[Pagina precedente]...della quale, a quanto si dice, si può divenire l'amante con facilità , e non sarebbe mica poco piacevole. - Da questa osservazione passò a ragionare ad Alfonso della seduzione in generale. - Per saper prendere una donna che vuole darsi ci vuol poco, ma già tanto che la persona più astuta non ci arriva. Bisogna sapere il quando, perché anche una donna che vuole non vuole sempre, e saputo questo quando, bisogna saper attaccare prontamente, cosa anche meno facile, perché per tale specie di risoluzione ci vuole più nervi che ad un generale per dirigere una battaglia. La risoluzione non diviene più facile per quanto si sappia di essere atteso e quindi sicuramente vittorioso. Con le donne indecise poi, alle quali bisogna apportare una convinzione e toglierne un'altra, è cosa tanto difficile che io che pur so fare non mi ci sono mai messo. Sono però convinto che anche là si tratta più di agire che di parlare. Parlare prima, molto tempo prima, ma i discorsi non portano nessuna donna al passo senza rimedio. Con le donne bisogna saper agire. Baciare per esempio, baciare una mano, un volto, un collo, un piede magari, quello ch'è più vicino. I buoni parlatori non sono mai fortunati con le donne.
Sembrava fatta per lui quella predica, ma andando all'ufficio Alfonso rideva. Aveva sognato di aver preso sul serio i consigli di Macario e di aver agito con Annetta. Vedeva la bianca mano alzarsi minacciosamente e terminare la scena col suono di uno schiaffo. Macario aveva forse anche sperato che i suoi consigli venissero seguiti e Alfonso lo sospettava capace di tanto. Tanto meglio! Quella specie di agguato che Macario gli aveva teso diventava per lui un avvertimento.
Ebbe ben presto l'occasione di ripensare al consiglio di Macario. Una sera Francesca li lasciò soli, Annetta scriveva calma con la sua bella scrittura minuta ma a tratti decisi; teneva il braccio sinistro teso sul tavolo sul quale poggiava il petto, e la sua mano arrivava proprio sotto alla bocca di Alfonso. Era impossibile non pensare all'atto consigliato da Macario e Alfonso fremette accorgendosi che i peli del suo mento già avevano toccata quella mano e che non perciò veniva ritirata. Si ricordò che Macario aveva dichiarato che un uomo diveniva ridicolo agli occhi di una donna già pel fatto di arrischiate meno di quanto ella desiderasse. La decisione non era presa ch'egli per un movimento quasi involontario aveva poggiato le sue labbra su quella mano. Sentì il contatto di quella carne vellutata e se ne rammentò più tardi; per allora, spaventato del proprio ardire, non sapendo come riparare, tentava di prendere l'aspetto indifferente come un bambino quando vuole che di una propria cattiveria venga data la colpa ad altri. Il fulmine temuto non cadde! Egli vide che il volto di Annetta aveva cambiato colore e che la penna s'era fermata sulla carta. Forse Annetta rimase indecisa sul contegno da prendere. La mano si ritirò lentamente con movimento naturale come se ella ne avesse avuto bisogno per poggiarvi il capo. Un minuto circa durò il silenzio, un secolo per Alfonso. Finalmente ella parlò e non del bacio. Gli parlò con disinvoltura, guardandolo più volte sorridente e amichevole.
Egli era salvo! Più che salvo, felice! La dichiarazione era fatta! Almeno ella doveva ora sapere che non si trovava più dinanzi l'impiegato, né il letterato.
Quando egli soffriva per una parola fredda oppure per gelosia, poteva sperare ch'ella qualche cosa ne indovinasse. Voleva essere modesto, non dare altro significato al silenzio di Annetta che di una mite indulgenza, ma ne era già felice. Così si cominciava appena, ma il passo fatto era gigantesco. Per quella sera non ebbe dubbi. Egli amava Annetta e la voleva sua. Era bensì la via che aveva battuto per arrivare alla ricchezza, ma allora egli non ne sapeva nulla. Un sorriso di Annetta era la felicità ! Gli era stato domandato un atto e la sua dichiarazione era stata un atto ardito ma non brutale: dolce, rispettoso anche più di quanto avrebbe potuto esser la parola.
