TUTTE LE POESIE, di Alessandro Manzoni - pagina 1
Alessandro Manzoni
I
[UNA GARA DI CORSA]
Da Virgilio, "Eneide", V, vv.
286-361
[1799-1800?]
5 S'addusse, ed alto in un sedil si pose.
Niso ed Eurialo primi; Eurialo insigne
10 Di fresca giovinezza e di beltade,
Niso di santo amor pel giovanetto.
Del Priamide ceppo, e dietro a lui
15 Arcadio sangue e Teagete è l'altro.
Usi in selve e compagni al vecchio Aceste.
Molti di poi che fama oscura involve.
In mezzo ai quali così favella Enea:
20 Nessun di voi senza miei doni andrassi.
Duo Gnossj strali di polito ferro,
E di scolpito argento una bipenne,
Saran fregio comune; i tre primieri
Tra i vincitor più raro premio avranno,
25 E andran di bionda oliva incoronati.
Corsier di ricca bardatura al primo:
Colma di Tracj dardi una faretra
Amazonia al secondo, intorno a cui
Larga e cospersa d'or fascia s'avvolge,
30 E levigata gemma ha per fermaglio.
D'esto elmo Argivo il terzo s'accontenti.
Ciò detto prendon loco, e il segno udito,
Già divoran lo spazio e di repente
Fuggon la sbarra tutti, al par di nembo
35 Sparpagliati, e gli sguardi hanno a la meta.
Primo si slancia, e di gran tratto brilla
Innanzi ai corpi de' volanti Niso
Lieve qual vento o quale alata folgore.
Addietro a lui, ma di gran pezza addietro
40 Salio s'affanna, e dopo voto spazio
Sotto cui già già vola, e il pie' col piede
Dior gl'incalza, ed a le spalle il preme;
E se più spazio rimanea del corso,
45 Gli avria tolta la palma, o messa in forse.
E già sul corso estremo affaticati
Toccavano a la meta, allor che Niso
Su l'erba sdrucciolò, che il sangue avea
50 Misero giovanetto, in cor già baldo
De la vittoria, in sul terren calcato
Mal fermò l'orma vacillante, e prono
Tra il sozzo fimo e il sacro sangue el giacque.
Ma non già l'amor suo pose in oblio;
E stette a Salio incontro; ei riversato
Si rotolò ne la minuta arena.
Eurialo balza, e già la meta il primo
Tien per l'ufficio de l'amico, e vola
60 Tra il favorevol fremito ed il plauso.
Elimo poscia, ed or Diore è il terzo.
Ma l'adunanza del gran circo tutta,
E le file de' Padri più vicine,
Di schiamazzo empie Salio, e restituto
65 Chiede l'onor che gli rapia l'inganno.
Sta il favor per Eurialo, e il bel pianto,
E il valor che in bel corpo è più gradito.
Lo seconda Diore, ed a gran grida
Lo proclama, Dior che a la seconda
70 Palma or pervenne, e il minor premio avrassi,
Se l'onor primo a Salio è devoluto.
Allora Enea: Fisso ad ognun rimane,
O giovanetti, il premio suo, né puote
L'ordin turbar de la vittoria alcuno.
75 A me concesso or sia de la sventura
De l'incolpato amico esser pietoso.
Disse, e un gran tergo di leon Getulo
Grave di folta giubba, e d'unghia d'ora
A Salio dona.
Allor Niso: Se tanto
80 È il guiderdon de' vinti, e dei caduti
Ti duol, qual degno darai premio a Niso,
Che l'onor meritai del primo serto,
Che sorte avversa, al par che a lui, mi tolse?
E ponea in mostra, favellando, il volto,
85 E la persona d'atro fimo intrisa.
Sorrise a lui l'ottimo padre, e fatto
Uno scudo venir, Greco lavoro,
Strappato ai Greci dal Nettunio tempio,
Inclito dono al giovin chiaro il diede.
II
[INDULGENZA NELL'AMICIZIA]
Da Orazio, "Sermoni", I, 3, vv.
1-56
[1799-1800?]
