[Pagina precedente]...a uscito, e la signora Erminia era sola, cucendo dei nastrini su di una cuffietta del suo bambino. Ascoltava la mamma con tanto d'occhi aperti, e senza sapere ella stessa il perché non poté dire una sola parola, si fece bianca, e posò le mani e la cuffietta sulle ginocchia. La signora Ruscaglia chiacchierava sempre; Erminia pensava vagamente che infine era naturale che Carlo tornasse tosto o tardi, che ella l'aveva sempre preveduto, e che solo il sentirsi annunziare così all'improvviso il suo arrivo le cagionava quella sorpresa. Sua madre dopo aver ciarlato ancora una mezz'ora se ne andò. Erminia rimase un po' turbata dalla visita che aspettava; avrebbe desiderato quasi che non avvenisse, o che almeno ritardasse di qualche giorno; soffriva in anticipazione l'imbarazzo del primo trovarsi insieme col cugino, e delle prime parole; non sapeva se avrebbe dovuto dargli ancora del tu; avrebbe e non avrebbe voluto che suo marito si fosse trovato presente a quell'incontro. Finalmente si udì la famosa scampanellata ed il famoso passo. Carlo era un bel giovinotto, assai bruno, anche per un siciliano, ma di fisionomia simpatica ed aperta; ei le s'avvicinò così rapidamente, le prese le due mani e le scosse a più riprese con tanta cordialità , con tanta franchezza, che l'imbarazzo della cugina non ebbe tempo di manifestarsi, e svanì istantaneamente. Carlo sedette accanto a lei su di una sedia bassa, abbordò da buon marino la spinosa difficoltà del tu, e si misero a discorrere come se la loro conversazione fosse stata interrotta soltanto dal giorno innanzi. Ella respirava liberamente e gli sorrideva quasi per ringraziarlo del gran peso che le toglieva dal petto. "Sai," le diceva il cugino; "mi facevi un po' soggezione prima di rivederti; adesso sei una matrona, hai dei figli! È bello il tuo bambino? Se non fosse stata la zia avrei rimandata la mia visita a domani, come un poltrone che piglia tempo. Appena t'ho vista m'è sembrato che ti avessi lasciata ieri, in quella piccola anticamera gialla, ti rammenti? e ti ho dato subito del tu come allora, perché ti ho trovata sempre la stessa... cioè no, adesso ti sei fatta più bella. E il tuo bambino, me lo fai vedere?"
"Sì, anzi, desinerai con noi; ti presenterò a mio marito."
"Lasciamolo là il marito, è sempre una bestia antipatica. Ti pare che potrei darti del tu se egli fosse presente? e che saresti per me la stessa cugina d'allora? Quel signore che non mi conosce mi farebbe gli occhiacci, e francamente io lo troverei brutto perché mi ha rubato la mia Erminia; ché noi dovevamo essere marito e moglie, non è vero? Già dico così per ridere; eravamo proprio ragazzi! E abbiamo fatto benissimo a fare quello che abbiamo fatto tutt'e due; è passato tanto tempo! Tu eri una ricca signorina, ed io non avevo in prospettiva che i galloni di tenente, magri galloni, cugina mia! e nella mia carriera bisogna scacciare come il diavolo la tentazione del matrimonio. Se sapessi che bella e avventurosa vita, cara Erminia! e su quanti luoghi del mondo tuo cugino si è rammentato di te! Ti racconterò poi tutto quel che ho visto, qualche giorno... ne ho visto delle belle e delle brutte; ma sai, quando si hanno i primi galloni alle maniche anche le cose brutte sembrano belle. Li racconterò a te e a tuo marito, giacché infine mi presenterai a tuo marito; sarebbe strano che non mi presentassi a tuo marito. E tu come stai? sei contenta? sei felice? Adesso, vedi, non posso adattarmi a chiamarti con quell'altro nome... madama La Ferlita... No!"
"Ora ti farò vedere il mio Giannino", disse Erminia suonando il campanello.
"C'è tempo, perché starò qui due mesi, e verrò a trovarti tutti i giorni. Me lo permetti?"
"Anzi!" La balia entrava col bambino. "Che te ne sembra? Non è bello come un amore?" Domandò Erminia appena la nutrice fu uscita.
"Somiglia a suo padre."
"Ma se non lo conosci!"
"Allora non somiglia né a te né a lui."
"Il poverino non sta bene da due giorni! è un po' pallido, non ti sembra?"
