[Pagina precedente]... cominciò ad amarmi proprio per avermi visto tanto energico prima alla difesa del mio onore e poi di me stesso, m'ama come sono e sono sempre quegli ch'ella amò.
REALI Ma lasciamo stare voi ch'io vorrei escludere da quest'argomento. È anzi questo ch'io da te esigo. Abbiamo da trattare il fatto Cerigni e non il tuo. Io mi appello al legale, allo scienziato. Spogliati delle tue passioni e comprendi tutti i diritti degli altri, il diritto d'amare e di vivere prima di tutto.
FEDERICO (con voce roca). Non comprendo neppure quello che tu vuoi dire!
REALI Federico! Federico! T'ho già offeso proclamando il diritto d'amare degli altri? Ma dove è la possibilità che ci sia offesa per te nel fatto che la moglie del Cerigni abbia amato altri che il proprio marito?
FEDERICO (c.s.). Tu non la vedi?
REALI (deciso). No! Senti! Tu sai che all'amore io ci ho pensato poco. Già da giovine incominciai a teorizzare a considerare la mia vita quale una vita a parte, da contemplatore. Oggi poi invecchiato, all'amore non ci penso che con la curiosità che può sentire un altro sentendo parlare di paesi che non vedrà giammai. Ebbene! Io muterei il mio destino tanto sereno pieno del godimento della mia inerzia contemplativa che non mi turba e che mi svaga, col fosco destino del giovine Arbe il quale seppe ispirare e sentire un tale amore.
FEDERICO Chi è costui?
REALI L'amante della Cerigni.
FEDERICO (ironico). A quest'ora naturalmente tutti sanno ch'egli è il fortunato mortale che costò la vita ad una donna e l'onore ad un uomo.
REALI Non è certo lui che lo divulgò!
FEDERICO (c.s.). Ma tutti lo sanno meno il marito probabilmente.
REALI Non tutti! Io, però, lo so esattamente e sta a sentire come. Ero a trovare all'ospitale tempo fa il dottor Emmo. Volle consultarmi sull'opportunità di precipitare l'amputazione di due arti lesi gravemente. Sai che cosa sia una lesione grave? (A un gesto ripulsivo di Federico.) Lascia che te lo spieghi. Quando nel nostro corpo un osso si spezza, talvolta esso diventa un'arma micidiale. Taglia muscoli, carne e pelle e si sporge ad offrire al contatto dell'aria contaminata il proprio midollo. Il possessore delle due gambe sfortunate era il povero Arbe. (A Federico che alza le spalle.) Oh! non ebbi a commuovermi alla vista delle gambe. Io credo d'aver visto in vita mia tutto quello di peggio che può avvenire a questo nostro povero corpo! L'Arbe era perfettamente in sé dopo aver passato varii giorni in delirio in seguito alla scossa cerebrale riportata. Oramai si sa esattamente tutto quello che gli è avvenuto. Destato dal suo sogno d'amore dal grido d'allarme gettato dalla cameriera egli senz'altro si gettò dalla finestra. Tentò di giungere al primo piano almeno sulle sporgenze decorative del ricco palazzo; ne fanno fede le sue mani orribilmente escoriate. Non poté e precipitò pesantemente al suolo producendosi quelle ferite che t'ho detto. Ma egli non fu trovato al posto ove cadde. Con una forza veramente sovrumana con le sole mani che si trovavano nello stato che t'ho detto s'allontanò da quel palazzo quanto poté. Pochi passi, è vero, e fu facile capire da quale punto egli giungesse perché un filo di sangue marcava il suo passaggio. Quale viaggio dovette essere quel breve percorso! Dall'infermiera, una suora, seppi il resto. Il delirio lo ricondusse immediatamente all'amore da cui era stato strappato in modo sà rude. La suora, cui l'amore è interdetto, lagrimava riferendoci le espressioni d'amore ch'essa aveva udite. Lo trovarono col fazzoletto in bocca per impedirsi di gridare. Anche ora diffida di tutti e la madre che passa anch'essa la vita al suo letto non poté ancora avere una confessione da lui. Tutti sanno tutto ma non possono dirglielo. Sarebbero obbligati di dirgli nello stesso tempo che Elena Cerigni per colpa sua fu uccisa e ciò significherebbe forse ammazzarlo.
FEDERICO Un bravo giovine, ma ciò non prova nulla.
