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E la ragazza, con una voce grossa, strana, stuonata come quella d'un selvaggio che parlasse per la prima volta la nostra lingua, ma pronunciando chiaro, e sorridendo, rispose: - È mi-o pa-dre.
Il giardiniere diede un passo indietro e gridò come un matto: - Parla! Ma è possibile! Ma è possibile! Parla? Ma tu parli, bambina mia, parli? dimmi un poco: parli? - E di nuovo l'abbracciò e la baciò sulla fronte tre volte. - Ma non è coi gesti che parlano, signora maestra, non è con le dita, così? Ma cosa è questo?
- No, signor Voggi, - rispose la maestra, - non è coi gesti. Quello era il metodo antico. Qui s'insegna col metodo nuovo, col metodo orale. Come non lo sapevate?
- Ma io non sapevo niente! - rispose il giardiniere, trasecolato. - Tre anni che son fuori! O me l'avranno scritto e non l'ho capito. Sono una testa di legno, io. O figliuola mia, tu mi capisci, dunque? Senti la mia voce? Rispondi un poco: mi senti? Senti quello che ti dico?
- Ma no, buon uomo, - disse la maestra, - la voce non la sente, perché è sorda. Essa capisce dai movimenti della vostra bocca quali sono le parole che voi dite; ecco la cosa; ma non sente le vostre parole e neppure quello che essa dice a voi; le pronuncia perché le abbiamo insegnato, lettera per lettera, come deve atteggiar le labbra e muover la lingua, e che sforzo deve far col petto e con la gola, per metter fuori la voce.
Il giardiniere non capì, e stette a bocca aperta. Non ci credeva ancora.
- Dimmi, Gigia, - domandò alla figliuola, parlandole all'orecchio, - sei contenta che tuo padre sia ritornato? - E rialzato il viso, stette a aspettar la risposta.
La ragazza lo guardò, pensierosa, e non disse nulla.
Il padre rimase turbato.
La maestra rise. Poi disse: - Buon uomo, non vi risponde perché non ha visto i movimenti delle vostre labbra: le avete parlato all'orecchio! Ripetete la domanda tenendo bene il vostro viso davanti al suo.
Il padre, guardandola bene in faccia, ripeté: - Sei contenta che tuo padre sia ritornato? che non se ne vada più via?
La ragazza, che gli aveva guardato attenta le labbra, cercando anche di vedergli dentro alla bocca, rispose francamente:
- Sì, so-no contenta, che sei tor-na-to, che non vai via... mai più.
Il padre l'abbracciò impetuosamente, e poi in fretta e in furia, per accertarsi meglio, la affollò di domande.
- Come si chiama la mamma?
- An-tonia.
- Come si chiama la tua sorella piccola?
- A-de-laide.
- Come si chiama questo collegio?
- Dei sor-do-muti.
- Quanto fa due volte dieci?
- Venti.
Mentre credevamo che ridesse di gioia, tutt'a un tratto si mise a piangere. Ma era gioia anche quella.
- Animo, - gli disse la maestra, - avete motivo di rallegrarvi, non di piangere. Vedete che fate piangere anche la vostra figliuola. Siete contento, dunque?
Il giardiniere afferrò la mano alla maestra e gliela baciò due o tre volte dicendo: - Grazie, grazie, cento volte grazie, mille volte grazie, cara signora maestra! E mi perdoni che non le so dir altro!
- Ma non solo parla, - gli disse la maestra; - la vostra figliuola sa scrivere. Sa far di conto. Conosce il nome di tutti gli oggetti usuali. Sa un poco di storia e di geografia. Ora è nella classe normale. Quando avrà fatte le altre due classi, saprà molto, molto di più. Uscirà di qui che sarà in grado di prendere una professione. Ci abbiamo già dei sordomuti che stanno nelle botteghe a servir gli avventori, e fanno i loro affari come gli altri.
Il giardiniere rimase stupito daccapo. Pareva che gli si confondessero le idee un'altra volta. Guardò la figliuola e si grattò la fronte. Il suo viso domandava ancora una spiegazione.
Allora la maestra si voltò al custode e gli disse:
- Chiamatemi una bimba della classe preparatoria.
Il custode tornò poco dopo con una sordomuta di otto o nove anni, entrata da pochi giorni nell'istituto.