"Come vuoi che sia bello o no a quell'età ? Tuo marito è un bell'uomo?"
"Lo vedrai."
"Gli vuoi bene? Già , guarda che sciocco! come si fanno queste domande? È geloso?"
"Niente affatto."
"Manco male. Ma sai che col tuo bamboccio in grembo mi fai un effetto singolare!"
"Signor tenente, lei è pregato di non chiamare bamboccio il mio Giannino."
"Scusami! Cosa vuoi? non so abituarmi all'idea di vederti mamma e La Ferlita. Se tu avessi avuto quindici o venti anni di meno, o se io fossi stato contrammiraglio!... Ti rammenti di quel tavolinetto presso il quale tu solevi ricamare? Infine quel che è stato è stato, e non gliene voglio a cotesto signor La Ferlita, a patto che ti renda felice. Non ti dirò che quando la zia mi ha scritto del tuo matrimonio, non m'abbia sentito qualcosa qui. Già , sai come siamo noialtri giovanotti della marina! un po' del collegio c'è sempre a bordo, e i lunghi quarti passati a guardare le stelle danno delle grandi malinconie. Non ti dico che tutti gli ufficiali si somiglino... quelli di cavalleria per esempio! altro che fanciulli! Se tu li avessi sentiti al Caffè d'Europa o alla Concordia! Se io fossi in cavalleria forse l'avrei presa per un altro verso, e adesso invece di avermela con tuo marito cercherei di farti la corte."
"Carlo!..."
"O perché diventi rossa? Vedi che non te la faccio la corte, e che preferisco essere il tuo buon cugino di una volta, meno i castelli in aria. E poi, starò qui così poco che non abbiamo il tempo d'andare in collera." - Erminia gli stese la mano con un sorriso, mormorando fra le labbra "Matto!" ma il rossore tardò alquanto a dileguarsi dalle sue guance.
In questo momento entrò un signore biondo, senza farsi annunziare. "Mio cugino Carlo", disse Erminia. "Mio marito."
Giorgio accolse il cugino a braccia aperte e lo invitò a desinare. Carlo si scusò col pretesto di un pranzo di amici. Parlarono di viaggi e di cose diverse, e quindi La Ferlita li lasciò soli.
"Tuo marito non mi piace", disse il cugino accomiatandosi.
"Cosa gli trovi?"
"Nulla, è un bellissimo giovine, ma non mi piace."
"Insomma a te non piace né mio marito né il mio Giannino. Cosa ti piace dunque?"
"Ma chi ti ha detto che non mi piaccia il tuo Giannino? e anche tuo marito... Anzi, se non fosse tuo marito mi sarebbe simpatico. Vuoi che te lo dica? mentre egli era qui sembrava che tu fossi a cento miglia... Non ti sei accorta che bordeggiavam sempre per non approdare al tu... Mi secca, ecco!"
Rimasta sola, Erminia stette alquanto pensierosa, col bimbo sulle ginocchia. Da lì a poco Giannino si mise a sgambettare e ad agitare le piccole braccia. Ella si scosse come se il suo pensiero, partito dall'anticameretta gialla che il cugino aveale rammentato, ritornasse ad un tratto da un lungo viaggio fatto nelle lontane regioni di cui Carlo avea parlato con suo marito, e tutta rossa in viso si chinò sul suo bambino, a ridere ed a giuocare con lui.
Il cugino venne tutti i giorni come avea promesso; ma ora la sua venuta non produceva più sull'Erminia l'imbarazzo della prima volta, e non le lasciava quell'inesplicabile turbamento che le avea lasciato la prima visita. Adesso si davano del tu anche in presenza di Giorgio. Avevano rivisto insieme quell'anticameretta gialla, che non sembrava più quella neppur essa, dopo tanto tempo; Carlo aveva finito per trovare bellino il bamboccio di prima, e veniva sempre con le tasche piene di confetti e di giocattoli che avrebbero potuto servire al più presto fra due o tre anni. La zia Ruscaglia era sempre in giro col suo nipote ufficiale, di cui era superba, e raccontava a tutti la storia delle quattordici ore passate in mare, e dei viaggi che non finivano più. Quindi per un motivo o per l'altro, i due cugini si vedevano tutti i giorni - ne avevano così poco da stare insieme! Però con tacito accordo non avevano più tornati sui "ti rammenti", dopo che una volta Erminia, seria seria e chinando gli occhi, avea risposto a lui che le parlava d'un certo volume del Prati: "Non mi rammento più. Adesso ho da pensare a mio figlio, e non leggo che di rado."
