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mensis prefetto d'Alessandro Macedone, quale al sole abrigidava e in umbra sudava. Quando e' tempi e successi delle cose appaiono gravi, si vuole opporvi consiglio e prudenza in evitare gl'impeti avversi; e dove forse le cose sinistre ti si presentano inevitabili, bisogna opporvi fortezza d'animo e pararsi a sofferirli, e non fare come alcuni enervati quali alla prima ombra avversa caggiono in tristezza e addolorati languiscono e giaciono perduti. In quel numero furono da biasimare que' Gallogreci racconti da Iustino, quali perché in loro sacrifici vedeano segni di fortuna prossima non lieta, timidi non cadere alle mani de' loro inimici, uccisero suo madri e suoi figliuoli, e perderono ogni sua cosa, e arsero casa e suoi beni e sé. Furore immanissimo, per dubbio di male farsi male. Molte cose accennano da' suoi principi esser dure e dannose, qual poi riescono contro a ogni tua opinione a fine buono e commodo. Piacemi di quei tuoi cento apologi, Battista, a questo proposito, quello LXXXVIII, quando e' laghi credeano ch'e' nuvoli fussero montagne per aria e pendessero sopra loro in capo tuttora per cadere, e per questo e' laghi eran divenuti pallidi, squallidi, e tremavano; poi quando videro che que' nuvoli si colliquifaceano in pioggia e acqua, tutti si sullevorono e grilleggiorono di letizia. E come dicea colui in
Eunuco presso a Terenzio, qualche volta el male suole essere cagione di molto bene. E intervenne a non rarissimi che chi volea loro fare male, gli fece bene. Qual caso avvenne a molti altri, e fra loro a quel Fedro Iasone, quale da' suoi nimici ricevette una ferita in luogo che per quella tagliatura e' guarì da morbo prima non sanabile per cura de' medici.
Adunque a' nostri preveduti mali opporremo consiglio e ragione ad evitarli e a prepararci a bene soffrirli. E in prima sarà utile preparare a se stessi buona espettazione delle cose che hanno a venire, ché quando bene avvenisse la cosa in male, almeno in quel mezzo viverai sanza quella sollicitudine e ansietà d'animo. Così quando appaiono e' tempi lieti, interpognianci qualche suspizione di cose avverse quasi come temperamento di tanta letizia. E se alle tue iuste e lodate imprese ti si attraversa qualche sinistro intoppo, non abbandonare te stessi: fa come disse la Sibilla ad Enea:
Tu ne cede malis, sed contra audentior ito,
quam tua te fortuna sinet. Via prima salutis,
quod minime credis, Graia pandetur ab urbe.
Dicono che nulla si truova fidissimo renditore quanto la terra. Ella ciò che tu gli accomandasti rende, secondo el precetto di Esiodo, non a pari ma a maggior misura. Ancora più troverai fedele la industria e vigilanza tua,
presertim quella qual tu porrai a cose oneste e degne, quando in queste e' cieli e ogni fato si adopera in satisfare a' tuoi meriti. Mai fu la virtù senza premio di lode e grazia. E gustate, priegovi, questo argumento: le cose di quaggiù sono rette o da noi uomini o da altri che noi mortali. S'altri le regge che noi, lasciànne la cura a chi già tanto numero d'anni le resse e con ragione e bene. Ma se forse, come tu scrivi in una delle tue iocundissime intercenali, Battista, la fortuna di noi mortali non viene dal cielo ma nasce dalla stultizia degli uomini, ricevianle fatte come dagli uomini simili a te, proclivi e dati a ogni passione d'animo e inconstanza. Qual tua sentenza mi diletta, e confermola; già che se Cesare non avesse tratto Ottaviano in tanta amplitudine, e que' suoi commilitoni non si fussero sottomessi a Cesare, sarebbe né questo né quello stati principi e ministri di tanto imperio. Anzi l'uno forse sarebbe stato simile al padre argentiero, e l'altro forse causidico. Adunque, se le cose di noi uomini conseguono contro a nostra voluntà, elle succedono secondo el volere di chi così le guida. E certo sarebbe intollerabile arroganza la mia, se io pur volessi ch'ogni cosa isse a mio arbitrio, e nulla uscisse del mio disegno e proponimento. Tante nostre volontà adempiemmo altrove; ora lasciamo che altri ancora in qualcuna sua voglia si contenti.
