[Pagina precedente]...ramente la testa, e in un breve intervallo che il conte era assente mi misi in viaggio, feci il lungo viaggio nel cuor dell'inverno, a cavallo, in carrozza, in slitta, come potei, per andare a raggiungere il mio amante, io che avevo sdegnato veder ai miei piedi dei principi... quell'uomo ai piedi del quale mi sarei inginocchiata... e arrivando all'improvviso seppi che durante la mia lontananza egli aveva avuto 'una distrazione', e che un'altra... non so chi sia, non volli saperlo, avea profanato la mia memoria e il mio amore. Ripartii senza vederlo, senza fargli un rimprovero: mi ammalai lungo il viaggio, e quando giunsi a Pietroburgo, dissero ch'ero etica. Quell'uomo pure mi amava alla sua maniera, alla maniera di voi altri; ruppe il bando, a rischio della vita, e mi corse dietro come un forsennato. Io ero in letto con la febbre, e l'udii piangere, e implorare, e picchiare della testa sul limitare del mio uscio. In quel momento non seppi più perdonare a quell'uomo che mi uccideva di non avere almeno la dignità della colpa. La mia caduta non avea più scusa, era una cosa ignobile... Avrei voluto salvare almeno il sentimento che mi avea fatto cadere... Allora..." si nascose il viso fra le mani "non vi dirò più altro... Quell'uomo si uccise, come vorreste far voi drammaticamente, con una pistolettata rumorosa... Io, vedete, non sono ancora morta..."
Ella avea un'espressione intraducibile nella fisonomia decomposta; sembrava un'altra donna; parlava con una voce che Giorgio non avea mai udito.
"Ecco cosa penso dell'amore, ed ecco perché non avrei dovuto vedervi più dopo avervi inviato quel biglietto"; disse poscia con voce sorda.
"Ditemi questo almeno!..." esclamò Giorgio con un gran turbamento. "Quel che mi avete scritto... lo pensavate allora?"
"Si!" rispose un po' pallida, ma guardandolo fisso.
Egli balzò in piedi.
"Perché dunque m'avete detto delle cose orribili? Siete senza cuore e senza pietà! che m'importa, vi amo! Se quell'uomo fosse vivo lo ucciderei, o ucciderei voi, ma vi amo!... vedete..."
Nata gli voltava le spalle, sprofondata nel seggiolone, e non rispose altrimenti che stendendogli la mano al di sopra della spalliera; ei l'afferrò con impeto, e stava per coprirla di baci quand'ella gli disse con voce calma:
"Buon viaggio, La Ferlita."
VII
La contessa pagò la passeggiata al chiaro di luna con parecchi giorni di febbre, e Giorgio, che non era stato più in casa sua, lo seppe al Circolo, desinando con San Damiano e Colli. Ella non s'era fatta più viva, e non gli aveva scritto un sol rigo, come soleva fare pel passato allorché desiderava vederlo, sicché poteva ben credere ch'egli avesse preso alla lettera il buon viaggio datogli, e fosse partito per Lisbona. Nonostante la sera istessa andò a chiedere notizie di lei, e mentre il domestico gli diceva che la signora stava molto meglio, sopraggiunse Nata, vestita per uscire, col mantello sulle spalle. Vedendo La Ferlita, gli tese amichevolmente la mano, come nulla fosse stato fra di loro, dicendogli: "Sto meglio, grazie" Giorgio balbettava qualche parola. "Vado alla Pergola; volete accompagnarmi, se non avete nulla da fare?"
Da porta San Gallo alla Pergola scambiarono poche parole, Giorgio scusandosi alla meglio per non esser venuto, ed ella dicendogli che alla fin fine non era stato nulla, ma che si era annoiata moltissimo. Sembrava che non ci fosse un'ombra d'imbarazzo fra di loro, eppure divagavano troppo nei discorsi, e mettevano contemporaneamente il capo allo sportello ad ogni voltata che faceva la carrozza, per vedere se fossero arrivati. Nata intanto si snodava i nastri del cappuccio, e la seta dell'ovatta rendeva un fruscìo che, così nell'oscurità, avea qualcosa di vivo, e carezzava l'innamorato nelle più intime fibre. Attraversando il vestibolo del teatro, Giorgio si scusò di non essere in giubba e voleva lasciarla sul limitare del palchetto.
"Non fa nulla, rimanete. Vi metterete in un canto, e discorreremo lo stesso."
