[Pagina precedente]...iandovi insieme della stessa vostra riconoscenza, per quell'atto di cortesia. Io, che, se forse con soverchio orgoglio, senza però troppo timore di essere smentito posso vantare non lieve anzianità fra la maggior parte de' vostri amici attuali, spero che il mostrarmivi non ancora dimentico del 5 di aprile mi varrà nel vostro animo un pensier generoso di preferenza, la quale io disputerei a chiunque me ne volesse defraudare in virtù di recenti titoli comunque sanciti da non interrotte consetudini.
Diciannove anni della rapida umana vita non paiono un fragil merito fra persone la cui promessa amicizia non mai si avvelenò nel disprezzo, comunque compromessa forse talvolta da qualche inevitabile vicenda. Eccomi dunque anch'io nella schiera dei festeggiatori del Vostro nome, nome che in me oggi si associa a tutte piacevoli e rispettose reminiscenze. Possa questo nome esser da Voi udito per molti anni a ripetere con emozione da coloro che amate e da quanti altri vorrà il cielo suscitarvi attorno per aumento della vostra famiglia e per conforto della futura vostra vecchiezza. Il buon Pirro e la cara Matilde facciano eco a queste mie calde parole, della cui sincerità prego dalla provvidenza un premio di benedizione sul capo del mio figliuolo. Se non discari saranno a Voi giunti gli affettuosi augurii o presagî della mia benevolenza, fate una sola volta risuonare ancora del nome mio le vostre domestiche pareti, fra i brindisi di quanti hanno su me il vantaggio di esservi in questo giorno vicini.
Sono sinceramente
Il vostro aff[ezionatissi]mo e dev[otissi]mo amico
Giuseppe Gioachino Belli
* * *
Alla Nobile e Gentil Donna
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
Macerata
per Morrovalle
Di Perugia, 19 settembre 1840
Mia gentilissima Amica
Non può né sorprendermi né sembrarmi irragionevole il dolore che vi deriva dalla lontananza di vostra figlia, e il tedio delle giornate trascorse da Voi senza la sua compagnia. Se la natura nostra si affeziona a quelle persone o a quelle cose ancora colle quali ci troviamo uniti per lunga consuetudine, quanto maggiore attaccamento non sarà in noi suscitato dalla continua convivenza coi figli, che sembrano già antichi amici al cuor nostro sin dal primo istante medesimo della loro comparsa nel mondo? Se poi consideriamo l'affetto materno, sempre più tenero e pauroso che l'amore di un padre; se apprezziamo questo affetto verso una figliuola, compagna ed amica naturale di una madre di cui deve ricopiare in se stessa tutte le tendenze dell'animo e le domestiche sollecitudini; se a que' riflessi aggiungiamo la unicità di prole in quella figlia medesima, dalla quale non può distrarsi l'amore per dividersi ed esercitarsi sopra altri oggetti di simile importanza; se finalmente quell'unica figlia sia gentile, sia amabile, sia virtuosa, sia giunta ad età di matura intelligenza per concepire la tenerezza della Madre sua e sentire in sé il bisogno e la capacità del contracambio, allora la vostra tristezza comparirà a tutti non solo naturale e giustissima ma superiore ancora a quanto sappiate esprimere colle parole.
Nulladimeno l'amore, il vero amore, prende forza e si manifesta coi sacrifizi; e se il vivere sempre al fianco de' figli nostri dà testimonianza di non dubbio affetto, il sapersene talora distaccare per la loro futura felicità trasforma la virtù umana quasi in divina, e la prepara a consolazioni più che terrene. Niuno è però obbligato ad atti maggiori delle sue forze; e così quando Voi realmente sentiate colla esperienza che la lontananza di Matildina vi riesca troppo penosa, oppure vediate Lei stessa incapace di vivere un anno separata dalla sua buona Mamma, non dovete al certo cimentare con funesto eroismo né la vostra né la sua vita, sì necessarie una all'altra, e sì care entrambe ad un ottimo marito e padre che in Voi due ripone e divide tutte le sue compiacenze. Nulla delle create cose è infinita, ed ogni atto della umana natura ha una linea di confine, oltre la quale la stessa virtù degenera in vizio. Ma a quella linea bisogna arrivare, e badar bene che le passioni seduttrici non ci faccian credere estremo il mezzo della misura. Io parlo ad una donna virtuosa e illuminata sui proprii doveri così come sulla propria morale attività per compierli degnamente. Mi riesce assai grato l'udire da Voi la memoria che Monsignor Vescovo Teloni conserva di me e della mia famiglia, seppure possa più meritar nome di famiglia una casa mancante di una moglie o di una madre che la diriga e ne sia centro. Quando rivedrete quell'ottimo prelato presentategli i miei rispettosi ossequî e ditegli che il tempo di tanti anni mai non ha in me diminuita la stima indottavi da' suoi meriti sin da quando ebbi l'onore di averlo a compigionale nel medesimo casamento da me abitato colla mia povera Mariuccia. Avrei anche desiderio di sapere da Voi se viva e stia bene la Contessa Cavallini, sorella di Monsignore, donna di molte amabili prerogative.
