[Pagina precedente]...i affetto materno. Lo derideva per le sue debolezze, lo descriveva come un piccolo orso che non sapeva fare complimenti e che mancava di diplomazia; una sera disse agli amici del mercoledì, lui presente, che probabilmente c'erano già stati filosofi maggiori di Alfonso, ma nessuno che come lui avesse preso sul serio la filosofia e vivesse conformemente ai suoi dettami. Ne derivò - questo però quando furono a quattr'occhi - l'aggettivo di "rospo". Rospo quando balbettava mezza frase e non sapeva dirla tutta, rospo quando diceva che un successo letterario valeva poco perché veniva fatto dagl'ignoranti, infine rospo gli diceva quando egli le portava il suo abbozzo fatto per esser gettato via. Gli diceva questa parola con un sorriso così buono, guardandolo con ammirazione come un originale meritevole di venir studiato... ma non letto, sì che egli stava rigido, parlava poco, smozzicava le parole per meritarsi più volte tale qualifica. Ella rimase sempre ferma al suo primo giudizio, che Alfonso bensì disponesse di un maggior numero d'idee elevate, ma che non sapesse unirle a farne un buon romanzo. Era troppo greve e troppo grigio. Prima o poi si sarebbe conquistato un bel nome con qualche buona opera filosofica ma con romanzi no, era cosa troppo leggiera per lui.
Però le noie del lavoro non erano piccole. Al secondo capitolo c'era una scena coniugale terribile fra Clara e il marito nella stanza nuziale, ma al terzo già , e ciò per volere espresso di Annetta, ambidue gli sposi sapevano di amarsi, mentre una grande, immensa fierezza li teneva ancora divisi. Tutto il resto del romanzo doveva trattare di queste due fierezze che bisognava domare perché questo era l'argomento del romanzo. Almeno avesse trattato di queste due fierezze, ma Annetta voleva innestare al romanzo mille altre storielle che coll'argomento principale nulla avevano da fare. Entravano in scena il suocero dell'antico fidanzato, il bottegaio, la moglie del nobile, la rivale di Clara, poi anche un fratello di Clara e una sorella dell'industriale i quali finivano con lo sposarsi, e infine diversi altri personaggi che prendevano parte a una commediola politica, un'elezione fatta per ingrossare la novelluccia a romanzo. Alfonso aveva proposto di omettere tutta questa roba inutile e di lasciare le due fierezze che Annetta aveva volute, una di fronte all'altra a sbrigarsela fra di loro; ne poteva ancora risultare una buona analisi della fierezza. Ad Annetta la proposta sembrò addirittura comica. Capitolo per capitolo doveva comporsi di lunghe chiacchierate, lotte fra le due donne, Clara e la moglie del nobile; ogni capitolo poi doveva essere adornato da una o più occhiate di amore fra marito e moglie. Si restava sempre là .
Il lavoro, per Alfonso, cominciava a somigliare straordinariamente al lavoro bancario. Alla sera vi si metteva con uno sbadiglio, lottando col sonno, unicamente attento a tenersi strettamente a quanto Annetta gli aveva ordinato di fare, lieto quando aveva terminato. Talvolta la noia del lavoro era tale che finiva coll'andare da Annetta senz'aver fatto nulla. All'ultima ora non aveva lavorato, risolvendo di mandare a scusarsi il giorno appresso e rinunziare di vederla per quel giorno pur di non aver da scrivere quella roba. Ma non sapeva rinunziare a vederla e andava da lei trovando qualche altra scusa.
Annetta lo accoglieva sempre gentilmente e non gli moveva un solo rimprovero. Gli faceva leggere quello ch'ella aveva fatto e poi lo lasciava parlare d'altro. Non le dispiaceva di sentirlo parlare. Egli non aveva più che timidezze di proposito perché aveva capito che certe timidezze con Annetta era bene di conservarle. Quando stava per lasciarle si rammentava degli avvertimenti di Macario, di quel piccolo cenno di Francesca, infine del contegno di Spalati, il più vecchio amico di Annetta, il quale se si prendeva delle libertà , lo faceva sempre con un aspetto tanto più rispettoso quanto la parola era libera. Era tanto abile Spalati che le mancava di rispetto soltanto quando l'adulava. Le sue adulazioni pigliavano in tal modo un aspetto ardito che le faceva apparire sincere. Era capacissimo di dirle ch'ella usava troppo l'aggettivo come Victor Hugo. Alfonso aveva capito il metodo, e il contegno gli era facilitato dalla comodità di poter simulare il carattere che gli era stato attribuito. Dimostrando disprezzo per le forme esteriori, gli era lecito di trascurarne qualcuna, e poi non era il culto di tali forme che Annetta esigeva. Occorreva saper dimostrarle a tempo debito un briciolo di ammirazione o di entusiasmo.