Così dicendo lasciò cadere il mantello nelle mani di Giorgio, e si avanzò sul davanti del palchetto, colle braccia nude, gli omeri un po' magri e come trasalenti alla prima impressione dell'aria, il capo ornato di fiori, l'occhio brillante sul viso imbellettato, appena accerchiato da un leggiero lividore; prima di mettersi a sedere si fermò ritta, appoggiandosi colla mano sul velluto del parapetto, e passò in rivista col cannocchiale le acconciature eleganti, salutando le amiche con un piccolo cenno del capo o con un sorriso. Poi si assise, sciorinando le balzane, assettandosi sul busto la vita scollacciata con dei piccoli movimenti di spalle. La Ferlita fu completamente dimenticato. Durante i due primi atti ella non ci fu che per il pubblico, o per se stessa, o per lo spettacolo. Fra un atto e l'altro Giorgio era andato a comprarle dei dolci, e al suo ritorno la trovò come l'avea lasciata, attentissima all'opera. Ella lo ringraziò con un cenno del capo, ma il cartoccio rimase intatto sul parapetto. Fino allora non avea rivolto a Giorgio una sola parola.
"Avete fatto bene a non partire senza dirmi addio," gli disse infine col viso rivolto verso la scena, "sarei stata molto dolente se non vi avessi visto."
"Scusatemi, anzi. Ho saputo soltanto oggi che siete stata ammalata."
E dopo un momento gli stese la mano.
"Ci lasciamo amici, non è vero?"
"E ci rivedremo più amici di prima, spero."
Nata gli rispose con una stretta viva e brusca, ma tosto ritirò la mano e si mise a guardare col binoculo in un palchetto di faccia. Poscia posò il cannocchiale col braccio disteso sul parapetto, e appoggiò le spalle allo schienale della poltrona. Sembrava che lo spettacolo l'assorbisse completamente; di tanto in tanto passavano delle correnti di fluido misterioso in fondo alle sue larghe pupille grigie, e le oscuravano come se le intorbidassero. A poco a poco gli occhi si fecero immobili, si dilatarono, le labbra si strinsero, e parve che il viso si profilasse; appoggiò anche il capo alla parete del palchetto, un po' indietro e all'oscuro, e più non si mosse; soltanto le trine che le velavano il petto si gonfiavano interrottamente. Giorgio non osava dir nulla ed evitava di guardarla. Infine, sorpreso dalla durata di quella immobilità e di quel silenzio, si chinò alquanto verso di lei per domandarle cosa avesse, ma vide che teneva gli occhi chiusi, e gli sembrò scorgere delle lagrime luccicare fra le lunghe ciglia, nell'ombra. Egli sentì come un'onda improvvisa di amarezza e di voluttà che gli addentava il cuore e lo afferrava alla gola: erano le stesse lagrime dell'altra volta, le quali sgorgavano dal più profondo, ribelli, schive, amarissime su quel viso impenetrabile, sul quale s'indovinava solo la lotta interna e la collera che sarebbe scoppiata se ella fosse stata sorpresa in quel momento. Dalla platea e dai palchi si applaudiva fragorosamente il duetto del Ruy Blas; Nata si scosse, si alzò bruscamente, volgendo in là il capo con un mal celato dispetto, e volle andarsene; avea la voce leggermente velata. Giorgio l'aiutava a mettere il cappuccio nel fondo del palchetto; ella lasciava fare, e lì, nella semi oscurità, ritta e palpitante, gli afferrò all'improvviso le tempie, e pallida, seria, risoluta, coll'occhio luccicante, senza dire una parola, gli appoggiò lungamente sulle labbra le labbra umide e calde.
Giorgio l'abbracciò quasi fuori di sé; ella gli appoggiò le mani sul petto, e s'irrigidì, coll'occhio sbarrato in quello di lui, senza vederlo; poi si svincolò dolcemente, ed uscì dal palchetto. Ei la seguiva barcollando, sbalordito, soffocato dalla violenza di quella passione che irrompeva ad un tratto come una tempesta. Nata attraversò il vestibolo a passi affrettati e chiusa nel suo mantello. Lungo tutta la via non aprì bocca; si tenne rincantucciata nell'angolo della carozza, al buio, stringendosi nelle vesti, e quando i fanali delle cantonate mettevano un raggio guizzante di luce nel fondo della carrozza, Giorgio sorprendeva quegli occhi lucenti, fissi su di lui, con un che d'implacabile che faceva quasi paura su quel viso bianco e rigido. Infine, cedendo a un impulso irresistibile, La Ferlita afferrò vivamente la mano di lei che dapprima rispose alla sua stretta con una pressione nervosa, bruciante di febbre sotto il guanto; poi si svincolò bruscamente, quasi con collera.