Nel Mercoldì 16 adunque si celebrò dalle Monache e dalle convittrici del Monistero il vostro giorno natalizio.
Brava Cencia! Mentre quasi ogni donna procura di nascondere quelle fatali ricorrenze, Voi senza vanità o pregiudizi le fate solennizzare da una intiera comunità . Sarete così più stimata da chi non valuta i pregi di una donna in ragione inversa della età sua. La gioventù ogni giorno fugge, e la virtù si accresce ogni giorno. Io vi auguro di raddoppiare l'attual vostra vita onde aumentarvi di altrettanto la mia odierna amicizia, seppure ancor'io possa lusingarmi di rimanere sì lungamente in questa locanda del mondo. Ciro sta sempre bene e va di giorno in giorno sviluppando uno spirito amenissimo, senza però uscir mai dai termini della moderazione. Ha poi un'arte sua propria di star sempre e ad ogni incontro in pace con tutti. Fra tre giorni io lascerò Ciro e Perugia, e, trattenutomi un poco per affari lungo la via, sarò in Roma verso il finire del mese.
Mille amichevoli parole al mio Pirro, alla vostra Matildina e a tutti i vostri parenti. Sono di cuore
Il V[ostr]o a[mi]co aff[ezionatissi]mo
G.G. Belli
* * *
Alla Nobile e gentil Donna
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
Macerata
per Morrovalle
Di Roma, 8 dicembre 1840
Gentilissima Amica
Alla seconda lettera che mi dirigeste a Perugia (parlo di quella dell'11 settembre) io risposi di là il giorno 19 del medesimo mese partecipandovi la mia non lontana partenza da quella città per tornarmene bel bello a tirare il vomere in questo mio campo aratorio. Fin là dunque le nostre partite sono saldate. All'avvicinarsi però delle feste natalizie e del nuovo anno preparo questa carta per aprirvi un conto novello, nel quale io registro intanto a mio credito una bella somma di augurii anticipati, che potranno figurare come arra e caparra del mio debito d'amicizia verso di Voi, di Pirro, di Matildina, della Marchesa, dello zio Checco e di tutti i parenti, agnati, cognati, consanguinei, affini, sino alla decima generazione.
Fra i nomi de' soprannotati miei creditori, notati tutti in rubricella del libro mastro, ne avrete trovato uno scritto in carattere più cancelleresco che gli altri. Ciò indica, secondo il sistema della mia contabilità , che su quel nome ha da cadere scrittura doppia. Animo dunque. Come sta Matildina? Ama il suo soggiorno claustrale? Vi resta non oltre al tempo carnevalesco? Ve la lasciate di più? Tante interrogazioni puzzano un po [sic] di curiosità de' fatti altrui; ma io tengo sott'occhio la vostra lettera dell' 11 settembre, e vi trovo scritte queste parole: in seguito saprò dirvi qualche cosa di più positivo su questo punto. Voi dunque autorizzaste la mia ficcanaseria: voi pagatene oggi la pena, e parlate.
