[Pagina precedente]...si sdraiò vestito sul letto del padre e si propose di non dormire. Il sonno lo vinse e non si svegliò che a giorno chiaro.
- Come stai? - chiese alla madre ch'era stata a guardarlo a dormire.
- Meglio, meglio! - rispose essa con un sorriso di gratitudine, - ho preso un'altra cucchiaiata della medicina e mi sento alquanto sollevata.
Poi gli chiese se non avesse desiderio di vedere il villaggio e salutare i suoi vecchi amici. Lo assicurò che per una o due ore poteva rimanere sola.
Egli raccomandò a Giuseppina, che trovò già occupata di nuovo nell'orto, di badare alla madre ed ella glielo promise. Le parlò con dolcezza. Già spaventata al vederlo, la contadina s'era affrettata a raccontargli che stava raccogliendo erbaggi per il pranzo. Ella non era una poltrona, ma preferiva lavorare la terra che servire un'ammalata, e il torto era di chi l'aveva destinata a infermiera.
La casa stranamente volgeva uno dei lati alla strada maestra ed era unita a questa da un viottolo costruito dal piede dei passanti.
La campagna era ancora bianca dalla brina che il sole autunnale non aveva saputo sciogliere. Visto da quel punto, il villaggio sembrava molto più insignificante di quanto fosse; pareva composto di due semplici file di case. Una curva della strada maestra nascondeva la parte meno regolare ma più popolata. Dalla parte della valle v'era ancora una via della lunghezza di metà della principale a cui era parallela e poi, addossato a quella, un mucchio disordinato di casette sucide ove abitava la parte più povera della popolazione. Nel suo piccolo, il villaggio aveva in embrione tutte le sezioni della città .
Alfonso si agitò e accelerò il passo vedendo alla finestra la testa nera di Rosina, il suo primo amore. Non l'amava più, questo era certo, ma quale dolce e giocondo sentimento al rivederla!
Era una giovinetta che serviva la vecchia parente presso la quale abitava, ma in casa aveva tanto poco da fare che viveva come una signorina, meglio di qualunque altra ragazza del villaggio. Alfonso aveva ballato con lei ad una sagra e l'aveva prescelta prima di tutto perché egli la vedeva bellissima e poi perché per cultura e vestire gli sembrava superiore alle altre. Poi s'era sviluppata fra di loro una buona amicizia che si manifestava in alcune parole che scambiavano giornalmente, ella sulla finestra e lui sulla via. Qualche sera chiacchierarono insieme fermandosi un poco più in là della casa, dunque fuori del villaggio, ma nella completa oscurità egli non s'era arrischiato neppure di baciarle la mano. Le aveva fatto delle lodi esagerate della sua bellezza, ma non le aveva neppure detto di amarla. Il suo ideale non era realizzato in Rosina ed allora non aveva ancora rinunziato a trovarlo. Non aveva dunque mai avuto l'intenzione di andare più oltre, mentre nel villaggio si disse, e la signora Carolina lo riscrisse ad Alfonso, che Rosina aveva provato una forte disillusione alla sua partenza.
Si avvicinò meravigliato ch'ella non lo avesse riconosciuto subito pur avendolo veduto:
- Signorina, non mi riconosce?
- Oh! il signor Alfonso! - disse Rosina con sorpresa calma, e fece un leggiero inchino esitante forse perché non ancora lo aveva riconosciuto oppure perché non s'era ancora risolta a riconoscerlo.
- Non mi dà neppure la mano?
- Eccola!
Ma non gliela diede ancora. Prima di sporgersi dalla finestra guardò a destra e a sinistra per accertarsi che nessuno la vedesse.
- Come sta la signora Carolina? - chiese essa ritirando la mano che per un solo istante aveva lasciata inerte in quella di Alfonso.
- Oh! male! male! - disse Alfonso commosso stranamente da quegli occhi neri e dai capelli lisciati alle tempie e a chiocciola sulle orecchie. Quello che le mancava nel vestire e nel parlare le dava quella freddezza che rendeva tanto desiderabile il sorriso amichevole di cui altre volte non era stata parca.
- Rimane qui ora?
- No! - rispose Alfonso, - soltanto finché mamma per la sua malattia non possa moversi; poi ci stabiliremo in città .
