[Pagina precedente]...dal paralume, si proiettava tutta all'ingiù, in una larga macchia sul tavolo verde e in un fascio di luce che sfuggiva verso il pavimento. Si amava bene nell'austerità di quella stanza, in mezzo agli armadi neri e semplici e quella serietà dei libri che mostravano le schiene larghe con le cifre d'oro. Era una contraddizione che aguzzava maggiormente il desiderio di Alfonso. Alcuni grossi volumi legati senz'eleganza, forse raccolte di giornali, schierati in un canto emanavano un forte odore di colla.
L'aveva lasciata e tenendola per mano l'aveva tratta fuori della luce. Vedendolo così tranquillo, ella non ebbe sospetti e sedette accanto a lui sull'ottomana. Così, uno accanto all'altra o anche abbracciati al medesimo posto, erano già stati altre volte. Egli provò dispiacere che per caso ella si fosse seduta ove lo schienale mancava. Ma anche là lo accompagnava la sua timidezza. L'abbracciò stretta piegandola per indietro. Voleva esaminare in qual modo ella avrebbe resistito e gli pareva di fare una timida ma chiara domanda; se Annetta non reagiva egli poteva riferirsi a quella domanda per scusarsi. Per vigliaccheria le chiese anche "Sì...?" ma a voce tanto debole che non poteva sapere se ella avesse udito. E non fu la parola che avvisò Annetta del pericolo che correva. Ella pregò e minacciò ma con voce dolce e si difese, ma le braccia puntellate mollemente sul suo petto non impedivano nulla. Egli però non s'era atteso a resistenze e per deboli che fossero lo irritarono. La costrinse bruscamente, frettoloso e brutale, e in apparenza almeno fu un tradimento, un furto.
Ritornando in sé percepì di nuovo l'odore intenso di colla che regnava in quella stanza ove gli sembrava di ritornare dopo una lunga assenza. Ella disse le prime parole: - Mio Dio, che cosa abbiamo fatto? - La sua era sorpresa e disperazione. Guardava gli oggetti intorno a sé come se avesse sperato ch'essi la richiamassero da quello che sperava un sogno. Il disordine nelle sue vesti, cui appena allora cercò di riparare, le diede la certezza ch'era perfettamente in sé. Si rialzò non senza dignità ; chiamava in aiuto tutte le sue forze, ma non che un riparo non trovava neppure un contegno che le fosse piaciuto di seguire. Si padroneggiò e muta si asciugò le lagrime e si avvicinò al tavolo allontanandosi da lui.
Egli comprese ch'era suo dovere cercare di consolarla. Le si avvicinò e la baciò sulla fronte. Era un dovere e all'infuori di quell'atto altro egli non trovava. Che cosa doveva dire?
Ella lo lasciava fare, ma il dolore la vinse di nuovo, pianse ancora una volta e ripeté la sua frase disperata. Non gli disse una sola parola di rimprovero, e ciò provava che relativamente alle circostanze la sua freddezza era abbastanza grande. A lui nulla aveva da rimproverare perché egli aveva fatto quello a cui egli mirava da lungo tempo e ch'ella sapeva essere il suo scopo.
Alfonso ritrovò finalmente la parola. Le disse di amarla. Per quel bacio avrebbe dato la vita e non poteva quindi pentirsi della sua azione.
Pur lasciandosi abbracciare ella gridò:
- Sì, ma non ci vedremo più, mai più!
Fu allora che per un piccolissimo intervallo di tempo la sua lucida mente si offuscò. Non comprendeva che il passo fatto era irrevocabile e pareva credere potesse venir cancellato da quella sua risoluzione.
- Come vorrà ! - gridò Alfonso ingenuamente.
Con quella fanciulla che piangeva si sentiva male e se non avesse temuto di spiacerle se ne sarebbe andato subito e magari promettendo di non ritornare mai più. Provava sorpresa al sentirsi così calmo e lontano dal desiderio che dieci minuti prima lo aveva condotto ad un'azione tanto arrischiata.
Venne Francesca e poté subito comprendere quello ch'era avvenuto perché Annetta non era ancora al caso di celarlo né degnava di provarvisi. Aveva gli occhi rossi dal pianto e guardava con ostinazione nel vuoto; si costringeva a riflessione intensa. Dal canto suo, Francesca non chiese nulla e non diede occasione a bugie. Alfonso imbarazzato volle andarsene. Francesca lo salutò con una stretta di mano e un inchino amichevole e anche rispettoso. "Onore al merito!" sembrava gli dicesse.
