini con dentro la colazione, che erano appesi ai muri. Uscirono nel giardino e si sparpagliarono, tirando fuori le loro provvigioni: pane, prune cotte, un pezzettino di formaggio, un ovo sodo, delle mele piccole, una pugnata di ceci lessi, un'ala di pollo. In un momento tutto il giardino fu coperto di bricioline come se ci avessero sparso del becchime per uno stormo d'uccelli. Mangiavano in tutte le più strane maniere, come i conigli, i topi, i gatti, rosicchiando, leccando, succhiando. C'era un bimbo che si teneva appuntato un grissino sul petto e lo andava ungendo con una nespola, come se lustrasse una sciabola. Delle bambine spiaccicavano nel pugno delle formaggiole molli, che colavano fra le dita, come latte, e filavan giù dentro alle maniche; ed esse non se n'accorgevano mica. Correvano e s'inseguivano con le mele e i panini attaccati ai denti, come i cani. Ne vidi tre che scavavano con un fuscello dentro a un ovo sodo credendo di scoprirvi dei tesori, e lo spandean mezzo per terra, e poi lo raccoglievano briciolo per briciolo, con grande pazienza, come se fossero perle. E a quelli che avevan qualcosa di straordinario, c'erano intorno otto o dieci col capo chino a guardar nel paniere, come avrebber guardato la luna nel pozzo. Ci saranno stati venti intorno a un batuffoletto alto così, che aveva in mano un cartoccino di zucchero, tutti a fargli cerimonie per aver il permesso d'intingere il pane, e lui a certi lo dava, ed ad altri, pregato bene, non imprestava che il dito da succhiare.
Intanto mia madre era venuta nel giardino e accarezzava ora l'uno ora l'altro. Molti le andavano intorno, anzi addosso, a chiederle un bacio col viso in su, come se guardassero a un terzo piano, aprendo e chiudendo la bocca, come per domandare la cioccia. Uno le offerse uno spicchio d'arancia morsicchiato, un altro una crostina di pane, una bimba le diede una foglia; un'altra bimba le mostrò con grande serietà la punta dell'indice dove, a guardar bene, si vedeva un gonfiettino microscopico, che s'era fatto il giorno prima toccando la fiammella della candela. Le mettevan sotto gli occhi, come grandi meraviglie, degl'insetti piccolissimi, che non so come facessero a vederli e a raccoglierli, dei mezzi tappi di sughero, dei bottoncini di camicia, dei fiorellini strappati dai vasi. Un bambino con la testa fasciata, che voleva esser sentito a ogni costo, le tartagliò non so che storia d'un capitombolo, che non se ne capì una parola; - un altro volle che mia madre si chinasse, e le disse nell'orecchio: - Mio padre fa le spazzole. - E in quel frattempo accadevano qua e là mille disgrazie, che facevano accorrere le maestre: bambine che piangevano perché non potevano disfare un nodo del fazzoletto, altre che si disputavano a unghiate e a strilli due semi di mela, un bimbo che era caduto bocconi sopra un panchettino rovesciato, e singhiozzava su quella rovina, senza potersi rialzare.
Prima d'andar via, mia madre ne prese in braccio tre o quattro, e allora accorsero da tutte le parti per farsi pigliare, coi visi tinti di torlo d'ovo e di sugo d'arancia, e chi a afferrarle le mani, chi a prenderle un dito per veder l'anello, l'uno a tirarle la catenella dell'orologio, l'altro a volerla acchiappare per le trecce. - Badi, - dicevano le maestre, - che le sciupan tutto il vestito. - Ma a mia madre non importava nulla del vestito, e continuò a baciarli, e quelli sempre più a serrarlesi addosso, i primi con le braccia tese come se volessero arrampicarsi, i lontani cercando di farsi innanzi tra la calca, e tutti gridando: - Addio! Addio! Addio! - infine le riuscì di scappar dal giardino. E allora corsero tutti a mettere il viso tra i ferri della cancellata, per vederla passare, e a cacciar le braccia fuori per salutarla, offrendo ancora tozzi di pane, bocconcini di nespola e croste di formaggio, e gridando tutti insieme: - Addio! Addio! Addio! Ritorna domani! Vieni un'altra volta! - Mia madre, scappando, fece ancora scorrere una mano su quelle cento manine tese, come sopra una ghirlanda di rose vive, e finalmente riuscì in salvo sulla strada, tutta coperta di briciole e di macchie, sgualcita e scarmigliata, con una mano piena di fiori e gli occhi gonfi di lacrime, contenta, come se fosse uscita da una festa. E si sentiva ancora il vocìo di dentro, come un gran pispigliare d'uccelli, che dicevano: - Addio! Addio! Vieni un'altra volta, madama!
