[Pagina precedente]...iata, coperta di pizzi, carica di brillanti, elegante, freddamente altera, coll'ironia sulle labbra, il ventaglio in mano come uno scettro, rispondendo appena con un cenno del capo agli inchini profondi, al più degnandosi di puntare il cannocchiale dal suo palchetto come un saluto; l'amico, il camerata del giorno innanzi confondevasi fra la folla che le faceva ressa attorno, ella lo distingueva appena con un mezzo sorriso, non gli apparteneva più, rientrava nella sua sfera a testa alta. Una volta, in mezzo ad un ballo, fu colta dalla tosse, e quando riapparve nella sala era pallida come cera, ma si rimise a ballare come prima. Giorgio l'accompagnò sino alla carrozza; mentre scendeva le scale, tutta imbacuccata nel suo mantello ovattato, col cappuccio sulla fronte, avvolto il capo nel velo a tre riprese, pallida ancora e silenziosa stavolta, gli disse con impercettibile aggrottamento di ciglia:
"Perché mi guardate così? si direbbe che avete paura di accompagnare una moribonda."
Egli ebbe per tutta la notte quello sguardo e quelle parole nella mente.
Fu malata per tre o quattro giorni, non ricevette nessuno, e poi riapparve nuovamente in mezzo alla folla dei teatri e delle feste un po' più pallida, un po' più dimagrata, ma assetata di vita e di piaceri più di prima. Avvicinandosi la primavera, cominciava a parlare di bagni e di viaggi, e faceva dei progetti coi suoi amici che contava d'incontrare alle acque o in Isvizzera.
VI
Verso la fine di marzo La Ferlita era stato nominato vicesegretario e doveva partire per Lisbona. La contessa aveva dato un thè in questa occasione, invitando de Rancy, la viscontessa, Colli, San Damiano, la signora Grandi e alcuni altri. Giorgio era rimasto l'ultimo ad andarsene.
"Addio," gli disse Nata finalmente stringendogli la mano, "o piuttosto a rivederci: ci vedremo ancora, non è vero?"
"Certamente,"
"Per quanto tempo ancora?" - a lui parve udire un altro suono in quella voce; ma subito, colla calma consueta elle riprese: "Quando partirete?"
"Fra tre o quattro giorni."
"Il Portogallo è un bel paese, e voi sarete felice!"
Erano presso l'uscio a vetri che metteva nel giardino; Giorgio parlava delle noie della partenza, e Nata colla fronte appoggiata ai vetri sembrava ascoltare; la luna segnava il viale di larghe striscie d'argento attraverso le ombre sottili del cancello, e faceva la contessa più pallida in viso. Ad un tratto Giorgio volgendosi verso di lei vide due grosse lagrime che scorrevano lentamente sulle guance; quella vista lo colpì di stupore; tutto il passato, tutte le contraddizioni, tutte le stranezze, tutte le rivolte di quella donna gli balenarono ad un tratto dinanzi agli occhi, gli si spiegarono proprio col bagliore accecante e sfuggevole del lampo, giacché la fisonomia di lei avea ripreso subito la maschera rigida e calma. Ella lo avea amato, lo amava, serbando sempre quel viso impenetrabile. Quelle lagrime che venivano dal fondo del cuore e che sembravano scorrere sul marmo, dovevano molto costare a quel carattere di sasso. Egli le afferrò la mano con impeto e domandò con voce tremante:
"Che avete?"
Nata si voltò come una leonessa ferita; mosse le labbra due o tre volte senza dir nulla e si svincolò vivamente dalle mani di lui. Poscia bruscamente spalancò l'invetriata e uscì in giardino a capo scoperto, nella notte fredda e bianca di luna; e siccome Giorgio, senza saper quel che si facesse, senza sapere che pensare di quella strana creatura, tentava trattenerla:
"Non volete?" diss'ella continuando ad andare. Avea la voce leggermente rauca, con un tono di sarcasmo quasi amaro.
"Non voglio che vi uccidiate!"
Ella si fermò di botto e gli lanciò un'occhiata dura e scintillante.
"Che importa a voi?"
"Non mi credete vostro amico?" balbettò Giorgio.
"Amico? si, amico! Vi credo mio amico. Ma ho tanti amici! San Damiano, Colli, de Rancy... e dai miei amici non mi piace esser contraddetta."
"Perdonatemi, è stato per la prima e l'ultima volta."