Comune vizio de' cantori è questo,
Che di cantar pregati, infra gli amici,
Non vi s'inducon mai; non dimandati
Non fan più fine.
Quel Tigellio Sardo
5 Fu tale.
Augusto, che potea forzarlo,
Se il chiedea per l'amor del padre e il suo,
Nulla ottenea; se gli venia talento,
Da l'uova ai frutti ripetuto avria
"Evoè Bacco", ora sul tono acuto,
10 Or sul più basso delle quattro corde.
Non mai tenne quest'uomo un egual modo.
Or correa per le vie siccome quello
Che fugge dal nemico, or come quello
Che di Giunone i sacri arredi porta.
15 Ora avea dieci servi, ora dugento:
Talor regi e tetrarchi, alte parole,
Risonava; talor: Non più che un desco
A tre piedi e di sal puro una conca
Ed una toga che m'escluda il freddo,
20 Sia pur succida, io vo'.
Se dieci cento
Mila sesterzi avessi dati a questo
Frugal di poche voglie, in cinque giorni
Il borsello era vuoto; infino a l'alba
Vegliar soleva, e tutto il dì russava.
25 Nessun fu mai più da se stesso impari.
Ma qui dirammi alcuno: E tu? Non hai
Vizio nessuno? Ho i miei, più gravi forse.
Mentre un dì Menio cardeggiando stava
L'assente Novio: Ehi, l'interruppe un tale,
30 Non conosci te stesso? O a nova gente
Pensi dar ciance? A me fo grazia, ei disse.
Matta iniqua indulgenza e da biasmarsi:
Ne le magagne tue lippo e con gli occhi
Impiastricciati, perché mai sì acuto
35 Hai ne' difetti de gli amici il guardo,
Come l'aquila o il serpe d'Epidauro?
Indi è che i vizj tuoi spiano anch'essi.
È un po' stizzoso, e il naso fino offende
Di questi amici; rider fa quel tonso
40 Capo e la toga in fogge un po' villane
Cascante e il pie' che nel calzar tentenna.
Ma è buono a segno che un miglior non trovi,
Ma amico ei t'è, ma una divina mente
Sta sotto il vel di quella spoglia irsuta.
45 Infine a te rivedi il pel, se forse
T'abbia innestato alcun vizio Natura,
O pur l'abito rio; ché ne gli incolti
Campi la felce sciagurata alligna.
Or vengo a ciò, che de l'amante al guardo
50 Sfugge il difetto de l'amata, o piace,
Siccome d'Agna il polipo a Balbino.
Così vorrei che in amistà si errasse,
E a tal error nome onorevol dato
Virtute avesse.
Qual del figlio al padre,
55 Tal de l'amico il vizio, ov'ei pur n'abbia,
Non fastidir dobbiam.
Strabone il padre
Chiama il guercio, e piccin chi il figlio ha nano,
Come già fu quel Sisifo abortivo.
Varo appella quest'altro che a sghimbescio
60 Volge le gambe, e quel balbetta Scauro,
Che mal s'appoggia sul tallon viziato.
È un po' gretto costui, frugal si dica:
È inetto e alquanto vantator, leggiadro
Vuol parere a gli amici: oh ma feroce,
65 Libero egli è più del dover, per dritto
E per forte si tenga.
È un po' focoso,
S'ascriva ai forti.
Questo modo, estimo,
Gli amici unisce, e li conserva uniti.
Ma le stesse virtù noi stravolgiamo,
70 E diamo la vernice a schietto vaso.
EPIGRAMMI
III
[1799?]
Il padre fra' Volpino
Che pien di santo zelo
Suda sui libri ascetici
E veglia sul Vangelo,
5 E quando alcun s'aspetta
Di Bayle e di Calvino
I dogmi iniqui e pazzi,
Il seme giacobino, ecc.
IV
[PER L'INIZIO DELLA "MASCHERONIANA"]
[1801?]
Al dir del Monti, Mascheron che muore
È fiamma, pesce, augello, anima e fiore.
