[Pagina precedente]... è che Alfonso in persona ha dovuto sbracciarsi per farlo mettere in libertà , per timore di peggio." "Crespi è un imbecille con tutto il suo spirito, la baronessa lo mena pel naso e gli fa toccare con mano che Giulio e i suoi tre predecessori non sono mai stati altro che degli amici." "Quel povero barone ne vede di tutti i colori!" "Piuttosto non vede nulla di nulla." "I Turchi sono la gente più spiritosa del mondo." "Hai visto la marchesa stasera? che spalle!" "E quanta polvere di riso!" "E la Staël da strapazzo, con quei ricciolini e quell'aria ispirata che la fa sembrare colpita da cataratta." "Non ho voluto più saperne di Ersilia; mi annoiava, caro mio, era sempre la stessa cosa!" "Caro Bassano, la donna è un oggetto di lusso, quando potrò permettermi sei cavalli in scuderia invece di due, allora mi regalerò un'amante." "Amici miei, voi dite delle bellissime cose, ma io ho amato due volte, e ne ho abbastanza; la prima era una civetta che mi faceva stracciare un paio di guanti tutti i giorni; la seconda una sentimentale gelosa dello zeffiro e del fumo del mio sigaro, cui bisognava dare delle spiegazioni pel mazzolino che mi regalava la fioraia, e che mi versava periodicamente delle lagrime sulla cravatta; in fede mia preferisco il celibato dell'anima, a meno che non trovi una Venere bestia come un'oca." "E La Ferlita! Chi avrebbe potuto prevederlo?" "Io lo avevo previsto, ché lo vedevo a Firenze spendere a rotta di collo." "Ecco quel che si chiama fare una fine!" "È una vera fine, con tanto di croce." "Ma, amici miei," interruppe De Natale, ch'era tagliato un po' alla carlona, "voi altri parlate come se non aveste né madri, né spose, né sorelle." "Oh! quanto alle spose... se ci fosse al mondo un'altra poveretta buona e dolce come la mia, consiglierei a tutti i miei amici di sposarla." "Caro De Natale, una sorella non è una donna, ecco perché accanto alla mia, francamente e modestia a parte, mi trovo un poco di buono." "So anch'io che esistono delle donne perfettamente degne di essere amate, e perfettamente rispettabili; ma lo so per caso!" disse Falchi;. "Or bene, giacché per caso avete sotto gli occhi tante eccezioni quanti siete voi altri, incluso lo scettico Crespi che perde il suo scetticismo dietro la baronessa, perché vorreste negare che La Ferlita possa essere felice anche colla catena del matrimonio al collo?" "Chi dice di no? Dammi un altro sigaro." "È quistione di gusti." "Hai detto catena!" "Io domando di esser felice più tardi che si può." "Sì, quando tua moglie non sarà bella che per farti geloso, a torto o a ragione, e quando i figli non ti verranno che per darti le ansie e le paure di lasciarli orfani troppo giovani. È un egoismo sbagliato, caro Falchi, e lo pagheresti troppo caro." "Insomma, De Natale, anche tu sei un marito convinto e contento: contento tu, contenti tutti. Non è vero, signori?" "Eh, eh!" "Però bisogna domandarne anche a Giorgio in confidenza, e dandogli promessa che sua moglie non ne saprà nulla." "Amici miei, sono un egoista anch'io come Giorgio. Anzi, la nostra felicità non ci costa nulla, è facile, semplice e tranquilla. Quando vi sarete rotte le gambe a correre dietro la vostra felicità , ciascuno alla sua maniera, mi darete ragione. Sai perché non mi dà soggezione la tua aria sardonica, Falchi mio? né me ne dà il modo in cui Bassano mi buffa il fumo sul viso? Perché so che in questo momento in cui mi state ad ascoltare col sigaro in bocca e colle mani nelle tasche, sprofondandovi nelle poltrone e sorridendo sotto i baffi, tu pensi a quel che ti costa la tua Giuditta, tu