REALI Lo conosci tu? Una testa d'adolescente corretta da un maschio sguardo aperto. Si anima quando vede una faccia nuova. Procura di ciarlare per spingere alla ciarla gli altri. Ti ficca gli occhi neri in faccia e tu che sai tutto indovini la domanda che ti fa. A me domandò quali famiglie frequentassi qui. Aveva cominciato col dirmi che la parte piú grave della sua malattia era la noia che provava. Dimenticava le sue gambe spezzate! Poi s'interessò dell'esser mio e con una politica meravigliosa arrivò a chiedermi in modo che non poteva destare sospetti quali famiglie io qui frequentassi. E di ognuna s'intrattenne con uno spirito che veramente sarebbe stato a posto in un salotto di conversazione. Era uno sforzo il suo per arrecarmi diletto e farmi ciarlare. Senza malizia, te lo assicuro, io nominai i Cerignola. Lo misi a dura prova. Accortomi della somiglianza del nome, sulla seconda sillaba mi fermai e fu peggio. Se tu avessi visto quel volto emaciato come si contrasse nello sforzo di non tradire l'ansia. Avrei voluto liberarlo almeno da quello sforzo doloroso e gridargli: Ma a che serve il tuo eroismo? Il marito ha già divulgato tutto.
FEDERICO (con ironia). Già . Se non ci fosse stato il marito, nulla di male sarebbe avvenuto.
REALI Oh! Federico! Una volta io dicevo di te che le piú alte intelligenze dovevano inchinarsi alla tua. Oggi io dico che a te manca il piú comune buon senso. (S'avvia, poi s'arresta.) No! il mio dovere m'impone di dirti tutto. Senti! Se tu accetterai la difesa del Cerigni vedrai comparire il tuo nome non solo quale avvocato difensore. Sarai tirato in causa in tutti i modi: Quale marito che uccise la moglie e quale scienziato che scrisse in modo da non far supporre in lui un difensore dell'odio e della violenza.
FEDERICO Si fa allusione a quei miei opuscoli giovanili dimenticati da tutti e da me stesso.
REALI Sà e specialmente ad uno: La Morale Scientifica moderna, un opuscolo tenuto in stile quasi arido scientifico ma di cui ogni pagina appare animata dalla fiducia nella bontà umana. È tuo quel detto: Il delinquente può meritar castigo ma non odio. All'epoca in cui pubblicasti quell'opuscolo l'idea parve audace. Oggi è ammessa da tutti meno che da te... a quanto pare.
FEDERICO La minaccia di ripubblicare quella raccolta di bestialità ch'è quel mio opuscolo non mi spaventa. Chi fece tale minaccia?
REALI Un congiunto della Cerigni indignato d'apprendere per quali vie subdole si voglia arrivare all'assoluzione del marito che non è, te lo ripeto, degno del tuo appoggio.
FEDERICO (calmo e risoluto). Non è di lui che si tratta e non di Arbe; di me solo si tratta qui. Difenderò Cerigni per ottenere una seconda volta la mia assoluzione. Come puoi credere che le tue parole per quanto ben confezionate non abbiano ad apparirmi quale una condanna del mio passato? T'invito al processo Cerigni; è là che discuterò la mia causa. Può essere ch'io manchi di senso comune; vedrai però come saprò soggiogare il senso comune altrui.
REALI (con disdegno). Della retorica!
SCENA OTTAVA
AUGUSTO, poi ARIANNA e DETTI
AUGUSTO (va a Federico e gli parla a bassa voce).
FEDERICO Venga pure! (Seccato e rassegnato, Augusto esce.) A proposito! È la madre di Clara! Un'altra che mi considera un assassino, ma almeno quella me lo dice in faccia.
REALI (con slancio). Ma Federico, hai bisogno tu ch'io ti dica quanto ti stimi e ti ami? Io ti rimprovero il tuo presente e non il tuo passato. È solo una divergenza di opinioni fra noi e dovremmo perciò odiarci?
FEDERICO (lo guarda negli occhi, poi gli stringe la mano). Ti credo! Grazie!
ARIANNA Ho chiesto di parlare all'avvocato Arcetri.
FEDERICO Ed io sono qui ad ascoltarla. Mio cognato Alfredo Reali può forse assistere al nostro colloquio?
ARIANNA No!
REALI (che la guarda attentamente). Tuttavia io vorrei rimanere qui.
ARIANNA Vi fu raccontato dell'attentato che commisi su vostro cognato? Oh! rassicuratevi! Sono inerme del tutto! Visitatemi! (Alza le braccia.)
FEDERICO Te ne prego, Alfredo, lasciaci soli. Non temere di nulla. Quell'attentato di cui essa parla fu una cosa veramente inoffensiva.
