[Pagina precedente]...olui che ne ha studiato più parti. La carta stampata danneggia quindi il cervello più che non lo avvantaggi. Quel quindi non era del tutto diretto, ma Alfonso non fece mostra di avvedersene e Macario si compiacque del proprio ragionamento.
- Bellissimo! - esclamò una sera Macario alla biblioteca, e pose dinanzi ad Alfonso un libriccino ch'egli aveva finito di leggere: Louis Lambert di Balzac.
Lo lesse anche Alfonso in due o tre giorni e la sua ammirazione non fu minore. Salvo una lettera di amore di una passione profonda e tanto sensuale da non esserlo più, egli non ammirò tanto i pregi artistici dell'opera, quanto l'originalità di tutto un sistema filosofico esposto alla breve ma intero, con tutte le sue parti indicate, e regalato dall'autore al suo protagonista con la splendidezza di gran signore.
Macario gli chiese come gli fosse piaciuto e Alfonso era in procinto di dirne con sincerità la sua opinione. Ma Macario con premura, quasi avesse temuto gli venissero rubate le idee, disse e gl'impose la sua:
- Sa perché è un bel libro? è l'unico di Balzac che sia veramente impersonale, e lo divenne per caso. Louis Lambert è matto, è composto di matti tutto il suo contorno e, per compiacenza, l'autore in quest'occasione rappresenta matto anche se stesso. Così è un piccolo mondo che si presenta intatto, da sé, senza la più piccola ingerenza dall'esterno.
Alfonso rimase stupefatto a questa critica altrettanto originale quanto falsa. Doveva essere stata fatta con un metodo che Alfonso si trattenne dall'indicare, unicamente perché temeva di venir messo anche lui in quel piccolo mondo che si presentava da sé.
La sua compagnia doveva piacere a Macario. La cercava di spesso; qualche sera gli usò anche la gentilezza di andarlo a prendere all'ufficio.
Ad Alfonso non sfuggì la causa di quest'affetto improvviso. Lo doveva alla sua docilità e, pensò, anche alla sua piccolezza. Era tanto piccolo e insignificante, che accanto a lui Macario si trovava bene. Non si compiacque meno di tale amicizia. Le cortesie, anche se comperate a caro prezzo, piacciono. Non disistimava Macario. Per certe qualità ammirava quel giovine tanto elegante, artista inconscio, intelligente anche quando parlava di cose che non sapeva.
Macario possedeva un piccolo cutter e frequentemente invitò Alfonso a gite mattutine nel golfo. Nella sua vita triste, quelle gite furono per Alfonso vere feste. In barca gli era anche più facile di dare il suo assenso alle asserzioni di Macario e in gran parte non le udiva. Si trovava ancora sempre alla conquista della solida salute che gli occorreva, riteneva, per sopportare la dura vita di lavoro a cui faceva proponimento di sottoporsi, e gli effluvi marini dovevano aiutarlo a trovarla.
Una mattina soffiava un vento impetuoso e alla punta del molo, ove si trovavano per attendere la barca che doveva venirli a prendere, Alfonso propose a Macario di tralasciare per quella mattina la gita che gli sembrava pericolosa. Macario si mise a deriderlo e non ne volle sapere.
Il cutter si avvicinava. Piegato dalle vele bianche gonfiate dal vento, sembrava ad ogni istante di dover capovolgersi e di raddrizzarsi all'ultimo estremo sfuggendo al pericolo imminente. Alfonso da terra era colto da quei tremiti nervosi che si hanno al vedere delle persone in pericolo di cadere e fu solo per la paura delle ironie di Macario che non seppe lasciarlo partir solo.
Ferdinando, un facchino ch'era stato marinaio, dirigeva la barca. Lasciò il posto al timone a Macario il quale sedette dopo toltasi la giubba quasi per prepararsi a grandi fatiche:
- Ora fuoco alla macchina, - gridò a Ferdinando.
Ferdinando scese a terra e trascinò il cutter per l'albero di prora da un angolo del molo all'altro; poi, un piede puntellato a terra, l'altro sul cutter, lo spinse al largo.
Alfonso lo guardò tremando; temeva di vederlo piombare in acqua e, per quanto piccolo, l'imminenza di un pericolo lo faceva sussultare.
- Che agile! - disse a Ferdinando.
