[Pagina precedente]...e al mio posto, - rispose il capitano.
- Incontreremo un bastimento, - gli gridarono i marinai, - ci salveremo. Discenda. Lei è perduto.
- Io rimango.
- C'è ancora un posto! - gridarono allora i marinai, rivolgendosi agli altri passeggieri. - Una donna!
Una donna s'avanzò, sorretta dal capitano; ma vista la distanza a cui si trovava la scialuppa, non si sentì il coraggio di spiccare il salto, e ricadde sopra coperta. Le altre donne eran quasi tutte già svenute e come moribonde.
- Un ragazzo! - gridarono i marinai.
A quel grido, il ragazzo siciliano e la sua compagna, ch'eran rimasti fino allora come pietrificati da uno stupore sovrumano, ridestati improvvisamente dal violento istinto della vita, si staccarono a un punto solo dall'albero e si slanciarono all'orlo del bastimento, urlando a una voce: - A me! - e cercando di cacciarsi indietro a vicenda, come due belve furiose.
- Il più piccolo! - gridarono i marinai. - La barca è sopraccarica! Il più piccolo!
All'udir quella parola, la ragazza, come fulminata, lasciò cascare le braccia, e rimase immobile, guardando Mario con gli occhi morti.
Mario guardò lei un momento, - le vide la macchia di sangue sul petto, - si ricordò, - il lampo di un'idea divina gli passò sul viso.
- Il più piccolo! - gridarono in coro i marinai, con imperiosa impazienza. - Noi partiamo!
E allora Mario, con una voce che non parea più la sua, gridò: - Lei è più leggiera. A te, Giulietta! Tu hai padre e madre! Io son solo! Ti do il mio posto! Va giù!
- Gettala in mare! - gridarono i marinai.
Mario afferrò Giulietta alla vita e la gettò in mare.
La ragazza mise un grido e fece un tonfo; un marinaio l'afferrò per un braccio e la tirò su nella barca.
Il ragazzo rimase ritto sull'orlo del bastimento, con la fronte alta, coi capelli al vento, immobile, tranquillo, sublime.
La barca si mosse, e fece appena in tempo a scampare dal movimento vorticoso delle acque prodotto dal bastimento che andava sotto, e che minacciò di travolgerla.
Allora la ragazza, rimasta fino a quel momento quasi fuori di senso, alzò gli occhi verso il fanciullo e diede in uno scroscio di pianto.
- Addio, Mario! - gli gridò fra i singhiozzi, con le braccia tese verso di lui. - Addio! Addio! Addio!
- Addio! - rispose il ragazzo, levando la mano in alto.
La barca s'allontanava velocemente sopra il mare agitato, sotto il cielo tetro. Nessuno gridava più sul bastimento. L'acqua lambiva già gli orli della coperta.
A un tratto il ragazzo cadde in ginocchio con le mani giunte e cogli occhi al cielo.
La ragazza si coperse il viso.
Quando rialzò il capo, girò uno sguardo sul mare: il bastimento non c'era più.
LUGLIO
L'ultima pagina di mia madre
1, sabato
L'anno è finito dunque, Enrico, ed è bello che ti rimanga come ricordo dell'ultimo giorno l'immagine del fanciullo sublime, che diede la vita per la sua amica. Ora tu stai per separarti dai tuoi maestri e dai tuoi compagni; e io debbo darti una notizia triste. La separazione non durerà soltanto tre mesi, ma sempre. Tuo padre, per ragioni della sua professione, deve andar via da Torino, e noi tutti con lui. Ce n'andremo il prossimo autunno. Dovrai entrare in una scuola nuova. Questo ti rincresce, non è vero? perché son certa che tu l'ami la tua vecchia scuola, dove per quattro anni; due volte al giorno, hai provato la gioia d'aver lavorato, dove hai visto per tanto tempo, a quelle date ore, gli stessi ragazzi; gli stessi maestri, gli stessi parenti, e tuo padre o tua madre che t'aspettavano sorridendo, la tua vecchia scuola, dove ti s'è aperto l'ingegno, dove hai trovato tanti buoni compagni, dove ogni parola che hai inteso dire aveva per iscopo il tuo bene, e non hai provato un dispiacere che non ti sia stato utile! Porta dunque quest'affetto con te, e dà un addio dal cuore a tutti quei ragazzi. Alcuni avranno delle disgrazie, perderanno presto il padre e la madre; altri moriranno giovani; altri forse verseranno nobilmente il loro sangue nelle battaglie, molti saranno bravi e onesti operai, padri di famiglie operose e oneste come loro, e chi sa che non ce ne sia qualcuno pure, che renderà dei grandi servigi al suo paese e farà il suo nome glorioso. Separati dunque da loro affettuosamente: lasciaci un poco dell'anima tua in quella grande famiglia, nella quale sei entrato bambino, e da cui esci giovinetto, e che tuo padre e tua madre amano tanto perché tu ci fosti tanto amato. La scuola è una madre, Enrico mio: essa ti levò dalle mie braccia che parlavi appena, e ora mi ti rende grande, forte, buono, studioso: sia benedetta, e tu non dimenticarla mai più, figliuolo. Oh! è impossibile che tu la dimentichi. Ti farai uomo, girerai il mondo, vedrai delle città immense e dei monumenti maravigliosi; e ti scorderai anche di molti fra questi; ma quel modesto edifizio bianco, con quelle persiane chiuse, e quel piccolo giardino, dove sbocciò il primo fiore della tua intelligenza, tu lo vedrai fino all'ultimo giorno della tua vita come io vedrò la casa in cui sentii la tua voce per la prima volta.