ARIANNA Inoffensiva perché non riuscÃ. A me importa che il vostro signor cognato sappia ch'io ho fatto quanto ho potuto per danneggiarvi.
FEDERICO Sta bene! Sia come volete! Ma tuttavia resto con voi solo. Addio Alfredo! (Lo accompagna alla porta poi ritorna al suo tavolo.) Eccomi a voi! Accomodatevi!
ARIANNA Non occorre! Sarò breve! (Solleva la propria veletta, Federico ha un gesto di sorpresa.) Mi trovate mutata molto? Vi sorprende di trovarmi in tale stato? Ho lasciato da pochi giorni il letto ove stetti quasi un anno.
FEDERICO (con premura). Ammalata?
ARIANNA SÃ! Il medico che mi avevano chiamato mi trovava ammalata ma mi diceva sempre che per vivere avrei dovuto alzarmi e girare per la città o andarmene in campagna. Ma io non sapevo che fare né in città né in campagna e restavo in letto spossata esaminandomi se forse riposando tanto mi sarebbe venuta la forza per tentare infine qualche cosa di piú efficace contro di voi. Invece morivo! Avevo sempre intorno al mio letto il fantasma della mia Clara e a voi pensavo poco. Ora l'affievolirsi del mio odio per voi significava certo l'affievolirsi della mia vita stessa. Voi con la mia morte guadagnavate poco o niente perché io nulla ho potuto contro di voi. Ho tentato di ammazzarvi, di deturparvi e voi sapete come il mio braccio fu debole, e come ebbi bisogno della vostra misericordia! Quanto male mi fece quella misericordia! Ho pensato di colpirvi nelle sostanze, di togliervi fino all'ultimo centesimo della dote di Clara. Eravate povero quando l'avete sposata; volevo che tornaste povero. E dovetti accorgermi che restavate ricco anche se vi toglievo gli averi della poveretta. Che cosa potevo fare di piú? A forza di perseguitarvi divenni ricca io stessa, ricca, ah! ah! ricca! (Con una risata da pazza.) Che cosa potevo fare di piú? Anziché fare del male a voi, feci del bene a me! Ah! Ah! E non potevo fare altro! Vi stimano, vi amano, vi proteggono! V'hanno assolto! Mi posi in quel letto e vi stetti come vi dissi per attendere e anche per nascondermi. Sapete voi che cosa evitavo con la massima gelosia? La luce del giorno! Ne arrossivo! E sapete perché? (Con grande violenza.)
FEDERICO Io non so attribuirvi alcun delitto meno che il vostro odio per me. Vi fu un tempo in cui parve che tale odio s'attenuasse. Ve ne ricordate? Un giorno, in carcere, piangeste con me!
ARIANNA Me lo ricorda! Me lo ricorda! È perciò, è perciò ch'io evito la luce del giorno! Mai, mai non s'attenuò il mio odio pel vostro misfatto! Voi non avete capito niente, voi mentite! Io mai vi approvai! La stupefazione che in me si produsse all'apprendere il vostro misfatto mi lasciò per molto tempo istupidita! Mi doleva e non sapevo neppure dove. È vero! è vero! Al primo istante ho potuto soffrire oltre che per la perdita di Clara anche per aver perduto voi! E nella mia disperazione quando pregavo Dio vi facesse assolvere, non immaginavo, non pensavo che Clara sarebbe rinata ma veramente qualche cosa di simile. Era stupido, talmente, che non arrivo piú a capirmi, ma era cosÃ! Tutto un periodo di sogno fu quello e per uscirne ci volle tanto tempo! Mi pareva impossibile che la morte di Clara fosse eterna! Sognavo - che so io? - che assolto voi avreste potuto assolvere a vostra volta Clara e ridarle la vita. Era fatto cosà il mio stupido cuore allora! Nessun ragionamento valeva a convincermi che, morta Clara, dovesse nello stesso tempo morire il mio affetto materno per voi. Io credo che il sentimento piú forte ch'io provassi allora fosse la compassione per voi! Oh! povero il mio figliuolo! pensavo credendo di conoscervi. Perché non è morto nello stesso tempo? Lo assolvano pure ma come potrà egli vivere? Vi credevo martoriato dai rimorsi! (Federico, alza le spalle.) Oh! non protestare! Oramai so che non avete rimorsi! Ma potevo crederlo! Anch'io posso ricordarvi le lagrime che spargeste in carcere! Ve le ricordate? Eravate ai miei piedi torcendovi nella polvere gridando che non piangevate il vostro proprio destino, la prigioni...
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