Senza badare al tono di quella risposta e cambiando improvvisamente il tono della sua:
"L'ultima? che brutta parola... Infatti... è vero. Chissà se ci rivedremo mai più? chissà ?"
Il freddo la faceva rabbrividire e tossire leggermente.
"Piuttosto, se volete, datemi il mio scialle: è sul canapè, presso la finestra."
Poi, incrociandosi lo scialle sul petto, e fissandolo in viso con una gran serietà :
"Vedete che son ragionevole infine, e che finisco col dar retta ai miei amici."
Così dicendo andava diritta pel viale, un po' stretta nelle spalle, pallida e fredda, colle labbra increspate dall'aria frizzante, alquanto imbarazzata dalla veste che il vento le avvolgeva alle gambe e sbatteva col fruscio di una vela allentata.
"Addio", gli ripeté allorché furono al cancello. "Ci rivedremo ancora un'ultima volta però."
Giorgio rimaneva mutolo, sopraffatto dalla energia di quel carattere; le teneva la mano, e la stringeva forte, senza avvedersene.
"Infatti... non è meglio che sia l'ultima?"
"Perché?" domandò Nata coll'accento più naturale.
"Perché ho il torto d'amarvi!"
Ella lo guardò attonita, e rimase zitta un istante.
"Voi?" esclamò con stupore, e poscia con uno scoppio di risa, delle risa che lo schiaffeggiavano sulle guance: "Voi?... Ah!"
Giorgio le lasciò la mano con un brusco movimento; sentì come una vampa che gli montò dal cuore alla testa; ma da lì a poco si mise a ridere, e anche lui, un po' a denti stretti.
"Guardate, con una sera sì bella! siam soli, di notte, stringendoci le mani, fra lo stormir delle fronde e alla pallida luce dell'astro degli amanti. Pel quarto d'ora devo adunque essere il vostro Romeo, non fosse altro che pel colore locale. Se vedeste come siete bella e vaporosa a questo lume di luna!..."
Nata non cessava di ridere a piccoli scoppietti - era un riso strano che non si accordava coll'espressione dei suoi occhi sbarrati. "Avete ragione. E pel quarto d'ora, ditemi, quante siamo le Giuliette? Io, la signora che menate a spasso alle Cascine, forse la viscontessa de Rancy, chi d'altri?"
Giorgio si strinse nelle spalle. Allora ella, prendendogli le mani nuovamente, gli disse con voce carezzevole: "Povero Giorgio! Sono stata un po' civetta con voi, pel passato, molto tempo addietro, molto tempo! Adesso vi voglio bene, proprio voler bene, sapete. Ma amarci, a parte il color locale, non ci amiamo né voi, né io... A meno che non mi amiate come amate la vostra bella delle Cascine. Quanto a me..."
"Quanto a voi?..."
"Quanto a me è meglio che restiamo amici, Romeo, volete? Meglio per voi, meglio per me, meglio per tutti."
In così dire si mise a tossire di nuovo. La Ferlita le prese il braccio con amorevole violenza.
"Ebbene, come vostro amico datemi retta, rientrate in casa. Così vi uccidete."
Nata si lasciò condurre, docile e obbediente come una fanciullina; Giorgio rianimò il fuoco, avvicinò la poltrona al camino, le fece scaldare i piedi intirizziti. Ella era pallida, e di quando in quando si stringeva nelle vesti con un brivido di freddo; la fiamma alta la faceva sorridere. Ei non diceva più verbo, e sembrava prendere sul serio la sua parte; quando si fu riscaldata, e che il riverbero del caminetto cominciò a dare un po' di colore a quel viso di cera, le disse:
"Vi prego di scrivere queste quattro parole come se le pensaste, a guisa di ricordo per l'ultima sera che abbiamo passato insieme giocando a Giulietta e Romeo. 'Vi amo, parto, addio'."
Nata, senza esitare, senza voltarsi neppure verso di lui, rispose tranquillamente: "È inutile, perché ve l'ho già scritto un'altra volta."
"Voi dunque!..."
"Se me lo domandate per confrontare le due scritture, vi risparmio cotesto esame; se c'è un rimprovero nelle vostre parole, l'accetto senza cercare di scusarmi."
"Giacché non mi amate più, non voglio esaminar più nulla, non mi lagno di nulla, non vi rimprovero nulla."
Ella rimase cogli occhi fissi sulla fiamma.
"Credevo non vedervi più, ecco perché vi ho scritto così", aggiunse Nata da lì a poco freddamente e risolutamente.
Giorgio sogghignò.