Sul pianerottolo egli fu trattenuto da Annetta che con improvvisa risoluzione gli era corsa dietro.
- Qui, qui, - ella gli disse duramente, - ho da parlarle.
Certo il suono della sua voce non rivelava che ella con quelle parole lo invitava a una notte d'amore ed egli comprese che fino ad allora ella non ne aveva avuto l'intenzione. Nella perfetta oscurità , immobile nel mezzo della stanza, non avendo neppure il coraggio di sedersi per la tema di far rumore, egli venne assalito dai più strani pensieri. Gli si preparava un bel divertimento, le scene di una ragazza pentita; si propose di sopportare tutto con rassegnazione. Sapeva di meritate tutti i rimproveri che Annetta avesse potuto fargli.
Invece ella venne a lui e i suoi occhi non portavano più alcuna traccia delle lagrime sparse. S'era fermata alla porta con l'indice sulle labbra ascoltando se sul corridoio nulla si movesse, sorridente come un fanciullo che per gioco si nasconda a qualcuno, ed era bastato di vederla così per togliere ad Alfonso ogni timore. Aveva già compreso; un'altra volta in lei i sensi l'avevano vinta.
Fu per lui un'amante compiacente e appassionata. Gli chiese perdono delle parole brusche che poco prima aveva pronunziate.
- Senza dubbio le pensavo, ma riconosco di aver pensato scioccamente.
Senza che si potesse indovinare l'ordine delle sue idee, ella diede una definizione della sua vita. La vita era quella che le dava lui quando la baciava; il resto non valeva niente. Poi egli pensò che espressamente ella aveva voluto rinunziare a tutto il resto per il suo bacio. La baciò per dimostrarsi grato, ma pensava ch'ella lo disprezzava troppo, credendo che per essersi data a lui perdesse il diritto ad ogni altra felicità . Annetta ripeté la sua dichiarazione parecchie volte durante la notte mutandone la forma: - Sposare quel ragionatore ch'è mio cugino Macario perché è ricco!
Rise di questa pretesa che qualcuno pur doveva avere avuta.
Se c'era, la felicità di Alfonso veniva diminuita da un timore. Quella donna che in una sola ora aveva mutato di sentimenti e di opinioni era forse impazzita? Egli si sentiva ragionatore come al solito, calmo, trascinato dai sensi per brevi tratti e poi sazio, e non sapeva figurarsi che in altrui la commozione durasse sempre ugualmente intensa.
Una sola volta con rapidissimo passaggio ella ebbe un'espressione di tristezza anzi di disperazione come un'ora prima. Aveva nominato per caso una famiglia patrizia presso la quale i Maller erano stati ammessi da poco. Fu un solo istante, ed ella fece poi ogni sforzo per dimenticarlo e farlo dimenticare.
La cortina rosea della finestra era divenuta visibile per il primo raggio mattutino e, per quanto fosse ancora poca la luce che giungeva dal di fuori, faceva impallidire quella della candela che avevano lasciata accesa.
- Già ! - esclamò Annetta stringendosi a lui.
Egli ripeté ipocritamente la stessa parola.
Dal piano superiore si udì il rumore del passo di un piede nudo.
- Poveretta! - mormorò Annetta, - le procurai dei grandi dispiaceri.
- È Francesca? - chiese Alfonso inquieto.
- Sì! - disse Annetta sorridendo, - ma tutto è riparabile ancora.
Lo abbracciò per fargli capire che l'opera buona ch'ella si proponeva di fare era dovuta a lui.
Egli aveva il tempo di essere curioso e Annetta gli raccontò che Francesca era stata l'amante di Maller e che costui aveva manifestato l'intenzione di sposarla. - Io risi in volto a Francesca e mi opposi come seppi... naturalmente... mi pareva un'offesa alla memoria di mia madre. - Il padre aveva trovato il modo di non iscambiare alcuna parola su questo proposito con la figliuola. Solo allorché Annetta aveva consigliato Francesca di lasciare la loro casa, Maller esplicitamente si oppose. I rapporti fra padre e figlia furono freddi per qualche tempo e non si migliorarono che quando Francesca giurò ad Annetta che fra lei e Maller non esisteva più alcun legame. Fino a quella notte Annetta ci aveva creduto. - Scommetto che m'ingannano, - pensò ad alta voce e molto tranquillamente. - Si capisce che per amore l'inganno non è inganno.