- Questa, - disse la maestra, - è una di quelle a cui insegniamo i primi elementi. Ecco come si fa. Voglio farle dire e. State attento. - La maestra aperse la bocca, come si apre per pronunciare la vocale e, e accennò alla bimba che aprisse la bocca nella stessa maniera. La bimba obbedì. Allora la maestra le fece cenno che mettesse fuori la voce. Quella mise fuori la voce, ma invece di e, pronunziò o. - No, - disse la maestra, - non è questo. - E pigliate le due mani della bimba, se ne mise una aperta sulla gola e l'altra sul petto, e ripeté: - e. - La bimba, sentito con le mani il movimento della gola e del petto della maestra, riaperse la bocca come prima, e pronunziò benissimo: - e. - Nello stesso modo la maestra le fece dire c e d, sempre tenendosi le due piccole mani sul petto e sulla gola. - Avete capito ora? - domandò.
Il padre aveva capito; ma pareva più meravigliato di quando non capiva. - E insegnano a parlare in quella maniera? - domandò, dopo un minuto di riflessione, guardando la maestra. - Hanno la pazienza d'insegnare a parlare a quella maniera, a poco a poco, a tutti quanti? a uno a uno?... per anni e anni?... Ma loro sono santi, sono! Ma loro sono angeli del paradiso! Ma non c'è al mondo una ricompensa, per loro! Che cosa ho da dire?... Ah! mi lascino un poco con la mia figliuola, ora. Me la lascino cinque minuti per me solo.
E tiratala a sedere in disparte cominciò a interrogarla, e quella a rispondere, ed egli rideva con gli occhi lustri, battendosi i pugni sulle ginocchia, e pigliava la figliuola con le mani, guardandola, fuor di sé dalla contentezza a sentirla, come se fosse una voce che venisse dal cielo; poi domandò alla maestra: - Il signor Direttore, sarebbe permesso di ringraziarlo?
- Il Direttore non c'è, - rispose la maestra. - Ma c'è un'altra persona che dovreste ringraziare. Qui ogni ragazza piccola è data in cura a una compagna più grande, che le fa da sorella, da madre. La vostra è affidata a una sordomuta di diciassette anni, figliuola d'un fornaio, che è buona e le vuol bene molto: da due anni va a aiutarla a vestirsi ogni mattina, la pettina, le insegna a cucire, le accomoda la roba, le tien buona compagnia. Luigia, come si chiama la tua mamma dell'istituto?
La ragazza sorrise e rispose: - Cate-rina Gior-dano. - Poi disse a suo padre: - Mol-to, mol-to buona.
Il custode, uscito a un cenno della maestra, ritornò quasi subito con una sordomuta bionda, robusta di viso allegro, vestita anch'essa di rigatino rossiccio col grembiale grigio; la quale si arrestò sull'uscio e arrossì; poi chinò la testa, ridendo. Aveva il corpo d'una donna, e pareva una bambina.
La figliuola di Giorgio le corse subito incontro, la prese per un braccio come una bimba e la tirò davanti a suo padre, dicendo con la sua grossa voce: - Ca-te-rina Gior-dano.
- Ah! la brava ragazza! - esclamò il padre, e allungò la mano per carezzarla, ma la tirò indietro, e ripeté: - Ah! la buona ragazza, che Dio la benedica, che le dia tutte le fortune, tutte le consolazioni, che la faccia sempre felice lei e tutti i suoi, una buona ragazza così, povera la mia Gigia, è un onesto operaio, un povero padre di famiglia che glielo augura di tutto cuore!
La ragazza grande accarezzava la piccola, sempre tenendo il viso basso e sorridendo; e il giardiniere continuava a guardarla, come una madonna.
- Oggi vi potete pigliar con voi la vostra figliuola, - disse la maestra.
- Se me la piglio! - rispose il giardiniere. - Me la conduco a Condove e la riporto domani mattina. Si figuri un po' se non me la piglio! - La figliuola scappò a vestirsi. - Dopo tre anni che non la vedo! - riprese il giardiniere. - Ora che parla! A Condove subito me la porto. Ma prima voglio far un giro per Torino con la mia mutina a braccetto, che tutti la vedano, e condurla dalle mie quattro conoscenze, che la sentano! Ah! la bella giornata! Questa si chiama una consolazione.! Qua il braccio a tuo padre, Gigia mia! - La ragazza, ch'era tornata con una mantellina e una cuffietta, gli diede il braccio.
- E grazie a tutti! - disse il padre di sull'uscio. - Grazie a tutti con tutta l'anima mia! Tornerò ancora una volta a ringraziar tutti!