"Volete che sia vostra amante?" diss'ella con un accento brusco, ma calma e risoluta, piantandogli in volto quel suo sguardo selvaggio. E siccome La Ferlita, attonito, non trovava una sola parola:
"Volete che mi dia a voi, domani, stasera, freddamente, deliberatamente, senza amarvi punto? Volete?"
"Che donna siete mai?" gridò egli dopo un istante di quel silenzio stupefatto. Nata scoppiò in un riso stridente che la fece tossire e le imporporò le gote:
"Avete delle curiosità malsane, amico mio. Io non ho mai avuto la pretesa di arrivare a saper tanto... e forse ho fatto meglio."
"Vi dirò quel che sono io. Sono uno stupido, che mentre voi gli ridete in faccia vi ama come un pazzo. Vi ho amata per tre mesi senza saperlo, senza sospettarlo, credendo che quella prima fase donchisciottesca del mio sentimento avesse realmente dato luogo a una semplice amicizia. - Voi eravate tutt'altra donna. Ad un tratto questa passione m'irrompe in cuore come una febbre, come un delirio. Le vostre parole, i vostri sorrisi, i vostri sarcasmi mi frustano il sangue nelle vene, e adesso capisco come si possa uccidersi per svincolarsi dal vostro fascino funesto."
A queste ultime parole, ella che ascoltava immobile e senza guardare Giorgio trasalì, e si volse repentinamente verso di lui, più pallida di prima, piantandogli in volto gli occhi spalancati e pieni di una espressione selvaggia.
"E voi... vi uccidereste... voi?"
"A che scopo? per rendermi ridicolo anche così?..."
"Infatti, sapete cosa ne penserei? Che vi uccidereste per la vanità di far parlare di voi nelle conversazioni e nei giornali. Adesso, giacché mi ragionate di amore, ascoltate." Ella era rivolta verso la fiamma, sembrava in volto ora bianca come una statua, ora livida come un cadavere; parlava lentamente, con voce ferma e sorda; teneva gli occhi chiusi, e un sol muscolo del suo viso non si muoveva. "Io ho amato... una volta... ho amato quell'uomo di cui mi rinfacciate la morte... l'ho amato come voi altri non sapete amare, io, donna senza cuore, e non sono morta come un personaggio di tragedia... almeno allora. Era un ribelle condannato all'esilio, credo anche un ebreo, senza altra ricchezza che la sua carabina di cacciatore. Mi odiava perché io ero della razza dei suoi padroni, di coloro che aveano gettato lui in Siberia e avevano bastonato le sue donne - l'amai perché mi odiava, perché mi fuggiva; c'era un abisso fra di noi, e la vertigine mi gettò nelle sue braccia."
Guardò La Ferlita, e lo vide pallido anch'esso.
"Mi amate veramente, Giorgio?"
Egli, che stava con la fronte fra le mani, levò il capo e le lanciò uno sguardo che rintuzzò quello di lei.
"Quanto durerà il vostro amore?"
Giorgio chinò il capo di nuovo, e non rispose.
"Vi domando se potete dirmi, sulla vostra parola d'onore, che mi amerete sempre così, anche quando sarete stato il mio amante; vorrei sapere che cosa fareste se una donna più bella di me, o che vi piacesse dippiù, che avesse soltanto il vantaggio di non essere io stessa, una duchessa, una cameriera, vi stringesse la mano in un ballo, o entrasse sfrontatamente in camera vostra: cosa fareste, La Ferlita?"
Giorgio taceva sempre, come annichilito. Ella seguitò:
"Colui dicevami che lo rendevo felice, che mi avrebbe amato eternamente, che avrebbe voluto morire per me, e siccome era bello e poeta, un po' come voi, diceva tutto ciò in modo seducente; tutti i nostri vicini di campagna parlavano delle nostre follie. Che m'importava? io ero stata felice di provare a lui che gli gettavo sotto i piedi anche la mia riputazione, come gli avevo gettato il mio orgoglio, le mie ripugnanze, e tutto. Mio marito non mi ama, non è geloso, ma è perfetto gentiluomo, e non potendo battersi col suo rivale, avrebbe saputo che il suo dovere era di bruciare le cervella a lui e a me; allora trovavasi al Caucaso: dopo sei mesi fui costretta a raggiungerlo a Pietroburgo per passarvi l'inverno. Mi parve di morire, Dolski mi scriveva delle lettere che mi davano delle notti insonni e febbrili. Finalmente perdetti inte...
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