- Io sono promessa sposa, - disse ella con semplicità .
Visto che di questa comunicazione nessuno l'aveva richiesta, era evidente che la faceva per avvisarlo che poco le importava della sua partenza dal villaggio.
Egli quasi si dimenticava di chiederle chi fosse lo sposo felice.
- Gianni.
Gianni era il figliuolo di Creglingi il bottegaio. Un bel giovinotto che sorvegliava l'amministrazione dei campi del padre, il quale non aveva mai voluto lasciare la sua bottega ove aveva fatto i danari. Rosina faceva una bella fortuna, certamente maggiore che se avesse sposato Alfonso.
- Le mie congratulazioni! - disse Alfonso un po' troppo tardi perché potessero venir credute sincere.
- Tanti saluti alla signora Carolina, - fece improvvisamente Rosina e si ritirò senz'altro.
Comprese subito la ragione di tale fuga. Dallo svolto della via si avanzava il notaio Mascotti accompagnato da Faldelli, il proprietario di una delle due osterie esistenti nel luogo. Era un vecchio vestito sordidamente e i cui vestiti pendevano dalle membra scarne. Doveva aver freddo perché teneva le mani ritirate nelle maniche della giacca.
Lo salutarono ed egli si avvicinò loro. Faldelli alzò un braccio stendendo la mano fuori della manica e strinse con una stretta forte ma breve quella di Alfonso; poi riparò la mano di nuovo nella manica. Non era cortese, e quando Mascotti chiese ad Alfonso come stesse la madre egli si trasse in disparte e guardò attorno distratto.
La domanda cortese di Mascotti fece pensare ad Alfonso ch'era quella l'occasione di rimproverare a costui la sua poca cura per la signora Carolina.
Molto serio cominciò a raccontare della triste notte trascorsa e dello spavento avuto, e subito con l'accento di grande amarezza e d'ira parlò del modo tenuto da Giuseppina alla quale era stata affidata la vita della madre.
Certamente Mascotti doveva avere già compreso ch'era a lui che si voleva tenere la predica. Risoluto pronunziò le parole bonarie:
- Eh! un poco poltroni siamo tutti a questo mondo. Giuseppina se la sarà presa comoda vedendo che lei c'era là , perché non occorre mica essere in quattro accanto ad un ammalato!
Non era più il modo con cui s'era difeso il giorno prima e Alfonso ne fu sorpreso. Lo vedeva risoluto e si capiva preparato, perché così presto aveva compreso e respinto l'attacco. Non negava più che intorno alla signora Carolina ci fosse stata poca cura, ma trattava tutta la faccenda come cosa di piccola importanza. Era il curatore, ma si poteva provargli che perciò avrebbe dovuto occuparsi della salute della signora Carolina? Alfonso temette che se gli avesse detto qualche brutta parola, di quelle che aveva pensate durante la notte, nell'ira contro Giuseppina, Mascotti non gli rispondesse brutalmente. Tacque perciò.
Il notaio gli comunicò che Faldelli aveva messo da parte dei capitali e che aveva l'intenzione di comperare dei terreni. Pareva che questa comunicazione dovesse venir seguita da altre che potessero avere maggior importanza per Alfonso. Faldelli lo interruppe per salutarli. Disse a Mascotti stringendogli la mano:
- Non c'è mica fretta, sa, signor notaio!
Si avviò con passo frettoloso verso la sua osteria situata di faccia alla bottega del Creglingi nella piazzetta triangolare.
- Ella fa una passeggiatina per rivedere i luoghi natii, - disse Mascotti di buon umore. - L'accompagno a patto che non si metta a correre.
Alludeva scherzando a quel brutto momento quando Alfonso aveva perduto la testa all'annunzio dello stato in cui trovavasi sua madre.
Sulla via principale, casa per casa era rimasta inalterata coi colori immutati perché maggiormente non potevano sbiadirsi, le identiche insegne, alcune finestre sempre chiuse, altre sempre aperte. Ad Alfonso il villaggio sembrava vecchio come un oggetto di museo, che non viene toccato che per farvi i lavori necessari per conservarlo come è. Tutta l'attività degli abitanti si riversava fuori del villaggio, sui campi.
