[Pagina precedente]... uso per quale mancandoci quella e quell'altra cosa a noi venga perturbazione, e conferirci a qualunque uso ne aiuti poco chiedere cose da altri che da noi stessi. Diogenes filosofo non volle revocare el servo suo fuggitivo. Parsegli provarsi se forse fusse non da meno che 'l servo suo, quale se e' potea solo viversi senza Diogenes, molto più dovea potere Diogenes vivere senza un servo e fuggitivo.
A molti insueti parrebbono cose dure queste qual io racconto. Non sono; e sono facili a chi così dispone volere. E certo ben disse M. Varrone in
satyris: «Se di tutta l'opera che tu ponesti in fare che 'l servo tuo fusse buon pistore, tu in adornare te stessi ne avessi esposta la duodecima parte, già più tempo saresti ottimo cittadino. Ora venderesti quel servo molti danari. Te chi mai comperasse per qualunque sia vile prezzo?». E questi essercizi a chi così deliberò, sono certo soavi provandoli, perché si sente di cosa in cosa più su attingere a virtù, e provandoli ancora adducono una felicità da volerla. E chi non volesse non aver bisogno alcuno di tante e sì varie cose quante e' richiede? A chi può tradur suo vita con poche cose, a costui bisognano poche cose. E parmi in prima libertà degna d'uomo potersi senza fastidio e molestia vivere di ciò che gli sia apparecchiato. Dicea Solon filosofo: fra' beni nel secondo luogo sarà bisognarci pochissimo cibo, quando el primo bene sia al tutto nulla bisognarci. Nuoce forse che 'nsino a qui fummo educati in grembo della mamma e in delizie e vezzi del babbo, e ora a noi suppeditano abundante le fortune, né ci pare in tanta amplitudine convenirsi questa austerità del vivere. E qui bisogna provedere. Dissi: rammentati esser uomo esposto a ogni caso; sai ch'e' tempi succedono vari, le cose della fortuna sono inconstanti; bisognaci ne' tempi felici prepararci a potere contro la infelicità . E chi non imparò soffrire, non sa, Niccola, non sa soffrire; e chi imparò, sa e giovagli. Al fratello suo, sdegnato che non era fatto uno de' magistrati chiamati efori, Chilon filosofo, qual più volte era stato in quel numero e luogo di diggnità , rispose: «O fratel mio, non ti maravigliare se teco non sono e' nostri cittadini tali quali e' sono verso di me. Tu non sai soffrire le ingiurie. Io imparai non le curare sofferendole». Ottavia, sorella di Brittanico, scrive Cornelio, imparò persino da' teneri anni ascondere el dolore, la carità e ogni affetto; e giovògli, e fu degna instituzione e dovuta a uno principe in mezzo di tanta affluenza e licenza avvezzarsi a moderare e contenere se stessi. In Arabia dove sono e' pascoli lietissimi, scrive Curzio ch'e' pastori lievano e distengono le pecore da' prati, e questo fanno che per troppo cibo diventerebbono infette. E certo, come dicea Cesare appresso di Sallustio, fra' primi e massimi mali dobbiamo reputarci la troppa licenza. Interpelleremo adunque e comminuiremo a noi stessi quanta potremo licenza, volendo meno che noi non possiamo in ogni altra cosa che in acquistar virtù e meritar gloria.
Dicea Solone che le ricchezze ingeneravano sazietà ; e la sazietà produce contumelia, e dalle contumelie vediamo che arde el vendicarsi. Queste ricchezze e copia bisogna ausarsi a poco pregiarle, alienandole da noi con spenderle in cose degne e lodate, e in prima donandole e quasi deponendole presso de' buoni e degli studiosi; però che quello che desti non lo torrà la fortuna, e quello ch'ella ti togliesse, non ti agraverà . Aggiugni a queste che bisogna avvezzarsi sopra tutto a dimenticare le picciole ingiurie per in tempo potere e sofferire e dimenticarsi le maggiori. Ad Antistenes filosofo parea niuna disciplina migliore in vita che disimparare el ricordarsi delle offese. Aristotile negava essere opera d'animo grande e forte refricarsi a mente
presertim quel che dispiace. Per questo desiderava Temistocle imparare da Simonide non quella sua arte del ricordarsi, ma più tosto qualche altra arte del dimenticarsi.