Erano le serate più divertenti quelle in cui del romanzo nulla affatto si parlava, ma Alfonso s'accorse che a lungo andare la lentezza nel lavoro poteva dispiacere ad Annetta. Ne venne avvisato anche da Francesca che una seconda volta dimostrò di volerlo dirigere nella sua relazione con Annetta.
Lo accolse essa una sera, Annetta essendo ancora nella sua stanza.
- Non ha fatto nulla neppur oggi? - gli chiese con accento di rimprovero. - Badi che Annetta facilmente s'impazienta.
Per combinazione quella sera aveva fatto qualche cosa. Comprese l'importanza dell'avvertimento e se lo tenne per detto: da allora, e per parecchio tempo, ogni sera portò qualche prova di aver lavorato o pensato per il romanzo.
Ciò gli riusciva più che mai difficile. Alla banca aveva molto da fare. Aveva ora sulle spalle quasi tutto il lavoro di Miceni, così che quotidianamente c'erano furie di lavoro alle quali a fatica giungevano a bastare lui ed Alchieri. Sentiva più forte il bisogno delle lunghe passeggiate e poi di riposo.
La prima volta che gli accadde dopo la raccomandazione di Francesca di dover recarsi da Annetta senza apportare una sola pagina di scritto, quantunque venisse accolto da Annetta col solito gentile sorriso, temette ch'ella nascondesse l'ira di cui aveva parlato Francesca e, punto rassicurato, credette di esser congedato improvvisamente e per sempre. Nella paura non gli bastò di dire una scusa ma parlò del suo molto da fare, poi di un suo male di testa e persino di notizie inquietanti che aveva ricevute da casa sulla salute di sua madre e che gli toglievano la quiete necessaria per lavorare. Annetta lo stava a udire con l'aspetto di grande partecipazione, e ciò commosse profondamente Alfonso. Era avvilito di doversi scusare come uno scolaretto dove avrebbe voluto poter parlare altrimenti, e fu tale avvilimento che gli cacciò agli occhi delle lagrime, attribuite da Annetta alla sua preoccupazione per la salute della madre.
Per Annetta Alfonso dovette essere divertente quella sera più del solito. Dopo di aver parlato delle tante cause che gli avevano impedito di lavorare al romanzo, egli era passato a parlare del suo desiderio di dedicarsi a quel lavoro e poi ad asserire che la sua occupazione prediletta era di pensare, meditare per quella bellissima opera. Per la prima volta, non costretto adulava, ma era il momento in cui avrebbe fatto anche monete false per assicurarsi l'amicizia di Annetta. Descrisse le sue occupazioni alla banca e non avendo il coraggio di lagnarsi con la figliuola del signor Maller del lavoro bancario in generale, si lagnò che ancora non gli si affidava quel lavoro a cui egli credeva di avere diritto, più intelligente e più libero.
- Vuole che ne parli a papà ? - chiese Annetta molto commossa. - Ella infatti avrebbe diritto ai lavori più difficili.
Egli non aveva preveduto tale offerta che sommamente gli dispiacque. Protestò che non voleva approfittare della buona amicizia di Annetta per ottenere protezione. Già una raccomandazione non bastava a rompere l'ordine gerarchico della banca, mentre a lui toglieva parte delle sue illusioni su quelle serate. Annetta volle sapere quali fossero queste illusioni.
- Quando sono qui - rispose Alfonso - non voglio rammentarmi che di essere suo amico e letterato. Per ora non sono altro.
Annetta lo ringraziò.
- Ella dunque si diverte qui, se ne potrebbe essere sicuri?