Ma poi che giugnemmo a questo religiosissimo tempio, entriamo a salutare el nome e figura di Dio. E, quel che sopra tutti e' documenti e ammonimenti de' prudentissimi scrittori giova, preghianlo che e' non ci adduca dura alcuna condizione di vivere, e prestici buona sanità di mente e buon consiglio e intera fermezza a nostre membra, e concedaci animo virile e constante a sostenere e soffrire ogni impeto e gravezza delle cose avverse.
LIBRO III
Ne' duo libri di sopra investigammo vari e utili rimedi a non ricevere a sé perturbazione alcuna; e vedesti non pochissimi particulari e succinti rimedi atti a sedare e' sinistri movimenti dell'animo, quando forse insurgessono in noi o da nostro errore, o da vizio altrui, o dalla condizione de' tempi e volubilità della fortuna e durezza de' casi nostri. Restavano ora certi ammonimenti generali accommodati ad espurgare qualunque fusse in noi insita e obdurata grave maninconia, - materia certo utile e degna, qual vederai disputata in questo terzo libro dal nostro Agnolo e dal nostro Niccola, uomini civilissimi e peritissimi, non forse con quanta dignità si converrebbe alla autorità e prestanza loro, però che in me, confesso, non è tanta eloquenza né tanto ingegno ch'io possa imitare la gravità e maturità d'Agnolo Pandolfini in miei scritti e sentenze, e affermo non potrei esprimere la suttilità d'ingegno e prestezza d'intelletto quale io conosco essere in Niccola. Né mi sento essercitato in modo ch'io possa coniungere e conchiudere con arte e ordine tanta esquisita dottrina e maravigliosa erudizione qual ciascuno de' nostri cittadini sente e già più tempo conobbe essere in ciascuno di que' due. Ma saranno e' documenti raccolti e referiti da costoro per sé sì approbatissimi che non dubito ti diletterà riconoscerli presso di noi, qualunque sia in me eloquenza e adattezza a dire. E udirai da questi due uomini dottissimi cose degne, grate e utilissime. Leggimi, come sino a qui facesti, con avidità e attenzione, e proponti quasi essere quarto fra noi a questi ragionamenti del nostro Agnolo, omo integrissimo e prudentissimo, quale alle disputazioni prossime di sopra, usciti che noi fummo di chiesa e iti due e due altri passi, si fermò, e prese a mano di qua e di qua Niccola e me, e commovendo qualche poco el capo disse: - Io mi credea avervi assoluta e prefinita questa impresa, e stimava restasse nulla altro in questa causa che l'ultimo epilogo e breve enumerazione delle cose recitate da noi. Ma ora m'avveggo in più modi del mio errore, e vorrei non aver cominciato quello ch'io non seppi con ordine e via conducere sino a qui. Né qui so dirizzarmi a tradurlo dove io da lungi scorgo bisognerebbe tragettarlo. Dissi cose assai, e forse non inutili; ma e' mi intervenne come a chi truovò nella vigna quasi el cucuzzolo d'un gran sasso, e parsegli da scoprirlo, ma poi si pentì del sudore e tempo perdutovi sino a qui, ove e' lo scorge maggiore e men da poterlo muovere e transportarlo che e' non si fidava.
