[Pagina precedente]... simpatico. Rimproverava a Spalati la pedanteria, ma l'odiava per gelosia. Ne aveva qualche ragione. Spalati era il più innanzi nella confidenza di Annetta. Per circa un anno le aveva impartito delle lezioni di letteratura italiana e aveva saputo arrivare ad avere con essa la confidenza dell'insegnante, senza seccarla con troppa dottrina. La lasciava parlare, stava ad ascoltare, approvava o leggermente modificava, sempre contento di venir trattato da pari a pari.
Sentendosi sempre inferiore con la sua parola impacciata, Alfonso ebbe degli assalti violenti di gelosia, tempeste in un bicchier d'acqua. Al di fuori nulla trapelava per la forzata abituale sua riserva nell'espressione dei suoi sentimenti, la quale tanto maggiore diveniva quanto più forti erano.
Una sera se ne andò via prima dicendo di essere indisposto. Voleva dimostrare il suo malumore e si adirò che nessuno lo comprendesse, che tutti credessero nella sua malattia.
Gironzò per le vie della città malcontento degli altri e di sé. Avendo l'abitudine quando era agitato di monologare, doveva accorgersi del ridicolo che c'era nella sua ira. Anche nel sogno più astratto una parola precisa pronunziata richiama alla realtà. Egli era giunto a desiderare Annetta, amarla, esserne geloso; ella invece sapeva appena appena quale suono avesse la sua voce. Con chi doveva prendersela? Lo aveva offeso più di tutto la stretta di mano di congedo ch'ella gli aveva dato freddamente e tenendo gli occhi rivolti a Spalati che continuava a parlare! Avrebbe forse voluto ch'ella si mettesse a meditare sulle cause dell'improvviso pretestato malessere? Un malessere infine non poteva dire nulla quando prima nulla era stato detto per spiegarlo. Poteva capitare a Spalati e andandosene neppure costui avrebbe potuto ottenere altro che l'augurio di buona salute.
Ironizzando su se stesso si trovò piccolo e malaticcio coi suoi desiderî tanto sproporzionati al possibile, perché egli aveva sognato di venir amato da Annetta!
Voleva abbandonare il giuoco! Era l'unica via che gli restasse aperta. Non avrebbe fatto più di quelle visite! Era tempo perduto, prima quello che passava in quella casa e poi dell'altro fuori, per l'agitazione in cui quelle visite lo ponevano. Lo avvilivano! S'era messo in una lotta in cui doveva soggiacere, lui non capace di parlare per piacere ma solo per farsi comprendere, e doveva soggiacere anche per le condizioni in cui si trovava poco atte a sedurre della gente ambiziosa come era quella con cui aveva a fare. Con una scusa qualunque, anzi procurando di non farla credibile, si sarebbe astenuto dal rimettere più piede in casa Maller. Erano quelle visite che lo avevano fatto deviare dai suoi propositi ferrei di lavoro continuato e senz'accorgersene l'ambizione, nata in lui da poco, andava mutandosi in vanità, il desiderio di venir tenuto da più di quanto non fosse.
Gli parve di essere già ritornato alla serietà di propositi che aveva avuta altre volte quando era frequentatore assiduo della biblioteca civica, ma col pensiero ricorreva alla casa donde usciva e sognava scene in cui veniva scongiurato di ritornarci.
Ci ritornò senz'esserne pregato, unicamente perché alla mattina del mercoledì Macario passando gli aveva gridato:
- A questa sera, eh!
Gli otto giorni gli erano sembrati lunghissimi, un intervallo di tempo pieno di avventure, mentre nella sua vita realmente nulla era avvenuto. Aveva pensato soltanto di aver già portato a compimento il suo proposito e sognato mille conseguenze da qualche suo atto energico. Poi s'era trovato libero di ritornare indietro o meglio di rimanere dove era e ne era stato felice. Quegli otto giorni gli rammentarono la sua avventura con Maria. Questa volta il caso e nient'altro gli aveva impedito di fare qualche passo inconsiderato che avrebbe rotto la sua relazione con Annetta. Se l'avesse rotta, che cosa gli sarebbe rimasto? Sarebbe ridivenuto l'umile impiegatuccio di Maller e alle sue ire niuno avrebbe badato.