TUA MADRE
Gli esami
4, martedì
Eccoci finalmente agli esami. Per le vie intorno alla scuola non si sente parlar d'altro, da ragazzi, da padri, da madri, perfino dalle governanti: esami, punti, tema, media, rimandato, promosso tutti dicono le stesse parole. Ieri mattina ci fu la composizione, questa mattina l'aritmetica. Era commovente veder tutti i parenti che conducevano i ragazzi alla scuola, dando gli ultimi consigli per la strada, e molte madri che accompagnavano i figliuoli fin nei banchi, per guardare se c'era inchiostro nel calamaio e per provare la penna, e si voltavano ancora di sull'uscio a dire: - Coraggio! Attenzione! Mi raccomando! - Il nostro maestro assistente era Coatti, quello con la barbaccia nera, che fa la voce del leone, e non castiga mai nessuno. C'erano dei ragazzi bianchi dalla paura. Quando il maestro dissuggellò la lettera del Municipio, e tirò fuori il problema, non si sentiva un respiro. Dettò il problema forte, guardandoci ora l'uno ora l'altro con certi occhi terribili; ma si capiva che se avesse potuto dettare anche la soluzione, per farci promovere tutti, ci avrebbe avuto un grande piacere. Dopo un'ora di lavoro, molti cominciavano a affannarsi perché il problema era difficile. Uno piangeva. Crossi si dava dei pugni nel capo. E non ci hanno mica colpa molti, di non sapere, poveri ragazzi, che non hanno avuto molto tempo da studiare, e son stati trascurati dai parenti. Ma c'era la provvidenza. Bisognava vedere Derossi che moto si dava per aiutarli, come s'ingegnava per far passare una cifra e per suggerire un'operazione, senza farsi scorgere, premuroso per tutti, che pareva lui il nostro maestro. Anche Garrone, che è forte in aritmetica, aiutava chi poteva, e aiutò perfin Nobis, che trovandosi negli imbrogli, era tutto gentile. Stardi stette per più d'un'ora immobile, con gli occhi sul problema e coi pugni alle tempie, e poi fece tutto in cinque minuti. Il maestro girava tra i banchi dicendo: - Calma! Calma! Vi raccomando la calma! - E quando vedeva qualcuno scoraggiato, per farlo ridere, e mettergli animo spalancava la bocca come per divorarlo, imitando il leone. Verso le undici, guardando giù a traverso alle persiane, vidi molti parenti che andavano e venivano per la strada, impazienti; c'era il padre di Precossi, col suo camiciotto turchino, scappato allora dall'officina, ancora tutto nero nel viso. C'era la madre di Crossi, l'erbaiola; la madre di Nelli, vestita di nero, che non poteva star ferma. Poco prima di mezzogiorno arrivò mio padre e alzò gli occhi alla mia finestra: caro padre mio! A mezzo giorno tutti avevamo finito. E fu uno spettacolo all'uscita. Tutti incontro ai ragazzi a domandare, a sfogliare i quaderni, a confrontare coi lavori dei compagni. - Quante operazioni? - Cos'è il totale? - E la sottrazione? - E la risposta? - E la virgola dei decimali? - Tutti i maestri andavano qua e là , chiamati da cento parti. Mio padre mi levò di mano subito la brutta copia, guardò e disse: - Va bene. - Accanto a noi c'era il fabbro Precossi che guardava pure il lavoro del suo figliuolo, un po' inquieto, e non si raccapezzava. Si rivolse a mio padre: - Mi vorrebbe favorire il totale? Mio padre lesse la cifra. Quegli guardò: combinava. - Bravo, piccino! - esclamò, tutto contento; e mio padre e lui si guardarono un momento, con un buon sorriso, come due amici; mio padre gli tese la mano, egli la strinse. E si separarono dicendo: - Al verbale. - Al verbale. - Fatti pochi passi, udimmo una voce in falsetto che ci fece voltare il capo: era il fabbro ferraio che cantava.