Passava a un tono più leggero di molto e Alfonso non se ne accorse subito, tutto occupato a rendere Annetta sicura ch'egli in quella casa sempre si divertiva.
Era stata una frase detta da Annetta in buona fede credendola molto cortese, ma bastò a procurare ad Alfonso parecchie ore di agitazione. Era cortese, ma tanto presto ella aveva dimenticato di aver visto piangere un uomo da non sapergli dire che quella frasuccia da conversazione? Egli non sapeva veramente perché quella frase gli sembrasse offensiva e per capirlo gli bisognò pensarci a lungo. Intanto provava un immenso malcontento di sé, quasi avesse rimorso per un'azione malvagia o ridicola. Egli aveva pianto ed ella s'era trovata in dovere di dirgli una parola gentile! C'era tale differenza fra l'importanza dei due fatti, ch'egli si vergognava di aver sparso quelle lagrime. Una donna che avesse provato un briciolo di affetto per lui avrebbe pianto con lui.
Era una bella serata dall'aria fredda ma calma e un cielo fosco con poche stelle. Egli rimase a lungo sulla via sentendosi incapace di trovar quiete in una stanza. Per la seconda volta ebbe il desiderio di rompere la sua relazione con Annetta e sempre per lo sconforto che lo invadeva, quando nella grande amicizia da essa dimostratagli trapelava l'immensa sua freddezza e indifferenza. Erano sorprese dolorose che lo scotevano dal vivere inerte più in un'abitudine che in un'idea o in uno scopo, e analizzava allora questo scopo, sorpreso di non esser vissuto più conformemente ad esso oppure di vederlo sotto tutt'altra luce, di trovarsi altrettanto lontano dal raggiungerlo quanto prima gli era sembrato di esserci vicino. Era una passione invincibile la sua da esporsi a tanti affanni per soddisfarla? Neppure al principio della sua relazione con Annetta aveva sentito tanto chiaramente che il suo amore era stato aumentato dalle ricchezze che circondavano Annetta, una specie di adornamento che abbelliva la bella figura come la legatura un diamante. Se ne rammentava ancora! Prima di conoscere la grazia e la bellezza di Annetta, lo aveva agitato, commosso il saperla figliuola di Maller, ed era stato da quell'agitazione e da quella commozione ch'era nato il sentimento ch'egli chiamava amore.
Ma a quale scopo tale analisi? Egli s'era accorto della differenza che correva fra il suo modo di sentire e quello di coloro che lo contornavano e credeva consistesse nel prendere lui con troppa serietà le cose della vita. Quella era la sua sventura! Valeva la pena di arrovellarsi a quel modo per trovare un'uscita da un viluppo che naturalmente doveva svolgersi da sé? Se Annetta lo amava, egli aveva, è ben vero, molto da guadagnare, la sua vita ne sarebbe stata mutata; se non lo amava, nulla aveva da perdere.
Volle essere calmo, ma naturalmente i ragionamenti non lo liberarono né dai dubbi né dall'agitazione. Servirono a non fargli prendere risoluzioni alle quali lo avrebbe portato il suo carattere tanto turbato nelle situazioni esitanti, indecise, e lo salvarono dall'analisi dei propri istinti e del proprio carattere. Lo faceva soffrire il conoscersi.
Il giorno appresso s'imbatté sul Corso in Macario che correva verso il mare. Non si vedevano da più settimane. Macario ebbe la gentilezza di darne la colpa ad Alfonso:
- È tanto occupato del romanzo - gli chiese - che non è più possibile vederla?
Era la prima volta che Macario gli parlasse del romanzo e quel suo tono amichevolmente scherzoso diede una sorpresa aggradevole ad Alfonso. Fu di nuovo il buon amico cui piaceva tanto istruire Alfonso, il quale dal canto suo fece del suo meglio, ma invano, per riavere quel suo aspetto sommesso d'altre volte. Non sapeva più trattenere la parola che gli veniva spontanea a completare o rettificare le idee di Macario. Macario lo invitò a una gita in mare e Alfonso dovette rifiutare perché era vicina l'ora in cui gli toccava essere in ufficio. Lo accompagnò per un pezzo verso il molo.
Macario salutò una signora che non doveva essere di prima gioventù, grassa e greve ma ancora elegante.
- Ecco una signora - disse - ...
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