Così disse Agnolo, e poi di nuovo tacendo oltre s'avviò passeggiando. Adunque Niccola, uomo acutissimo, verso me ritenne el passo e disse: - Concederemo noi, Battista, qui ad Agnolo quel che e' dice che 'l suo disputare sino a qui sia stato senza ordine? E tanta copia di varie, degnissime e rarissime cose accolte da lui, diremole noi non esposte in luogo e porte e assettate dove bello si condicea e convenia? Molti appresso de' nostri maggiori Latini e ancor molti presso de' Greci, Agnolo, scrissero simile parte e luoghi di filosofia. Non però vidi in tanta frequenza alcuno di loro più che voi composto e assettato. E notai in ogni vostra argumentazione e progresso del disputare esservi una incredibile brevità, iunta con una maravigliosa copia e pienezza di gravissimi e accommodatissimi detti e sentenze. E quello che a me pare da pregiare in chi scrive o come voi qui disputa e ragiona di queste dottrine dovute a virtù e atte a viver bene e beato, Agnolo, si è quello che in prima in voi mi parse bellissimo. Non so se fu Cipreste, del quale Vitruvio scrive tanta lode, o se fu altro architetto inventore di questo pingere e figurare, come oggi fanno, el pavimento. Ma costui qualunque e' fu trovatore di cosa sì vezzosa, forse fu a quel tempio ornatissimo di
, quale tutta l'Asia construsse in anni non meno che settecento; e vide costui a tanto edificio coacervati e accresciuti e' suoi parieti con squarci grandissimi di monti marmorei, e videvi di qua e di là colonne altissime; e videvi sopra imposti e' travamenti e la copertura fatta di bronzo e inaurata; e vide che dentro e fuori erano e' gran tavolati di porfiro e diaspro a suoi luoghi distinti e applicati, e ogni cosa gli si porgea splendido; e miravavi ogni sua parte collustrata e piena di maraviglie: solo el spazzo stava sotto e' piedi nudo e negletto. Adunque, e per coadornare e per variare el pavimento dagli altri affacciati del tempio, tolse que' minuti rottami rimasi da' marmi, porfidi e diaspri di tutta la struttura, e coattatogli insieme, secondo e' loro colori e quadre compose quella e quell'altra pittura, vestendone e onestandone tutto el pavimento. Qual opera fu grata e iocunda nulla meno che quelle maggiori al resto dello edificio. Così avviene presso de' litterati. Gl'ingegni d'Asia e massime e' Greci, in più anni, tutti insieme furono inventori di tutte l'arte e discipline; e construssero uno quasi tempio e domicilio in suoi scritti a Pallade e a quella Pronea, dea de' filosofi stoici, ed estesero e' pareti colla investigazione del vero e del falso: statuironvi le colonne col discernere e annotare gli effetti e forze della natura, apposervi el tetto quale difendesse tanta opera dalle tempeste avverse; e questa fu la perizia di fuggire el male, e appetire e conseguire el bene, e odiare el vizio, chiedere e amare la virtù. Ma che interviene? Proprio el contrario da quel di sopra. Colui accolse e' minuti rimasugli, e composene el pavimento. Noi vero, dove io come colui e come quell'altro volli ornare un mio picciolo e privato diversorio tolsi da quel pubblico e nobilissimo edificio quel che mi parse accommodato a' miei disegni, e divisilo in più particelle distribuendole ove a me parse. E quinci nacque come e' dicono: Nihil dictum quin prius dictum. E veggonsi queste cose litterarie usurpate da tanti, e in tanti loro scritti adoperate e disseminate, che oggi a chi voglia ragionarne resta altro nulla che solo el raccogliere e assortirle e poi accoppiarle insieme con qualche varietà dagli altri e adattezza dell'opera sua, quasi come suo instituto sia imitare in questo chi altrove fece el pavimento. Qual cose, dove io le veggo aggiunte insieme in modo che le convengano con suoi colori a certa prescritta e designata forma e pittura, e dove io veggo fra loro niuna grave fissura, niuna deforme vacuità, mi diletta, e iudico nulla più doversi desiderare. Ma chi sarà sì fastidioso che non approvi e lodi costui, quale in sì compositissima opera pose sua industria e diligenza? E noi, Agnolo, che vediamo raccolto da voi ciò che presso di tutti gli altri scrittori era disseminato e trito, e sentiamo tante cose tante varie poste in uno e coattate e insite e ammarginate insieme, tutte corrispondere a un tuono, tutte aguagliarsi a un piano, tutte estendersi a una linea, tutte conformarsi a un disegno, non solo più nulla qui desideriamo, né solo ve ne approviamo e lodiamo, ma e molto ve ne abbiamo grazia e merito. Aggiugni che non tanto el tessere e connodare in un sieme vari detti e grave sentenze appresso di voi fu cosa rara e maraviglia, ma fu e in prima quasi divino el concetto e descrizione di tutta la causa agitata da voi, qual compreendesti faccenda da niuno de' buoni antiqui prima attinta, e mostrasti in che modo si propulsino e in che modo si escludano le maninconie. E confessovi in ogni vostro successo del ragionare troppo mi dilettasti e tenestimi di cosa in cosa continuo sospeso e atten...
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