Carlo era proprio un buon ragazzo, e avea tutte le giovanili delicatezze dell'alunno di collegio di marina, come avea detto. Ei le strinse la mano, un po' rosso in viso, e da quel giorno non le disse altro. Ma la cugina, che in fondo gli volea sempre bene, gliene fu grata dall'intimo del cuore, e glielo dimostrò tornando ad essere con lui affettuosa e gentile.
Però quello che proprio non andava giù a Carlo era il cugino. "Cosa diavolo ha tuo marito?" domandava ad Erminia. "Sembra che abbia perso la bussola!"
XI
Ecco cosa avea il marito:
Rendona m'avea detto: "Che va a fare La Ferlita ad Acireale? L'ho incontrato due volte alla stazione."
"Sarà andato a Giarre; uno dei poderi di sua moglie è in quelle vicinanze."
Giorgio, dopo quella stretta di mano singolarmente espressiva, che mi avea dato la sera in cui il dottore avea raccontato la storia della sua ammalata dell'Albergo dei Bagni, non mi avea detto più nulla, anzi avea evitato le più lontane allusioni a quella circostanza; nei rarissimi momenti in cui lo sorprendevo sovrappensieri si affrettava a intavolare un discorso qualsiasi, quasi avesse letto una indiscreta interrogazione ne' miei occhi. Del resto, meno quelle passeggere preoccupazioni, non si curava d'altro che della moglie e del figlio, il quale avea una salute cagionevole, e sembrava che tutto il suo mondo stesse in quelle due creature.
"La mia ammalata deve essere matta da legare", mi disse un giorno Rendona alla stazione di Acireale, dove andavo pei bagni. "Ha saputo che al Comunale vi sarà una rappresentazione straordinaria e vuole assistervi. Figurati, in quello stato! Io me ne son lavate le mani. È affare che riguarda il capo-stazione, e c'è caso che nella mezz'ora di viaggio abbia a finire in vagone."
La sera di quella rappresentazione anch'io ero a Catania, e vedendo in teatro La Ferlita colla moglie ero andato nel loro palchetto. Avevo sempre prestato un'attenzione assai mediocre alla storia della russa ch'era inferma all'Albergo dei Bagni, poiché alloggiando nello stesso albergo non l'avevo mai vista, né avevo udito parlare di lei, e avevo dimenticato persino quel che ne aveva detto Rendona, allorché un improvviso movimento e il subitaneo pallore di cui si coperse La Ferlita mentre stava discorrendo, me ne fecero risovvenire di botto.
Il teatro era mezzo vuoto, e si vedevano pochissimi visi nuovi; ma verso la metà dello spettacolo si era aperto l'uscio di un palchetto in terza fila, di fronte a quello dove eravamo, e vi si era visto un po' di movimento in fondo; però nessuno era venuto a mettersi sul davanti; e il palchetto sembrava vuoto come prima. Nondimeno gli sguardi di Giorgio vi correvano sempre, anzi vi si sprofondavano con tale ansietà paurosa, che seguendoli vidi anch'io che c'era qualcheduno. Scorgevasi in fondo e nell'ombra qualcosa di bianco, delle forme indistinte che stavano immobili. Io ci rivolsi il cannocchiale un istante, e vidi chiaramente un pallido viso di donna, così scarno che il profilo sembrava scolpito nettamente dall'ombra, e che gli occhi sembravano nerissimi, enormi, luccicanti come fossero fosforescenti. Quegli occhi ardenti stavano rivolti verso di noi con una tenacità singolare. Giorgio era in preda ad una sorda agitazione; parlava con vivacità delle cose più disparate, e due o tre volte avea preso il suo cappello e l'avea posato con dei movimenti nervosi. Ad un tratto la figura che stava nell'ombra si alzò, e venne a sedere un momento sul davanti; era tutta vestita di trine e di raso bianco, senza un gioiello, coi folti capelli biondi annodati mollemente un po' bassi sulla nuca; avea dei guanti lunghi sino quasi al gomito, e attraverso la trasparenza del merletto si vedevano gli omeri scarni, il petto incavato, le braccia su cui i guanti s'increspavano; sotto la polvere di riso si indovinava il pallore cadaverico; ma nondimeno quel viso consunto, quelle labbra smorte, quell'occhio arso dalla febbre avevano un fascino irresistibile. Ella alzò il ...
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