che la tua baronessa si fa corteggiare da un altro, e tu che la tua relazione con quella signora che tu sai comincia ad annoiarti, e che ha durato troppo." "Tutte coteste saranno ottime ragioni per te che non ti sei mai rotte le gambe, De Natale mio, ma Giorgio se le ha altro che rotte, lo so io che l'ho trovato a Firenze in tale stato da sembrarmi più adatto per San Bonifazio che pel ministero di Palazzo Vecchio!" "Di', Bassano, hai conosciuto quella russa che gli ha fatto girare la testa come un molinello?" "No, quella lì era invisibile; si diceva che fosse così malandata da essere costretta a tenere anche Giorgio al regime omeopatico." "Si diceva anche ch'era una bella donna! Chi dice di sì e chi dice di no... Ma infine, sapete, una donna che vi cura colla omeopatia?" "E Giorgio l'ha piantata?" "No, è stata lei che l'ha piantato. Il danno, le beffe, e l'uscio addosso!" "Giorgio s'è dato pace però." "Ed ella è andata a morire in un angolo di qualche albergo, come tutte coteste gran signore tisiche che vengono dal Nord." "A proposito di tisiche e di gran signore, ne ho conosciuta una all'Albergo dei Bagni di Acireale, e sarebbe una bizzarra combinazione che fosse l'amante di La Ferlita, tanto più che è proprio russa!" aggiunse Bassano. "Bella?" "Tisica, mio caro, ossa e pelle, dagli occhi grigi grandi così." "La conosco," disse il dottor Rendona, "è sotto la mia cura." "Come si chiama?" "Chi lo sa? Si fa passare per signora Conti, ma pronunzia questo nome come se fosse turco." "Anche quella di La Ferlita nascondeva il suo vero nome sotto uno pseudonimo." "Credo dev'esser stata infatti una bella donna; ha ancora dei begli occhi." "E nessuna speranza?" "Quel che si dice nessuna; siamo al terzo grado, anzi alla fine del terzo grado; del polmone sinistro non le rimane quanto il pugno di un ragazzo, il destro è andato del tutto. Quando faccio la mia auscultazione medica le bollicelle scoppiano come un fuoco d'artifizio. Tutta la mia scienza non potrà giovare che a vincere la morte per due settimane o tre. Non capisco perché i medici di laggiù mandino qui i loro malati quando sono a questo estremo. Figuratevi un viaggio così lungo fatto in quello stato! È vero che non ripartirà più."
Giorgio era entrato da qualche momento, e ascoltava Rendona con le spalle appoggiate allo stipite dell'uscio, senza dire una parola. Quando il dottore ebbe finita la sua narrazione fatta con l'indifferenza di un uomo abituato a parlare di queste cose, ma che nondimeno avea gettato un'ombra sulla gaiezza un po' turbolenta della comitiva, successe un istante di silenzio. La Ferlita si passò a più riprese la mano sulla fronte, e cercò di ravvivare la conversazione egli stesso. Parecchi cominciarono a cavare gli orologi e ad andarsene. Mentre il padrone di casa distribuiva strette di mano a dritta e a sinistra, disse al dottore: "Fermati ancora, Rendona, sembrami che Erminia abbia un po' di febbre." Crespi, ch'era rimasto l'ultimo, uscì sogghignando. Mentre Giorgio mi stringeva la mano mi fermò un istante, guardandomi in viso quasi volesse dirmi qualche cosa, ma non aprì bocca, poi mi serrò la mano due o tre volte con forza, dicendomi: "A rivederci, e presto, non è vero?"
Rendona mi raggiunse sulle scale, poiché solevamo fare la strada insieme. "Ha un po' di febbre, è vero," mi disse "è ancora debole, e tutta questa gente e tutte quelle signore le hanno intronato la testa. Ma che diavolo ha suo marito? Mi ha fatto cento domande sulla mia ammalata di Acireale. Che il diavolo ci abbia messo proprio la coda? Ad ogni modo non ce la metterà per molto tempo."