Per parecchie sere, Francesca rimase presente alle loro sedute e ad Alfonso non dispiacque. Con gli occhi parlava ora: il linguaggio degli occhi è come quello della musica; non concreta nulla quando non c'è la parola, ma quando c'è o c'è stata dice meglio e più che la parola stessa. Non erano sguardi arditi, ed egli né cercava più di scoprire una linea frugando con occhio indiscreto in quelle vesti morbide, né stringendole la mano accarezzava per soddisfarsi nel contatto. Quella dichiarazione, quell'uscita dal desiderio solitario aveva fortificato il suo amore, gli aveva fatto respirare aria pura. Egli non avrebbe però saputo dare un'appendice in parole a quel bacio.
Una sera, erano in biblioteca, Francesca nel bel mezzo della seduta si allontanò sulle punte dei piedi per non disturbarli. La sua assenza durò un quarto d'ora e quando ritornò li trovò al punto a cui li aveva lasciati. Alla sua uscita Alfonso era trasalito credendo, sempre secondo quanto gli aveva predicato Macario, di essere ora obbligato a dire qualche cosa. Rimuginò alcune ideuccie, ma Annetta gl'impedì di dirle parlandogli con tutta tranquillità del romanzo. Ella dunque nulla attendeva ed era bene non fare cosa da lei non prevista. Tacque dunque; la sua posizione era già bella ed egli altro non sapeva desiderare per il momento. Non parlava di amore, ma tutto quanto egli diceva ad Annetta veniva alterato dal suo sentimento. Se non faceva altro che dichiarazioni d'amore! Quando parlava ad Annetta, in modo ben diverso da Macario, accennava al sottinteso che c'era in ogni sua parola col suo sorriso o col suono della sua voce. Dicendo la cosa più semplice sentiva fondersi la sua voce in una dolcezza di cui non l'aveva saputa capace e la dichiarazione era così chiara, tanto ardita da sembrargli una presa di possesso, che lo scoteva tutto nell'ebbrezza del sogno realizzato.
Si ritrovò con Macario e costui con insistenza sospetta gli parlò di nuovo dei modi di prendere una donna. Alfonso stette a udire indifferente le brutalità che gli venivano suggerite, perché egli ora sapeva meglio quello che faceva al caso suo. Si trovava bene in quello stadio della sua relazione con Annetta e non voleva abbandonarlo senza sapere quale sarebbe stato lo stadio prossimo. Anche lontano da Annetta soffriva meno. Si annoiava nell'attesa della sera, ma non sognava tanto perché un sorriso di Annetta aveva scacciato quei fantasmi ch'ella stessa aveva creati.
Alfonso si figurava, che anche non amandolo, ella doveva essere lusingata dal suo amore e dal suo rispetto. Egli esagerava la sua timidezza perché la timidezza spiegava e rendeva possibile il prolungarsi della strana situazione.
Il lavoro letterario in mezzo a questi amori languiva ed era quello che più lusingava Alfonso, perché sembrava che anche per Annetta esso fosse divenuto cosa secondaria. Una sera avvenne che Alfonso portò del lavoro fatto e che Annetta si dimenticò di chiedergliene la lettura. In quanto procedeva però, era fatto del tutto secondo i propositi di Annetta e Alfonso sentiva ogni giorno chiarirsi più nullo il soggetto, più sciocco il romanzo. Pensava che aumentando la confidenza fra di loro sarebbe pur venuto il giorno in cui avrebbe potuto dirle la sua opinione, ma per il momento non osava neppur di esprimere il dubbio più lieve. Non voleva esporsi al pericolo di veder diminuita la luce che brillava negli occhi di Annetta quando lo guardava. Per lui quel romanzo aveva minima importanza e per esso non avrebbe acconsentito a udire neppure una parola brusca dall'amata.
Venne strappato a quell'idillio non per suo volere e non per volere di Annetta; Macario glielo aveva creato senza saperlo, Miceni e Fumigi lo distrussero.