V
CONTRO IL MONTI
Per la sua ode "Fior di gioventute"
[1803]
Un vate di gran lode
Sul principio d'un'ode
Piange il suo fior gentile
E il suo vigor virile,
5 E quando alcun s'aspetta
Ch'egli invochi il Paletta
Od altro di tal arte,
Invoca Bonaparte.
VI
[l801]
Capel bruno: alta fronte; occhio loquace:
Naso non grande e non soverchio umile:
Tonda la gota e di color vivace:
Stretto labbro e vermiglio: e bocca esile:
5 Lingua or spedita or tarda, e non mai vile,
Che il ver favella apertamente, o tace.
Giovin d'anni e di senno; non audace:
Duro di modi, ma di cor gentile.
La gloria amo e le selve e il biondo iddio:
10 Spregio, non odio mai: m'attristo spesso:
Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.
A l'ira presto, e più presto al perdono:
Poco noto ad altrui, poco a me stesso:
Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.
VII
A FRANCESCO LOMONACO
[Per la "Vita di Dante"]
[1802]
Come il divo Alighier l'ingrata Flora
Errar fea, per civil rabbia sanguigna,
Pel suol, cui liberal natura infiora,
Ove spesso il buon nasce e rado alligna,
5 Esule egregio, narri: e Tu pur ora
Duro esempio ne dài, Tu, cui maligna
Sorte sospinse, e tiene incerto ancora
In questa di gentili alme madrigna.
Tal premj, Italia, i tuoi migliori, e poi
10 Che pro se piangi, e il cener freddo adori,
E al nome voto onor divini fai?
Sì da' barbari oppressa opprimi i tuoi,
E ognor tuoi danni e tue colpe deplori,
Pentita sempre, e non cangiata mai.
VIII
[ALLA MUSA]
[1802]
Novo intatto sentier segnami, o Musa,
Onde non stia tua fiamma in me sepolta.
È forse a somma gloria ogni via chiusa,
Che ancor non sia d'altri vestigj folta?
5 Dante ha la tromba, e il cigno di Valchiusa
La dolce lira; e dietro han turba molta.
Flora ad Ascre agguagliosse; e Orobia incolta
Emulò Smirna, e vinse Siracusa.
Primo signor de l'italo coturno,
10 Te vanta il secol nostro, e te cui dièo
Venosa il plettro, e chi il flagello audace?
Clio, che tratti la tromba e il plettro eburno,
Deh! fa' che, s'io cadrò sul calle Ascreo,
Dicasi almen: su l'orma propria ei giace.
IX
[ALLA SUA DONNA]
[1802]
Se pien d'alto disdegno e in me securo
Alteramente io parlo e penso e scrivo
Oltre l'etate e il vil tempo in ch'io vivo,
E piacer sozzo e vano onor non curo;
Opra è tua, Donna, e del celeste e puro
5 Foco che nel mio petto accese il vivo
Lume de gli occhi tuoi, che mi fa schivo
Di quanto parmi, al tuo paraggio, impuro.
Piacerti io voglio; né piacer ti posso,
10 Fin ch'io non sia, ne gli atti e pensier miei,
Mondo così ch'io ti somigli in parte.
Così per la via alpestra io mi son mosso:
Né, volendo ritrarmene, il potrei;
Perché non posso intralasciar d'amarte.
X
ODE [AMOROSA]
[1802-1803]
Qual su le Cinzie cime
Alta sovrasta a le minori Oreadi
Col volto, e col sublime
D'auree frecce sonante omero Delia,
5 E appar movendo per la sacra riva
Veracemente Diva;
Tal prima a gli occhi miei
Non ancor dotti d'amorose lagrime
Appariva costei,
10 Vincendo di splendor l'emule Vergini
Per mover d'occhi dolcemente grave
E per voce soave.
Da gl'innocenti sguardi
Che ancor lor possa e gli altrui danni ignorano,
15 Escono accesi dardi,
Non certi men, né di più leve incendio,
Se dal fronte scendendo il crine avaro
Dolce fa lor riparo.
Non altrimenti in Cielo
20 Febo sorgendo, di dorata nuvola
A suoi splendor fa velo,
Che vincitor superbi indi sfavillano;
E la terra soggetta in suo viaggio
Tinge di dubbio raggio.
...
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