Gli pareva d'essere in mano sua e aveva il desiderio quasi inconscio d'amicarselo. Ferdinando alzò il capo, giovanile ad onta del grigio nella barba e della calvizie abbastanza inoltrata, e ringraziò. Non essendo suo il mestiere, ci teneva molto ad apparire abile. Comprese però male lo scopo della raccomandazione. Trasse con forza a sé la vela e la fissò, aiutando poscia a tenderla con tutto il peso del suo corpo. Immediatamente il vento che pareva sorgesse allora la gonfiò e la barca si piegò con veemenza proprio dalla parte ove sedeva Alfonso.
S'era proposto di far mostra di grande sangue freddo, ma i propositi non bastarono all'improvviso spavento. Poté trattenersi dal gridare ma balzò in piedi e si gettò dall'altra parte sperando di raddrizzare la barca con il suo peso. Si tranquillò alquanto sentendosi più lontano dall'acqua e sedette afferrandosi con le mani alla banchina.
Macario lo guardò con un leggero sorriso. Si sentiva bene nella sua calma accanto ad Alfonso e per rendere più evidente il distacco tenne il cutter sotto la piena azione del vento. Alfonso vide il sorriso e volle prendere l'aspetto di persona calma. Segnalò a Macario all'orizzonte delle punte bianche di montagne di cui non si vedevano le basi.
Passando accanto al faro poté misurare la rapidità con la quale tagliavano l'acqua; diede un balzo sembrandogli che la barca andasse a sfracellarsi sui sassi che la contornavano.
- Sa nuotare? - gli chiese Macario con tranquillità . - Alla peggio ritorneremo a casa a nuoto. Ma - e finse grande preoccupazione - anche se si sentisse andare a fondo non si aggrappi a me perché saremmo perduti in due. Penseremo a lei io e Nando. Nevvero, Nando?
Ridendo sgangheratamente, costui lo promise.
Coi suoi modi da pensatore, Macario si dilungò in considerazioni sugli effetti della paura. Ogni dieci parole alzava la mano aristocratica, l'arrotondava e tutti i sottintesi che quel gesto segnava, cui nel vuoto della mano creava il posto, Alfonso lo sapeva, dovevano andare a colpire lui e la sua paura.
- Muore maggior numero di persone per paura che per coraggio. Per esempio in acqua, se vi cadono, muoiono tutti coloro che hanno l'abitudine di afferrarsi a tutto quello che loro è vicino, - e fece una strizzatina d'occhio verso le mani di Alfonso che si chiudevano nervosamente sulla banchina.
E passarono accanto al verde Sant'Andrea senza che Alfonso potesse padroneggiarsi. Guardava, ma non godeva.
La città , quando al ritorno la rivide, gli parve triste. Sentiva un grande malessere, una stanchezza come se molto tempo prima avesse fatto tanta via e che poi non lo si fosse lasciato riposare mai più. Doveva essere mal di mare e provocò l'ilarità di Macario dicendoglielo.
- Con questo mare!
Infatti il mare sferzato dal vento di terra non aveva onde. Vi erano larghe strisce increspate, altre incavate, liscie liscie precisamente perché battute dal vento che sembrava averci tolto via la superficie. Nella diga c'era un romoreggiare allegro come quello prodotto da innumerevoli lavandaie che avessero mosso i loro panni in acqua corrente.
Alfonso era tanto pallido che Macario se ne impietosì e ordinò a Ferdinando di accorciare le vele.
Si era in porto, ma per giungere al punto di partenza si dovette passarci dinanzi due volte.
Si udivano i piccoli gridi dei gabbiani. Macario per distrarlo volle che Alfonso osservasse il volo di quegli uccelli, così calmo e regolare come la salita su una via costruita, e quelle cadute rapide come di oggetti di piombo. Si vedevano solitarii, ognuno volando per proprio conto, le grandi ali bianche tese, il corpicciuolo sproporzionatamente piccolo coperto da piume leggiere.