Si presentò in casa di Annetta una mezz'ora prima del solito e fu premiato della sua risoluzione perché per la prima volta trovò Annetta sola. Tutti s'erano fatti scusare, meno Macario ch'era ancora atteso. Annetta disse che supponeva non avessero saputo rinunziare ad una festa cittadina e dimostrò la sua gratitudine ad Alfonso dicendogli con dolcezza ch'era lui ad aver torto d'essere venuto a chiudersi in una stanza melanconica.
- Melanconica, no, certo no! - assicurò Alfonso guardandola arditamente.
Se ella non avesse mai saputo di essere bella, l'occhiata di Alfonso sarebbe bastata ad apprenderglielo. Egli confessò candidamente ch'era la prima parola che udiva di una festa cittadina per quel giorno.
- Tanto solitario vive? - chiese Annetta sorpresa.
S'erano seduti sul canapè accanto alla finestra, il luogo più illuminato della stanza. Attraverso ai pesanti cortinaggi entravano vieppiù mitigati i colori del tramonto.
Nella contrada parallela alla via dei Forni passava la banda cittadina. Non si udivano che le note dell'accompagnamento e il rombare della grancassa. Stavano zitti a udire.
- Chissà che cosa suonano? - disse Annetta e spalancò la finestra. La brezza gonfiò i cortinaggi e il suono acuto di una trombetta portò la melodia che era mancata.
Udirono anche per un istante il susurrio della gente dietro alla banda.
Ridendo Annetta volse la faccia ad Alfonso rimanendo piegata sul davanzale:
- Che fra questa gente vi sieno anche i nostri serî amici?
Dalla luce ove ella era, non poteva scorgere nella penombra Alfonso che l'ammirava senza ritegno.
Anche il mezzo lutto, il grigio era scomparso. Era vestita di bianco di lana molle e un cordone nero alla vita. Ad onta del loro sviluppo, le forme di Annetta erano molto caste, virginali, con quella schiena rigida, incavata verso il collo, e la faccia bianca con i tratti marcati dell'intelligenza e dell'attività.
Gli disse di venire anche lui alla finestra ove si respirava molto bene quella brezza nella quale s'era mutata la bora violenta della settimana prima.
La via era quasi deserta e soltanto su una cantonata c'era un gruppo di persone che guardava all'altra strada.
- Mi verrebbe quasi quasi voglia di andarci anch'io, - disse Annetta.
Alfonso era tutto intento a percepire il contatto del suo braccio su quello di Annetta, stuzzicando come al solito il suo desiderio; fece un movimento arrischiato per aumentare la dolce pressione e fu il suo ardire che gli cacciò il sangue alla testa non il contatto col braccio di Annetta poiché nulla aveva di differente da quello di un corpo senza vita.
Probabilmente Annetta non s'era accorta del suo ardire. Dapprima furono impacciati perché erano vissuti troppo poco insieme per poter trovare con facilità un argomento che ugualmente li interessasse. Quando però l'argomento fu trovato, per la prima volta in quella stanza, la voce di Alfonso echeggiò tranquilla, sonora, e per la prima volta Annetta udì sue frasi compiute. Se non sapeva discorrere con più persone, Alfonso almeno sapeva dialogare.
Sorridendo Annetta gli aveva chiesto:
- E la sua nostalgia? Me ne hanno parlato molto!
- Non esiste più! - rispose Alfonso.
La voce a sua sorpresa era soda, tranquilla. Quella prima frase rimase però ancora mozza perché egli avrebbe voluto fare un complimento e dire che in quel preciso momento non esisteva. Tutta la sua disinvoltura non bastava a fargli dire cosa ardita; piuttosto avrebbe potuto permettergli di farla.
Una delle affettazioni di Annetta dacché s'era data alla letteratura si era di far mostra di pigliar interesse a tutto e di voler conoscere i moventi di ogni cosa. Gli chiese di spiegargli che cosa fosse la nostalgia.
- È difficile! - cominciò Alfonso - ma qualche cosa credo di poterne dire.