Miceni era colui che più palesemente invidiava Alfonso per la sua famigliarità in casa Maller. Naturalmente non glielo aveva detto e come al solito Alfonso si rifiutava di ammetterlo anche quando Miceni col suo carattere bizzarro lo lasciava trasparire all'evidenza. Le piccole punture di Miceni non arrivavano a ferirlo neppure quando costui aveva cominciato col parlare di un suo amore per Annetta e pretendere che sarebbe stato corrisposto se egli ci avesse messo maggiore impegno. Alfonso, da alcune parole dettegli da Macario, sapeva che cosa egli dovesse pensare di tale avventura. Quasi accordando ad Alfonso maggiore confidenza, un giorno Miceni gli raccontò anche la ragione per cui egli aveva smesso di fare la corte ad Annetta: per riguardo a Fumigi, perché sapeva che costui ne era innamorato. Fumigi era un suo vecchio amico che gli aveva procurato l'impiego da Maller e aveva quindi diritto a riguardi da parte sua.
Quest'asserzione lasciò Alfonso meno freddo dell'altra. Anch'egli s'era accorto che Fumigi era innamorato di Annetta ed era amore che aveva, doveva riconoscerlo, molta probabilità di giungere al suo scopo. A mente fredda comprendeva che, non troppo vecchio, Fumigi era un partito conveniente per Annetta.
Avvedutosi che Alfonso si turbava quando gli si parlava di Fumigi, Miceni si prese di spesso il piacere di stuzzicarlo liberandosi della propria gelosia alla vista di quella di Alfonso.
È più difficile apparire indifferente quando non lo si è, che appassionato essendo indifferente. Miceni cominciava di solito a parlargli di affari d'ufficio, il pretesto per recarsi in quella stanza. Quando veniva costretto a nominare Annetta, Alfonso cribrava ogni parola prima di emetterla e con una disinvoltura ch'egli stesso sentiva eccessiva e da cui doveva trasparire l'affettazione ne parlava come se l'avesse vista poche volte in sua vita. La diceva bella e, per colmo d'indifferenza, confessava di desiderarla come si desiderano tutte le belle donne. Ma quando gli si parlava di Fumigi, neppure la parola voleva più ubbidire al suo proposito d'indifferenza. Non gl'importava che Miceni credesse ch'egli fosse amato da Annetta, ma gli doleva profondamente che anche un solo uomo ritenesse che l'amato fosse altri. Diceva con calma visibilmente forzata ch'egli conosceva Fumigi e che non credeva che amasse Annetta. Allora anche Miceni perdeva la calma:
- Per qual ragione vorresti che io venga a dirtelo se non fosse vero? Informati. In città lo sanno tutti all'infuori di te.
S'accalorava altrettanto lui per affermare quanto Alfonso per negare; ma Alfonso, quando s'accorgeva d'essere distante di troppo dalla sua parte d'indifferente, tagliava corto alla discussione dichiarando che la cosa poteva comportarsi come voleva, che a lui non importava niente. Le parole erano energiche, ma troppo, e l'aspetto del volto e il suono della voce tutt'altro che da indifferente.
Lieto come se avesse apportato una buona notizia, Miceni gli raccontò che Fumigi e Annetta si fidanzavano. Alfonso si mise a ridere calmo e questa volta sinceramente calmo.
- Ero ieri a sera in casa di Maller e me ne avrebbero prevenuto se fosse stato vero.
- Non è ancora ufficiale; ma probabilmente, mentre qui parliamo, Fumigi entra per la prima volta in casa di Annetta quale sposo.
La sua voce era divenuta subito acuta come se la tranquillità di Alfonso lo avesse offeso.
Alfonso non si degnò di discutere. La sera innanzi Annetta lo aveva trattato anche meglio del solito. Gli aveva raccontato della sua fanciullezza, della vita di collegio ove era stata mandata alla morte della madre. Erano confidenze e, sorpreso e beato, Alfonso ci vide un altro miglioramento della sua posizione. Da qualche tempo egli si ammirava come persona abile e uscendo quella sera dalla casa Maller mormorò:
- Questa è la vera arte. Progredire senza fatica.
Per quella sera non aveva da andare da Annetta, ma pur agitato dalle parole di Miceni si aggirò lungamente per via dei Forni. La casa conservava il solito aspetto. La lunga fila di stanze non abitate aveva le finestre chiuse ermeticamente, tutte le tendine calate; una finestra del tinello soltanto era socchiusa.
Uscendo dalla via dei Forni verso il mare s'imbatté in Fumigi. Per aver tanto pensato a lui, Alfonso, vedendoselo tutt'ad un tra...
[Pagina successiva]