Alle quattro della mattina ella si alzò per accompagnarlo fino alla porta di casa.
Nell'atrio oscuro gli gettò ancora una volta le braccia al collo e gli disse che non si sarebbero riveduti finché non potevano farlo alla piena luce del sole. Ciò doveva avvenire al più presto. Si mise a ridere e con franca sensualità aggiunse:
- Avremo tanti giorni e tante notti da passare insieme.
Egli stette fuori a seguire gli sforzi ch'ella faceva per girare la chiave nella toppa; poi udì lo strisciare lento, impacciato delle pantofole sulle scale.
- Addio! - le gridò commosso.
- Addio, addio! - rispose Annetta a mezza voce.
Anche in quel saluto aveva messo quanto affetto le era stato possibile ed egli si figurò ch'ella gli avesse gettato dei baci con la mano.
Si diresse verso casa con passo frettoloso quando si sentì chiamare. Si volse. Una figura bianca, dalla finestra della stanza di Annetta, gli faceva segni di saluto con una pezzuola bianca. Egli salutò agitando alto il cappello. Il gesto era trovato, ma a lui mancava la sensazione corrispondente. Al vedere Annetta alla finestra s'era ricordato che così si usava in amore.
Poi volle sentirsi felice come la sua buona fortuna lo meritava e canticchiò un'arietta che non voleva riuscire allegra nelle vie vuote appena rischiarate da un sole invisibile nel cielo violaceo. Un malessere profondo lo fece tacere. Egli volle spiegarlo con i dubbî sull'avvenire della sua relazione con Annetta; da quella notte non ancora gli erano stati tolti. Ma Annetta era sua! Non era questo già molto, tanto che avrebbe dovuto sentirsi l'uomo più felice sulla terra? Egli aveva lungamente desiderato Annetta, l'aveva amata. Erano il sonno e la stanchezza che gli toglievano di godere della sua felicità e, salendo l'erta che conduceva alla casa dei Lanucci, egli andava persuadendosi che la dimane egli si sarebbe risvegliato all'amore e che avrebbe anelato di rivedere Annetta.
Si coricò e s'addormentò non appena poggiata la resta sul guanciale.
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XV
Ma svegliandosi si ritrovò con quell'istesso malessere.
Riandando col pensiero su tutti gli avvenimenti della notte innanzi, il suo disgusto aumentava. Tutto gli dispiaceva, dal primo abbraccio che egli aveva rubato fino a quell'ultimo saluto cui egli aveva risposto costringendosi ad una finzione che, per quanto facile, gli era costata dello sforzo. Volle non ammettere la conclusione ch'evidentemente egli avrebbe dovuto trarre da questo suo sentimento. Nell'immensa felicità di possedere Annetta, egli si diceva che gli dispiaceva il modo con cui l'aveva conquistata. Non credeva che Annetta lo amasse; ella si piegava alle conseguenze di un fatto irrevocabile.
Tempo prima Macario gli aveva detto che lo riteneva incapace di lottare e di afferrare la preda, ed egli di questo rimprovero s'era gloriato come di una lode. Ora egli aveva provato che Macario s'era ingannato sul suo conto.
Vedeva con tutt'altri occhi la sua stanzetta allegra, ridente per il raggio di sole che, unico nella giornata, vi penetrava a quell'ora. Ci aveva pur passato delle belle ore! Era stata una felicità strana, una soddisfazione continuata del suo orgoglio a scoprire qualche debolezza in altrui di cui egli andava immune, a vedere gli altri tutti in lotta per il denaro e per gli onori e lui rimanere tranquillo, soddisfatto al sentirsi nascere nel cervello la genialità , nel cuore un affetto più gentile di quello che di solito gli umani sentono. Comprendeva e compativa le debolezze altrui e tanto più superbo andava della propria superiorità . Quando entrava in biblioteca o nella sua stanzuccia, egli usciva perfettamente dalla lotta; nessuno gli contendeva la sua felicità , egli non chiedeva nulla a nessuno. Ora invece questi lottatori ch'egli disprezzava lo avevano attirato nel loro mezzo e senza resisten...
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