Andiamo adesso al conto di Ciro. Esso gode sempre di robustissima salute; e non so se vi abbia mai detto che su questo proposito della sua fibra tenace lo chiamano il beduino, al che forse ancora contribuisce la fosca tinta della sua pelle. Non ha sortito certamente dalla natura le doti da venirne un vagheggino e un fustarello di latte e miele, di giglio e rosa. Quello va innanzi per la sua via come un corazziere della guardia del corpo, fermo di mente e duro di membra. Negli scorsi giorni gli ho mandato i partimenti di Fenaroli perché si addestri nel musicale accompagnamento. È un pezzo, mia cara Signora dacché nelle vostre lettere non è più parola della vostra salute. Intendo pertanto oggi di diffidarvi formalmente, chiedendovi con positive e chiare parole un ragguaglietto preciso del vostro stato sanitario, del quale tanto più m'interesso in quanto che in Roma avevate certe ubbie pel capo, dalle quali al certo non poteva derivarvi il beneficio dell'elixire campacentanni. È vero che parlavate di un tale anno climaterico con assai sangue freddo; ma simili idee, amica mia, non sono fiori di malva. - La mia capoccia va meglio, e n'è uscita fuori una romanzaccia, degna della musica de' gatti incimurriti.
La Carità (vedi che titoli!)
Ah non vantate o prodighi
Di sterili parole,
Quell'apparir benefici
Dove più splenda il sole;
Non il gettar per gloria
Di ree lusinghe e vane
Un vile argento, un pane
Sul letto del dolor.
La carità , che ingenua
Abita in cor non guasto,
Abborre dagli strepiti,
Sdegna le pompe e il fasto;
E pari a casta vergine
Al guardo altrui si cela,
Né in sua bellezza anela
A effimero splendor.
Ah di fortuna il giubilo
E il superbir del sangue
Al muto aspetto estinguasi
D'un poverel che langue:
Felici se una lagrima
Vi turba il cuore in festa,
E il senso in voi ridesta
Dell'egra umanità .
Allora, allor de' miseri
Nel consolato petto
Susciterete un palpito
Di non mentito affetto;
E quanto men fra gli uomini
Scenda orgogliosa e grave
Sarà più a Dio soave
La Vostra carità .
Vi parrà questa romanza stravagante e bizzarra. E così è. Ma se togliete dalla mente de' poeti la stravaganza e la bizzarria, non vi resta più altro. In questa romanza, per difenderla pure un tantino, non vi sono sfoghi d'amore né altri vaniloquii di un'anima che non intenda se stessa. Io, al postutto, non so se la carità possa associarsi alla musica, e se i maestri di cappella avranno note caritatevoli da farne una salsa alla mia scipita vivanda.
E quì vi auguro di cuore pace, sanità e alegrezza come i ciechi rapsodisti di piazza.
Sono il vostro aff[ezionatissi]mo a[mi]co
G.G. Belli
* * *
Alla Nobile e Gentil Donna
Sig.a Vincenza Perozzi, N.a M.sa Roberti
Macerata
Per Morrovalle
Di Roma, 23 gennaio 1841
G.[entilissi]ma amica
Rispondo con poche linee alla vostra del 17, giacché ho 3/4 di brighe per ogni 1/4 di tempo. Il vostro paragrafo sulle costipazioni dei Tomassini è saporitissimo: l'ultimo periodo poi relativo al Pagliaroni, alla sua cura sentimentale e al poco peso de' suoi cadaveri pe' beccamorti, mi è sembrato un tratto degno dello spirito di Walter-Scott. Non vi vorrei poetessa nemica. - Brava! Del 44 non se ne parli più: se me ne dite un'altra parola vi attizzo contro i miei carboni rimati. Scottano poco, ma tingono.
Quel Marocco pel quale avete concepito tanto interesse e che sì volentieri (credo) frustereste sopra un asino da due carlini, è uno stracciapane, un cervellaccio pieno di memoria e di stravaganza, un temerario da fiera, che ha fatto tutte le arti, tutti i mestieri, buono a intraprender tutto, a perfezionar niente, vivace, focoso, miserabile, attualmente tornitore in borgo e poeta in città . Si aiuta come può e si contenta di tutto: di un paolo, di un pranzo, di una cena, di una presa di tabacco. Stampò i suoi due canti a debito, che pagò poi per la sua instancabilità di girare offrendo il suo libro a chi lo voleva e vendendolo a chi nol voleva comprare. È una piattola che cava sangue dai sugheri. Non so come in provincia abbiano ficcato i suoi versi nella collezione che vi mandai. Quì si tiene per poeta da bettole. E tuttociò voglio aver detto con tutta la venerazione.
Il suggello era della Tiberina; e il bollo che impresse sul mio plico per Voi fu l'ultimo che mi uscì dalle mani prima di passar quell'arnese al Segretario mio successore. Per quest'anno m'han cre...
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