- Fatti proprio per pescare e per mangiare, - filosofeggiò Macario. - Quanto poco cervello occorre per pigliare pesce! Il corpo è piccolo. Che cosa sarà la testa e che cosa sarà poi il cervello? Quantità da negligersi! Quello ch'è la sventura del pesce che finisce in bocca del gabbiano sono quelle ali, quegli occhi, e lo stomaco, l'appetito formidabile per soddisfare il quale non è nulla quella caduta così dall'alto. Ma il cervello! Che cosa ci ha da fare il cervello col pigliar pesci? E lei che studia, che passa ore intere a tavolino a nutrire un essere inutile! Chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più. Chi non sa per natura piombare a tempo debito sulla preda non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare come fanno gli altri, non li saprà imitare. Si muore precisamente nello stato in cui si nasce, le mani organi per afferrare o anche inabili a tenere.
Alfonso fu impressionato da questo discorso. Si sentiva molto misero nell'agitazione che lo aveva colto per cosa di sì piccola importanza.
- Ed io ho le ali? - chiese abbozzando un sorriso.
- Per fare dei voli poetici sì! - rispose Macario, e arrotondò la mano quantunque nella sua frase non ci fosse alcun sottinteso che abbisognasse di quel cenno per venir compreso.
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IX
Annetta era ritornata in città un mese circa prima del padre, il quale dalla villeggiatura era partito per affari per la capitale. Passarono in quel mese per le mani di Alfonso diversi dispacci di Maller, pagine intere, redatte con negligenza, senza risparmio. Si trattava di affari e Alfonso non volle volontario sottoporsi al lavoro ch'era quella lettura. Un ultimo dispaccio gli venne fatto vedere da Starringer, lo speditore, per le mani del quale passavano tutti i documenti e che li leggeva tutti. Il dispaccio di Maller si chiudeva con le parole: "Avvertite la mia famiglia che arrivo domattina. La carrozza venga a prendermi alla stazione".
Il signor Maller doveva essere giunto da ventiquattr'ore e Alfonso ancora non lo aveva veduto. Si aspettava di trovarsi da un momento all'altro faccia a faccia con lui e camminava più timido che di solito per il corridoio.
Miceni venne ad avvisarlo che usciva appunto dalla stanza di Maller ove era stato per salutarlo. Il signor Maller lo aveva accolto con immensa cortesia e gli aveva stretto due volte la mano. Solitamente, parlando dei superiori, Miceni era velenosamente democratico, ma quel giorno, sotto l'impressione di quelle due strette di mano, era più dolce e pareva gli avessero fatto dimenticare lo scacco subito da Sanneo. Non soltanto lodava il signor Maller per la sua cortesia, ma anche da impiegato affettuoso si rallegrava di trovargli l'aspetto fiorente.
- Mi consigli di andarlo a salutare anch'io?
- Vanno quasi tutti; puoi fare come meglio ti sembra.
Alchieri ci era andato, ma non valeva quale norma, perché Sanneo lo aveva mandato in direzione per affari e così aveva salutato Maller occasionalmente. White tanto meno poteva servire d'esempio ad Alfonso perché le stanze dei direttori erano quasi stanze sue e ci passava metà della giornata.
Ballina non volle andarci. Non aveva dei dubbi lui:
- Gesù non si deride, i suoi vicari sì. Quando arrivò Sanneo andai a salutarlo perché sapevo che ci teneva e che non era tanto furbo da poter capire che io altro non facevo che un passo diplomatico. Il signor Maller deve pur avere qualche cosa in testa per poter essere il padrone di noi tutti ed io non mi permetto di scherzare con lui.
Alfonso rimase indeciso per tutto un giorno. Aveva dimenticato di chiedere consiglio a Macario che con una sola parola gli avrebbe tolto ogni dubbio. Tutto quello ch'era dubbio finiva col divenire importante per Alfonso. Andando temeva di seccare Maller e che glielo dimostrasse, e non andandoci, che la sua assenza venisse notata come una mancanza di riguardo.
Stava per uscire dalla banca rimandando la difficile risoluzione al giorno appresso, allorché questa gli venne resa più facile da parecchi impiegati che attendevano in corridoio di poter entrare da Maller per salutarlo. Rapidamente deciso si unì a loro.
Il vecchio Marlucci, un toscano che parlava sempre del governo granducale rimpiangendolo, uscì dalla stanza del principale. Sessantenne e seduto da una ventina d'anni dietro a un libro maestro, era l'amico intrinseco di Jassy. Venivano e andavano insieme riuniti dalla medesima sve...
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