Alla ginnastica
5, mercoledì
Il tempo continuando bellissimo, ci hanno fatto passare dalla ginnastica del camerone a quella degli attrezzi, in giardino. Garrone era ieri nell'ufficio del Direttore quando venne la madre di Nelli, quella signora bionda e vestita di nero, per far dispensare il figliuolo dai nuovi esercizi. Ogni parola le costava uno sforzo, e parlava tenendo una mano sul capo del suo ragazzo. - Egli non può... - disse al Direttore. Ma Nelli si mostrò così addolorato di essere escluso dagli attrezzi, d'aver quella umiliazione di più... - Vedrai, mamma, - diceva, - che farò come gli altri. - Sua madre lo guardava, in silenzio, con un'aria di pietà e di affetto. Poi osservò con esitazione: - Temo dei suoi compagni. - Voleva dire: - Temo che lo burlino. - Ma Nelli rispose: - Non mi fa nulla... e poi c'è Garrone. Mi basta che ci sia lui che non rida. - E allora lo lasciaron venire. Il maestro, quello della ferita al collo, che è stato con Garibaldi, ci condusse subito alle sbarre verticali, che sono alte molto, e bisognava arrampicarsi fino in cima, e mettersi ritti sull'asse trasversale. Derossi e Coretti andaron su come due bertucce; anche il piccolo Precossi salì svelto, benché impacciato da quel giacchettone che gli dà alle ginocchia, e per farlo ridere, mentre saliva tutti gli ripeteano il suo intercalare: - Scusami, scusami! - Stardi sbuffava, diventava rosso come un tacchino, stringeva i denti che pareva un cane arrabbiato; ma anche a costo di scoppiare sarebbe arrivato in cima, e ci arrivò infatti; e Nobis pure, e quando fu lassù prese un'impostatura da imperatore, ma Votini sdrucciolò due volte, nonostante il suo bel vestito nuovo a righette azzurre, fatto apposta per la ginnastica. Per salir più facile s'eran tutti impiastrati le mani di pece greca, colofonia, come la chiamano; e si sa che è quel trafficone di Garoffi che la provvede a tutti, in polvere, vendendola un soldo al cartoccio e guadagnandoci un tanto. Poi toccò a Garrone, che salì masticando pane, come se niente fosse, e credo che sarebbe stato capace di portar su un di noi sulle spalle, da tanto ch'è tarchiato e forte, quel toretto. Dopo Garrone, ecco Nelli. Appena lo videro attaccarsi alla sbarra con quelle mani lunghe e sottili molti cominciarono a ridere e a canzonare; ma Garrone incrociò le sue grosse braccia sul petto, e saettò intorno un'occhiata così espressiva, fece intender così chiaro che avrebbe allungato subito quattro briscole anche in presenza del maestro, che tutti smisero di ridere sul momento. Nelli cominciò a arrampicarsi stentava, poverino, faceva il viso pavonazzo, respirava forte, gli colava il sudore dalla fronte. Il maestro disse: - Vieni giù. - Ma egli no, si sforzava, s'ostinava: io m'aspettavo da un momento all'altro di vederlo ruzzolar giù mezzo morto. Povero Nelli! Pensavo se fossi stato come lui e m'avesse visto mia madre, come n'avrebbe sofferto, povera mia madre, e pensando a questo, gli volevo così bene a Nelli, avrei dato non so che perché riuscisse a salire, per poterlo sospinger io per di sotto, senz'esser veduto. Intanto Garrone, Derossi, Coretti dicevano: - Su, su, Nelli, forza, ancora un tratto, coraggio! - E Nelli fece ancora uno sforzo violento, mettendo un gemito, e si trovò a due palmi dall'asse. - Bravo! - gridarono gli altri. - Coraggio! Ancora una spinta! - Ed ecco Nelli afferrato all'asse. Tutti batteron le mani. - Bravo! - disse il maestro, - ma ora basta; scendi pure. - Ma Nelli volle salir fino in cima come gli altri, e dopo un po' di stento riuscì a mettere i gomiti sull'asse, poi le ginocchia, poi i piedi: infine si levò ritto, e ansando e sorridendo, ci guardò. Noi tornammo a batter le mani, e allora egli guardò nella strada. Io mi voltai da quella parte, e ...
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