Raccontò che prima di tutto era una malattia organica perché soffrivano i polmoni per la differenza dell'aria, lo stomaco per la differenza dei cibi, i piedi per la differenza del selciato. Quello che però rinunziava a descrivere era l'intensità del desiderio di rivedere i luoghi che si erano abbandonati, un muro nero, una via tortuosa col canale nel mezzo, infine una stanza incomoda mal riparata dalle intemperie; e non si poteva descrivere l'aborrimento per il palazzo in cui si abitava, alludeva a quello della banca, la via grande, spaziosa, e persino il mare:
- In quanto alle persone poi... è la stessa cosa.
- E me odiava molto?
- Odiarla no! ma avrei voluto essere molto lontano da lei, tanto lontano da essere a casa mia, e non soltanto per essere là, ma anche per non essere qui.
Temette che quel passato che descriveva con sincerità non sembrasse abbastanza passato e aggiunse delle spiegazioni. Egli odiava tutte le persone che si credeva obbligato di trattare in un dato modo; gli piaceva la libertà, e anche quelli che non erano suoi pari voleva poter trattare come tali.
Ah! era così bello parlare da pari a pari con Annetta. Sentiva la dolcezza di confidarsi a lei con libertà come se monologasse e questa dolcezza diede colore alla sua parola che, per quanto impacciata, fino ad allora era stata da letterato, ricercata e fredda.
Annetta lo ascoltava sorpresa. Quel giovane sapeva dunque anche parlare oltre che studiare?
Ella gli spiegò che quando si desiderava qualche cosa nella vita bisognava sapersela conquistare. Alfonso riconobbe l'idea dominante di Macario.
- Non è difficile di conquistare la mia amicizia. È la prima volta che parla con me. Non se ne sarà accorto, ma è quasi sempre muto. Non era poi mio ufficio di farla parlare.
Rise togliendo così alle sue parole tutto ciò che avrebbero potuto avere di offensivo. Anche Alfonso rise trovando comico quell'uomo che attendeva di venir fatto parlare.
Furono queste le prime idee che diedero ad Annetta l'intenzione di fare un romanzo insieme. Quel caratterino che le si rivelava con tale ingenuità le sembrò meritevole di venir descritto. Disse con semplicità quale fosse la prima idea venutale improvvisamente, ed era certamente migliore delle modificazioni posteriori.
- C'era una volta un giovinetto che venne da un villaggio in una città e il quale s'era fatto delle idee ben strane sui costumi della città. Trovandoli in fatti differenti da quanto aveva ideato si rammaricò. Poi ci metteremo un amore. Ella è stato talvolta innamorato?
- Io... - e unicamente per la paura gli batté più forte il cuore.
Aveva avuto l'intenzione di fare una dichiarazione.
Annetta fece accendere da Santo il gas e Alfonso fu nello stesso tempo abbacinato dalla luce e messo in istato di misurare quanto falso fosse il passo ch'egli stava per fare. Annetta era sempre la stessa; dava seccamente degli ordini a Santo il quale, e c'era da meravigliarsene, li eseguiva muto.
Ella lo fece sedere al tavolo.
- Ci occorrerebbe penna e calamaio... ma preferisco affidarmi per le prime idee alla memoria. Metteremo poi il nero sul bianco. Come farebbe dunque lei a svolgere questo romanzo?
- Bisognerebbe riflettere a lungo.
- Ci vuole tanto? Racconteremo la sua vita, - e qui si trovava ancora perfettamente nella prima idea. - Naturalmente invece che impiegato la faremo ricco e nobile, anzi soltanto nobile. La ricchezza serbiamo per la chiusa del romanzo.
Con un solo balzo leggiero la prima idea era stata abbandonata del tutto.
- Bisognerebbe lasciar tempo all'immaginazione!
- Ah! sì! - disse Annetta con la sorpresa di uno scolaretto cui venisse ricordata una massima dimenticata. - Sa cosa faremo? Ognuno per suo conto, indipendentemente del tutto dall'altro, metterà in carta le sue idee. Poi le confronteremo e ci metteremo d'accordo.
La proposta piacque immensamente ad Alfonso ed ebbe delle espressioni di gioia tanto ingenua che fece sorridere Annetta dalla compiacenza. Gli balenarono alla mente alcune buone idee per il romanzo ch'egli riteneva di aver compreso come dovesse essere per risultare conforme al desiderio di Annetta. Non vedeva che queste piccole buone idee, non il tutto. Non pensava del resto alla stampa e al pubblico. Per il momento non mirava ad altro che a fare buona figura con Annetta.
Parlarono d...
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