IX
Le matrone intime della famiglia se n'erano andate lasciando le ultime raccomandazioni, il va e vieni dello strascico della suocera era cessato, il bambino dormiva nella sua culla azzurra e bianca, la convalescente cominciava ad assopirsi anche lei. Giorgio s'era messo a sedere ai piedi del letto. Quella quiete, quel silenzio, quella luce temperata gli infondevano una gran serenità nell'anima; sembravagli sentirsi penetrare da una pace solenne; quelle pareti, quei mobili noti aveano una fisionomia onesta e sorridente, e nel tempo istesso avevano qualcosa di nuovo, ché quella camera tranquilla sembrava più piena, quella piccola culla azzurra, rannicchiata in un suo canto, riempiva un gran vuoto fra il canapè ed il letto. Nella strada si sentivano ancora i rumori di una città che si addormenta; il trotto rapido delle carrozze che ritornavano alla rimessa, il chiudersi delle ultime finestre e delle ultime porte, il passo affrettato di coloro che ritornavano dal caffè o dal teatro, i discorsi spezzati, e in mezzo a tutti cotesti rumori il respiro della donna un po' irregolare sembrava unirsi al respiro appena sensibile del piccolo essere che le dormiva vicino. Gli occhi di Giorgio andavano dal letto alla culla, vi riposavano volentieri, e da quelle deboli creature che dormivano tranquillamente, fiduciose sotto gli occhi di lui che stava come a vegliarle e proteggerle, venivagli una gran forza, una gran pienezza di vita, che gli faceva sempre più soffice il tappeto sul quale posava i piedi e lo schienale della poltrona al quale appoggiava la testa, gli rendeva più dolce il tepore di quella camera, più blanda la luce della lanterna. Non aveva sonno, quella calma lo riposava dalle tante noie e dalle tante chiacchiere della giornata. Senza sapere di esser felice, godeva istintivamente di paragonare il suo stato presente a quello di coloro fra i suoi amici che sapeva più combattuti dalle angustie e dalle tempeste della vita; passava in rassegna macchinalmente, in quella specie di sonnolenza, i paradossi dei loro discorsi, le contraddizioni delle loro azioni, e d'uno in un altro sfilarono anche le agitazioni del suo spirito, le gioie turbolente e turbate, le febbrili aspirazioni del suo passato, di quel passato di ieri che sembrava già tanto lontano, e che gli infondeva una specie di inquietezza penosa, e si legava sino alle ultime parole dei suoi amici e all'ultimo racconto del suo medico. A poco a poco s'immerse in una meditazione profonda. Erminia dormiva, rivolta verso di lui, bianca e serena, colle trecce nere sul bianco guanciale; di quando in quando sembravagli, per una strana allucinazione, che quel viso fattosi più cereo si profilasse, si incadeverisse, che dei profili secchi, rigidi, vi si disegnassero vagamente, dei profili che egli conosceva, consunti dalle febbri e dalle passioni, e che gli si erano disegnati implacabilmente dinanzi agli occhi, mentre Rendona parlava della sua ammalata all'Albergo dei Bagni. Quei capelli neri su quell'altro viso aveano qualcosa di affascinante, di repugnante, di spaventoso. Egli s'alzò per andare a baciare in fronte la sua Erminia e per curvarsi sulla culla del figlio. La creaturina stava raggomitolata in mezzo ad un pugno di batista e di trine, avea i labbruzzi semiaperti e i pugni chiusi sul petto; la madre dormiva serena e sorridente come se lo vedesse ancora. Egli volse intorno uno sguardo che sembrava distratto, lo riposò sulle pareti e sui mobili; poi si mise a baciare con una certa vivacità il bambino, che si svegliò strillando.
X
Erano passate due settimane; la primavera era alquanto inoltrata, e la signora Erminia, cui rifioriva nuovamente la salute sulle guance, cominciava a ricevere e ad uscire in carrozza nelle ore più calde del giorno; ella era felicissima, si baloccava da mane a sera col suo bimbo, anzi erano in due a baloccarsi, sebbene Giorgio credesse farlo per compiacenza e ci mettesse una goffa serietà , ed Erminia pretendeva che già il bambino conoscesse il babbo alla voce ed al riso. La mamma Ruscaglia era sempre per casa, contenta come una pasqua del bel maschietto che veniva in linea più o meno retta da lei, e un mattino entrò con un viso misterioso a dire alla figliuola: "Indovina chi è arrivato? tuo cugino Carlo, in permesso per due mesi. Se vedessi che bel giovanotto, e come gli va bene la montura. È stato a Lissa, povero ragazzo, è stato di quelli del Re d'Italia, e fu pescato dopo quattordici ore ch'era in mare! Insomma, cose da far drizzare i capelli sul capo! Sentirai quando ti racconterà ; ora viene dalle Indie, dall'America, che so io; insomma ha girato il mondo, e con tutto ciò non m'ha fatto suggezione; m'è parso di vederlo tal quale è partito pel collegio, e l'ho baciato proprio come un ragazzo. M'ha domandato di te, e m'ha detto che verrà oggi stesso."
La Ferlita er...
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