Tutte queste racconte cose asseguiremo volendo e con modo addestrandoci di cosa in cosa e di tempo in tempo. E conviensi col tempo affaticarsi; e in le fatiche bisogna tolleranza, nella tolleranza fortezza, nella fortezza consiglio e ragione. E in ogni nostro consiglio conviensi adattare a iustizia e umanità con molta voluttà d'ogni tuo acquisto in virtù. Ditto d'Aristotile: la voluttà dello affaticarsi dà buon fine a ogni opera. Amasis re degli Egizi rispose esser facillima qualunque cosa si faccia con voluttà .
Un ricordo non voglio preterire, che a ogni ottima instituzione, a ogni bene addutta ragione del vivere, a ogni culto e ornamento dell'animo nostro molto e molto gioverà darsi alle lettere, alla cognizione e perizia de' ricordi e ammonimenti quali e' dotti commendorono alla posterità . Come la mano compremendo radolca e prepara la cera a bene ricevere l'impressione e sigillo della gemma, così le lettere adattano la mente ad ogni officio e merito di gloria e immortalità .
E che ti pare, Niccola, di ciò che noi dicemmo insino a qui? Vedesti in che modo bisogni prepararsi e aversi in vita per escludere alle perturbazioni ogni addito onde possino importarsi e occupare gli animi nostri. Seguiterebbeci luogo d'investigare quali argumenti e arte di curarci perturbati ne espurgassero del seno ogni rancore e ansietà . Ma a tanta opera non mi sento atto. E quanto recitai, conosco bisognerebbe averci premeditato. Io raccontai ciò che nel ragionare m'occorse a mente, sanza ordine e forse confuse. Fecilo nondimeno, e non ad altro fine se non per confutarti, che dicevi desiderare da' dotti qualche utile precetto a questa causa. Vedestigli tu in questo come nell'altre cose quali appartengano a bene e beato vivere, che furono non negligenti, e satisfecero a ogni nostro bisogno ed espettazione.
NICCOLA. Vidi e piacemi. Ma qui Battista e io in prima desideriamo e preghianvi seguiate mostrarci, come testé dicevi, che arte e argumenti a noi lievi le già concepute ansietà dell'animo.
AGNOLO. Vederemo.
LIBRO II
Qual convenga in noi essere premeditazione e instituzione d'animo per escludere e proibire da noi ogni perturbazione vedesti nel libro di sopra, e credo ti satisfece. Vedesti con quanta brevità e' ti raccolse molta copia d'ottimi ricordi e sentenze de' nostri maggiori uomini stati prudentissimi e sapientissimi in vita. In questo libro vedrai in che modo, se forse già fussi occupato da qualche merore e tristizia, o da qualche altro impeto e agitazione d'animo, possi con ragione e modo espurgarla e restituirti ad equabilità e tranquillità d'animo e di mente. Qual cosa accadde che Agnolo Pandolfini, omo eruditissimo e disertissimo, disputò insieme con Niccola di Messer Veri de' Medici, omo fra' primi litterati in Toscana non postremo, e fra' non ultimi umanissimi el primo in cui sia coniunta molta prudenza con molta affabilità . E cadde la cosa in questo modo, che la mattina dopo a' ragionamenti di sopra, Niccola e io eravamo nel tempio nostro massimo stati ad onorare el sacrificio, e vedutoci insieme ne accogliemmo per salutarci. Erano con Agnolo due messi da' magistrati massimi. Adunque giunto a noi Agnolo ci salutò e disse: - Questi mi chieggono e instanno ch'io salisca su in Palagio a consigliare cogli altri padri la patria e curare el ben pubblico. Sia della mia volontà e de' miei studi cognitore e testificatore Dio immortale e gli altri abitatori e moderatori del cielo, come cosa niuna tanto mi sta ad animo né tanto mi siede in mente quanto di conservare e amplificare l'autorità , dignità e maiestà della patria mia insieme colla utilità e pregio di ciascuno privato buon cittadino. Ma che perversità sarà la nostra se noi chiamati a consigliare ci converrà dire non quello che forse a noi parerà utile, onesto e necessario a' tempi, alle condizioni del vivere e della fortuna nostra, ma converracci dire quel che stimeremo grato a chi ne richiese? Natura degli uomini prepostera e in molti modi da biasimarla. Noi vediamo le fiere nate a essere impetuose, rapaci e al tutto indomite, che mai s'ametteranno ad iniuriarsi insieme se qualche furore non le eccita e concita. Noi vero uomini, nati per essere modesti, mansueti e trattevoli, par che sempre cerchiamo d'essere contumaci, molesti, infesti agli altri uomini. E questo se egli è furore, chiunque volesse aggiungervi consiglio, costui quasi vorrebbe, come dicea quel poeta, impazzar con qualche ragione. Iersera mi tenneno sino a molta notte, e ora mi rivogliono; né fie tempo d'essere al bisogno di qui a più ore. E s'io vi giovassi, non aspetterei esservi richiesto. Adunque adopereremo questo tempo in altro, e forse a chi che sia gioveremo; dove dicendo lassù quel ch'io sento, non gioverei a me, e dicendo quel ch'io non sento, non piacerei ad altri.