Rimase un momento sopra pensiero, poi si staccò bruscamente dalla ragazza, tornò indietro frugandosi con una mano nella sottoveste, e gridò come un furioso: - Ebbene, sono un povero diavolo, ma ecco qui, lascio venti lire per l'istituto, un marengo d'oro bell'e nuovo.
E dando un gran colpo sul tavolino, vi lasciò il marengo.
- No, no, brav'uomo, - disse la maestra commossa. - Ripigliatevi il vostro denaro. Io non lo posso accettare. Ripigliatevelo. Non tocca a me. Verrete quando ci sarà il Direttore. Ma non accetterà nemmeno lui, statene sicuro. Avete faticato troppo per guadagnarveli, pover'uomo. Vi saremo tutti grati lo stesso.
- No, io lo lascio, - rispose il giardiniere, intestato; - e poi... si vedrà .
Ma la maestra gli rimise la moneta in tasca senza lasciargli il tempo di respingerla.
E allora egli si rassegnò, crollando il capo; e poi, rapidamente, mandato un bacio con la mano alla maestra e alla ragazza grande, e ripreso il braccio della sua figliuola, si slanciò con lei fuor della porta dicendo: - Vieni, vieni, figliuola mia, povera mutina mia, mio tesoro!
E la figliuola esclamò con la sua voce grossa: - Oh-che-bel-sole!
GIUGNO
Garibaldi
3, sabato. Domani è la festa nazionale
Oggi è un lutto nazionale. Ieri sera è morto Garibaldi. Sai chi era? È quello che affrancò dieci milioni d'Italiani dalla tirannia dei Borboni. È morto a settantacinque anni. Era nato a Nizza, figliuolo d'un capitano di bastimento. A otto anni salvò la vita a una donna, a tredici, tirò a salvamento una barca piena di compagni che naufragavano, a ventisette, trasse dall'acque di Marsiglia un giovanetto che s'annegava, a quarant'uno scampò un bastimento dall'incendio sull'Oceano. Egli combatté dieci anni in America per la libertà d'un popolo straniero, combatté in tre guerre contro gli Austriaci per la liberazione della Lombardia e del Trentino difese Roma dai Francesi nel 1849, liberò Palermo e Napoli nel 1860, ricombatté per Roma nel '67, lottò nel 1870 contro i Tedeschi in difesa della Francia. Egli aveva la fiamma dell'eroismo e il genio della guerra. Combatté in quaranta combattimenti e ne vinse trentasette. Quando non combatté, lavorò per vivere o si chiuse in un'isola solitaria a coltivare la terra. Egli fu maestro marinaio, operaio, negoziante, soldato, generale, dittatore. Era grande, semplice e buono. Odiava tutti gli oppressori; amava tutti i popoli; proteggeva tutti i deboli; non aveva altra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori; disprezzava la morte, adorava l'Italia. Quando gettava un grido di guerra, legioni di valorosi accorrevano a lui da ogni parte. signori lasciavano i palazzi; operai le officine, giovanetti le scuole per andar a combattere al sole della sua gloria. In guerra portava una camicia rossa. Era forte, biondo, bello. Sui campi di battaglia era un fulmine, negli affetti un fanciullo, nei dolori un santo. Mille Italiani son morti per la patria, felici morendo di vederlo passar di lontano vittorioso migliaia si sarebbero fatti uccidere per lui; milioni lo benedissero e lo benediranno. È morto. Il mondo intero lo piange. Tu non lo comprendi per ora. Ma leggerai le sue gesta, udrai parlar di lui continuamente nella vita; e via via che crescerai, la sua immagine crescerà pure davanti a te; quando sarai un uomo, lo vedrai gigante, e quando non sarai più al mondo tu, quando non vivranno più i figli dei tuoi figli, e quelli che saran nati da loro, ancora le generazioni vedranno in alto la sua testa luminosa di rendentore di popoli coronata dai nomi delle sue vittorie come da un cerchio di stelle, e ad ogni italiano risplenderà la fronte e l'anima pronunziando il suo nome.
TUO PADRE
L'esercito
11, domenica. Festa nazionale. Ritardata di sette giorni per la morte di Garibaldi
Siamo andati in piazza Castello a veder la rassegna dei soldati, che sfilarono davanti al Comandante del Corpo d'esercito, in mezzo a due grandi ali di popolo. Via via che sfilavano, al suono delle fanfare e delle bande, mio padre mi accennava i Corpi e le glorie...
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