L' ultimo esame
7, venerdì
Questa mattina ci diedero gli esami verbali. Alle otto eravamo tutti in classe, e alle otto e un quarto cominciarono a chiamarci quattro alla volta nel camerone, dove c'era un gran tavolo coperto d'un tappeto verde, e intorno il Direttore e quattro maestri, fra i quali il nostro. Io fui uno dei primi chiamati. Povero maestro! Come m'accorsi che ci vuol bene davvero, questa mattina. Mentre c'interrogavano gli altri, egli non aveva occhi che per noi; Si turbava quando eravamo incerti a rispondere, si rasserenava quando davamo una bella risposta, sentiva tutto, e ci faceva mille cenni con le mani e col capo per dire: - bene, - no, - sta attento, - più adagio, - coraggio. - Ci avrebbe suggerito ogni cosa se avesse potuto parlare. Se al posto suo ci fossero stati l'un dopo l'altro i padri di tutti gli alunni, non avrebbero fatto di più. Gli avrei gridato: - Grazie! - dieci volte, in faccia a tutti. E quando gli altri maestri mi dissero: - Sta bene; va pure, - gli scintillarono gli occhi dalla contentezza. Io tornai subito in classe ad aspettare mio padre. C'erano ancora quasi tutti. Mi sedetti accanto a Garrone. Non ero allegro, punto. Pensavo che era l'ultima volta che stavamo un'ora vicini! Non glielo avevo ancor detto a Garrone che non avrei più fatta la quarta con lui, che dovevo andar via da Torino con mio padre: egli non sapeva nulla. E se ne stava lì piegato in due, con la sua grossa testa china sul banco, a fare degli ornati intorno a una fotografia di suo padre, vestito da macchinista, che è un uomo grande e grosso, con un collo di toro, e ha un'aria seria e onesta, come lui. E mentre stava così curvo, con la camicia un poco aperta davanti, io gli vedevo sul petto nudo e robusto la crocina d'oro che gli regalò la madre di Nelli, quando seppe che proteggeva il suo figliuolo. Ma bisognava pure che glielo dicessi una volta che dovevo andar via. Glielo dissi: - Garrone, quest'autunno mio padre andrà via da Torino, per sempre. - Egli mi domandò se andavo via anch'io; gli risposi di sì. - Non farai più la quarta con noi? - mi disse. Risposi di no. E allora egli stette un po' senza parlare, continuando il suo disegno. Poi domandò senz'alzare il capo: - Ti ricorderai poi dei tuoi compagni di terza? - Sì, - gli dissi, - di tutti; ma di te... più che di tutti. Chi si può scordare di te? - Egli mi guardò fisso e serio con uno sguardo che diceva mille cose; e non disse nulla, solo mi porse la mano sinistra, fingendo di continuare a disegnare con l'altra, ed io la strinsi tra le mie, quella mano forte e leale. In quel momento entrò in fretta il maestro col viso rosso, e disse a bassa voce e presto, con la voce allegra: - Bravi, finora va tutto bene, tirino avanti così quelli che restano; bravi, ragazzi! Coraggio! Sono molto contento. - E per mostrarci la sua contentezza ed esilararci, uscendo in fretta, fece mostra d'inciampare e di trattenersi al muro per non cadere: lui, che non l'avevamo mai visto ridere! La cosa parve così strana, che invece di ridere, tutti rimasero stupiti; tutti sorrisero, nessuno rise. Ebbene, non so, mi fece pena e tenerezza insieme quell'atto di allegrezza da fanciullo. Era tutto il suo premio quel momento d'allegrezza, era il compenso di nove mesi di bontà , di pazienza ed anche di dispiaceri! Per quello aveva faticato tanto tempo, ed era venuto tante volte a far lezione malato, povero maestro! Quello, e non a...
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