"Che avete?" le domandò.
Ella rispose con voce sorda:
"Mi disprezzo!"
In questa il legno si fermava. Nata discese, gli strinse la mano senza guardarlo; sentendo la stretta di quella di lui, muta, disperata, supplichevole, gli piantò in viso quello stesso sguardo del palchetto, duro e freddo come l'acciaio, luccicante ai fanali della carrozza, e con accento breve e secco:
"Non vi amo, sapete" disse "no!"
E lo inchiodò sul marciapiede con quello sguardo, con quelle parole, allontanandosi senza dir altro.
Era sera di ricevimento in casa de Rancy, e la viscontessa vide giungere La Ferlita così tardi e così stralunato che gli andò incontro premurosamente.
"Cos'è stato?"
"Nulla, domani parto per Lisbona e sono venuto a dirle addio."
"Com'è pallido!"
"Sarà il freddo; avrò fatto le scale molto in fretta. Quanta gente stasera!"
"Ha vista la contessa?"
"Si, sono stato alla Pergola con lei."
"Sta meglio dunque?"
"Molto meglio."
"E lei... partirà proprio?"
"Ho già fatto le mie valigie."
"Amico mio, dalla sua cera ho paura che perderà la corsa e che tornerà a disfarle."
"E il mio dovere? la mia carriera? il mio ministro?... Se ciò per disgrazia avvenisse, la prego di rendermi un vero servigio: procuri di farmi condurre sino alla frontiera dai carabinieri, colla camicia di forza per giunta."
La viscontessa gli tese la mano, fra seria e ironica:
"S'è così, tanto meglio! buon viaggio dunque, e a rivederci."
In quella sopraggiunse il visconte.
"Partite finalmente? Lasciatemene congratular con voi, mio caro; prima di tutto per la vostra carriera, e poi per cento altre cose." Così, attraversando le sale a braccetto. "Fate benissimo ad andarvene in questo momento; siete l'amante della contessa, lo dice tutta Firenze, è una bella fortuna, non dico di no; ma è anche una bella fortuna finirla a tempo; suo marito potrebbe capitare da un giorno all'altro; certamente che un incontro con lui non vi metterebbe in pensiero, ma sapete, nella vostra posizione bisogna pure aver dei riguardi; un affare di questo genere con tutt'altra persona non vi nuocerebbe, anzi! ma il conte è uno dei beniamini della corte di Pietroburgo, e voi non siete ancora ambasciatore. Poi cosa potete desiderare dippiù? A Lisbona del resto ci sono della bellissime donne. È vero che la contessa non ha da temerne il paragone, almeno per voi che ne siete innamorato: è questione di gusti. Venite di là a fumare un sigaro. Insomma si può essere innamorati, lo so; è una donna bizzarra, tutta nervi, tutta a faccette, come un richiamo da allodole, è cosa piacevolissima, interessante, che vi agita, vi scuote, vi fa vivere in un bagno caldo... so cosa vuol dire amare una di queste donne, sia detto ora che la viscontessa non può udirci, si può perderci la testa, ma ecco dove sta appunto il pericolo, amico mio; noi abbiamo la testa sulle spalle per fare i nostri affari e il nostro interesse, lo sapete meglio di me, e non esser ridotti a tirarci su delle pistolettate come quel povero diavolo di Dolski."
"Conoscete anche voi quella storia?"
"Chi non la conosce più o meno a Pietroburgo? Quella è una donna pericolosa, per bacco!, bella, bellissima, seducentissima; ma da far paura al Baiardo degli innamorati; io ho conosciuto quel polacco a Varsavia, era un giovane bello e distinto, ma era anche un po' esaltato, tanto da compromettersi ed esser mandato in Siberia, e da far poi quel che ha fatto... Infine perché? lo saprete anche voi - per la miseria di un amoretto che s'era permesso mentre lei era a Pietroburgo, e pensate che doveva starci sei mesi! La contessa deve avere delle idee singolari sulla fedeltà mascolina, e punto comode! Egli ruppe il bando, a rischio di tutto, corse a buttarlesi ai piedi; el...
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