Una sola casa era stata mutata, aumentata di un piano e sul fianco si distingueva la fabbrica nuova dalla vecchia per il colore annerito della calce che copriva quest'ultima. Era ora abitata dal Selini, fornaio, ma la casa in villaggio si chiamava ancora sempre casa Carli, dalla famiglia che prima l'aveva posseduta.
Facilmente ad Alfonso riuscì di togliere col pensiero dalla casa tutto quanto vi era stato sovrapposto e rivederla più piccola, nera, triste, casa disgraziata in cui in pochi giorni erano morti meno uno tutti i membri della famiglia Carli: due ragazzi coi quali Alfonso aveva giuocato, una fanciulla di tre lustri e il padre, un buon amico del vecchio Nitti, lindo, sempre vestito di una giubba bianca tanto candida che non vi si distingueva la farina onde era aspersa. Alfonso si rammentava di tutti i particolari di quella sventura, la quale nella sua gioventù aveva segnato una traccia indelebile. In faccia a tutti quegli organismi sani e forti distrutti o creati inutilmente, egli aveva avuto i primi dubbî.
Una sera il vecchio Nitti era rincasato più tardi del solito e aveva raccontato che Guido Carli, il più giovine dei figliuoli, era stato colpito dal tifo, tanto violentemente che il dottore supponeva che non avrebbe resistito. Il giorno prima Alfonso aveva parlato col giovinetto che ora era moribondo. I Nitti abitavano dirimpetto ai Carli e più volte durante la notte Alfonso andò alla finestra a vedere la bruna casa di cui una sola stanza era illuminata, quella ove si lottava con la morte.
Pochi giorni dopo il giovinetto morì, e quando Alfonso andava meditando quali segni d'affetto egli potesse dare all'amico che sopravviveva, per consolarlo della perdita del fratello e consolare se stesso, apprese che anche questi e la sorella e il padre erano stati colpiti dal medesimo terribile male. Ogni giorno dalla casa usciva una bara; la prima racchiudeva il cadavere della fanciulla, la seconda quella del padre e la casa rimaneva muta indifferente come se fosse abbandonata da una merce qualunque.
Soltanto quando non vi fu più alcun capezzale a cui vegliare, dietro alla bara dell'ultimo figliuolo si aperse finalmente una finestra e vi comparve, trattenuta da due uomini che Alfonso mai non aveva visti, la madre che gridava di voler saltare dalla finestra per raggiungere i suoi. Era una donna ancora giovine. Pregava di lasciarla e sembrava meravigliata che la si trattenesse. Anche ad Alfonso la violenza di quei due uomini che le impedivano di morire sembrò odiosa.
La casa fu messa in vendita, ma nessuno voleva comperarla perché vi era accaduta tanta sventura, e si finì col venderla a un prezzo miserabile al Selini venuto allora a stabilirsi nel villaggio. Neppure la signora Carolina volle saperne di comperarla, mentre i Nitti avrebbero fatto un affare di gran lunga migliore a comperare quella casa invece di quel casone tanto distante dall'abitato.
Certamente anche il notaio, passandovi dinanzi, pensò al contratto a cui aveva dato luogo quello stabile, perché ingenuamente facendo pensare Alfonso alla somiglianza che c'era fra' due affari, gli disse:
- Faldelli mi disse che volontieri avrebbe comperato la vostra casa.
Alfonso trasalì:
- Non è in vendita! - disse seccamente.
- E che cosa ne vuole far lei?
La grossolanità del notaio fece capire ad Alfonso in quale maggior misura avesse avuto influenza su lui il lungo soggiorno fra' contadini che non gli studî universitari.
- Ma, e mamma?
Il notaio si trovò portato a tutt'altro ordine d'idee e si capì ch'era sorpreso che la signora Carolina venisse ancora considerata come viva. Si rassegnò con buona grazia a tale finzione:
- Sua madre mi diceva che aveva l'intenzione di andare ad abitare con lei!
- Ci penserò! - disse Alfonso con tristezza. La notte passata presso alla madre gli aveva tolto ogni speranza e le parole di Mascotti avevano fatto rivolgere il suo pensiero alle conclusioni che si dovevano trarre da quello stato di cose. Infatti, rimanendo solo, che cosa avrebbe fatto della casa?
- Vive ancora la vecchia Doritti?
Quella donnetta caratteristica, laboriosa, in a...
[Pagina successiva]