Così disse Agnolo a noi; e poi si volse a que' due publici e mandònnegli a' superiori magistrati con buona scusa. E voltossi a Niccola, e sorrise e disse: - Dove eravate voi addritti? Forse ad essercizio, che? Ben fate. L'essercizio e la sobrietà , due cose ottime, conservano la sanità , mantengono la gioventù, producono la vita. E questi be' soli c'invitano a godere questa amenità di questi nostri prospetti lietissimi. Vorrebbesi testé, Battista, esser laggiù a quel nostro Gangalandi co' cani, o alle colline o a' piani, ed essercitarsi qualche ora, e poi ridursi agli studi delle lettere e a filosofia come è tua usanza, Battista. Ma se vi pare, Niccola, e se voi siete oziosi, passeggiamo per insino a' Servi. Gireremo da S. Marco, e restituiremoci qui. Piacevi? - Questo disse Agnolo.
Risposegli Niccola: - Nulla suol pari dilettar qui Battista quanto l'essercizio; e vidilo io non raro lo 'nverno, perché fuori piovea, uscire da' libri ed essercitarsi colla palla in ogni moto e flessione e agilità . Gli altri dì asciutti raro fu che non salisse su erto a salutare el tempio di S. Miniato. E in villa quali siano e' suoi essercizi, ve gli vedete voi, Agnolo, che gli sete vicino. E certo s'io avessi edificio sì atto e sì magnifico in luogo sì grato e sì salubre come voi, Agnolo, non so dove traducessi molta parte de' miei dì altrove che solo ivi. Adunque a Battista, a cui diletta lo essercitarsi, non dubito piace quel che a voi. Ed era nostro pensiero essere pure con voi ovunque a voi talentassi; e questo sì per farvi compagnia, - ché a noi l'esser con voi, omo maturissimo e gravissimo, acquista reverenza e grazia, - sì ancora ci diletta essere con voi per richiedere e impetrare da voi quanto poi ieri sera ne promettesti di narrarci oggi, quello che restava circa a moderar e assettare gli animi nostri per vivere liberi e vacui d'ogni perturbazione. A questo siamo non solo oziosi, ma in prima cupidissimi d'udirvi e insieme seguitarvi. Avvianci.
AGNOLO. Are' io forse, come e' dicono, levatomi di spalla un peso per pormelo in capo? I' mi levai quella molestia dalle spalle di que' che mi voleano in Palagio, e venni a voi per caricarmi d'una maggior soma. A quale vi prometto nulla mi succinsi e assettai con premeditarvi quanto io dovea. Ma di che possiamo noi ragionare più accommodato a questi tempi e a questa nostra pubblica fortuna che solo di questa una cosa per quale ne rendiamo liberi e vacui d'ogni estuazione e turbidamento d'animo? E non recuso satisfarvi quanto in me sia. E sarà el mio ragionare un quasi investigare e commentare con voi quel che giovi. Se ci abbatteremo pure a una cosa commoda e che ci attagli, sarà buona opera la nostra, già che el merore, le tristezze e gli altri crucciati dell'animo sono, come dicea Crisippo e come chi lo pruovò el sa, molto maggiori e più acerbi che que' del corpo. E per curare el corpo quante cose s'investigorono, quante tuttora si ripruovano? Per sanificare l'animo e restituirlo a sua naturale integrità chi sarà che ne biasimi se investigheremo e accoglieremo ogni ragione di argumenti? Ma noi, - come e' dicono,
nihil dictum quin prius dictum, - che potremo noi adducere cosa non spesso udita e racconta da molti altri? Referiremo quanto verremo di cosa in cosa ricordandoci; e forse ...
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